di Vincenza Pellegrino *
Abstract: The overwhelming technological progress subjects contemporary society to a rapid and progressive dematerialization of reality and this prefigures completely opposite scenarios which, in some cases, present the virtual as a lethal danger, which will lead humanity to permanently lose contact with reality, while on the contrary, in other cases, the virtual is conceived as the natural result of human emancipation, which can finally allow us to overcome the limits of our physicality.
Man, on the other hand, throughout his history, has always interacted with a virtual reality, or with the representation of reality produced by his mind and, in this sense, post-modern virtual reality is only a new modality, hyper-technological, of this process.
Key-words: Virtual, modern, real, digital, ontology, identity, communication, socialization, mind, artificial intelligence, metaphysics.
Riassunto: Il travolgente progresso tecnologico, sottopone la società contemporanea ad una rapida e progressiva dematerializzazione della realtà e ciò prefigura scenari completamente opposti che, in alcuni casi, presentano il virtuale come un pericolo letale, che porterà l’umanità a perdere, definitivamente, il contatto con la realtà, mentre al contrario, in altri casi, il virtuale è concepito come il naturale risultato dell’emancipazione umana, che può permetterci, finalmente, di superare i limiti della nostra fisicità.
L’uomo, d’altronde, in tutta la sua storia, ha sempre interagito con una realtà virtuale, ovvero con la rappresentazione della realtà prodotta dalla sua mente e, in tal senso, la realtà virtuale post-moderna è soltanto una nuova modalità, ipertecnologica, di questo processo.
Forme inedite di conoscenza, di comunicazione e di socializzazione sono, oramai, entrate a far parte della nostra quotidianità; ne deriva che la vita reale, in presenza e quella virtuale, che si “realizza” tramite internet, sono due tipologie esistenziali che finiscono, inevitabilmente, col sovrapporsi, per cui reale e virtuale, di fatto, tendono, sempre più, a coincidere.
Parole chiave: Virtuale, modernità, reale, digitale, ontologia, identità, comunicazione, socializzazione, mente, intelligenza artificiale, metafisica.
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Il tumultuoso avvento dell’era digitale, che ha mutato il nostro stesso modo d’essere, ha impegnato molti pensatori contemporanei ad interrogarsi sul tema del virtuale ed il dibattito filosofico, che ne è scaturito, ha prodotto orientamenti diversi e spesso contrastanti. Alcuni, hanno prefigurato scenari apocalittici, sostenendo che il virtuale porterà l’uomo a perdere il senso della realtà e provocherà una, irrimediabile e definitiva, catastrofe culturale.
Secondo Baudrillard, ad esempio, la società è, oggi, totalmente plagiata dalla comunicazione e ciò determina la desertificazione della realtà, ovvero la scomparsa del reale a vantaggio di un virtuale, sempre più sofisticato ed ingannevole, tanto da sembrare, addirittura, più vero della realtà stessa.
Ne consegue l’impossibilità di distinguere il virtuale dal reale: i media, la rete e gli altri strumenti della digitalizzazione ci rinchiudono all’interno di modelli interattivi preconfezionati ed omologanti, che non lasciano spazio al senso critico ed alla creatività degli individui[1]. Ugualmente, per Virilio, “la rivoluzione tecnica che si annuncia è probabilmente, più che un dramma, una tragedia della conoscenza, la confusione babelica dei saperi individuali e collettivi”[2].
Al contrario, Deleuze[3] e Lévy[4] ritengono che l’avvento del digitale rappresenti una tappa fondamentale dell’evoluzione umana e che il virtuale sia uno stato ontologico dell’essere, che non si contrappone alla realtà, ma che la realizza su un piano diverso, tramite specifiche modalità. Lo stesso Lévy, nell’introduzione del suo saggio, Il virtuale, si chiede se, a causa della generale tendenza alla virtualizzazione, ci sia da temere una totale derealizzazione, “una sorta di sparizione universale, come suggerisce Jean Baudrillard? Siamo forse minacciati dall’apocalisse culturale, dalla spaventosa implosione spazio-tempo preannunciata, ormai molti anni fa, da Paul Virgilio?”[5]. La risposta è “un’ipotesi diversa, non catastrofica, e cioè che… le evoluzioni culturali in atto… indichino un proseguimento dell’ominazione”[6]. La virtualizzazione, dunque, rappresenta l’eterogenesi dell’umano e Lévy invita a non avversarla pregiudizialmente, ma a comprenderla, in tutta la sua complessità, per scoprire le inedite opportunità che ci prospetta. Alla luce dell’accresciuto utilizzo di massa delle moderne tecnologie, a cui, oramai, non è più possibile rinunciare, appare evidente il carattere, quasi profetico, di queste tesi che, in fondo, lasciavano già intuire che saremmo arrivati ad un punto in cui la nostra quotidianità sarebbe stata costituita da una “vita reale”, in presenza ed una “vita virtuale”, che si “realizza” tramite la rete internet. Due tipologie esistenziali che si sono, oggi, in larga parte, sovrapposte, per cui reale e virtuale hanno, di fatto, finito con il coincidere, evidenziando quelle caratteristiche essenziali del virtuale, che Lévy aveva, meticolosamente, individuato e descritto.
Con il termine virtuale, infatti, si è, comunemente, sempre inteso ciò che è diverso dal reale, che non esiste, che non è tangibile, però alcuni filosofi, studiosi della post-modernità, come appunto, P. Lévy, hanno introdotto un nuovo concetto di virtuale, che contraddice questa tradizionale distinzione. Da un punto di vista pratico, per realtà virtuale possiamo intendere uno spazio interattivo, creato dalla tecnologia, che simula la realtà e permette a chi ne usufruisce di esserne coinvolto, più o meno completamente, in base ai sistemi ed alle modalità che si utilizzano. E’ realtà virtuale, dunque, sia quella che consente di interagire per mezzo di un semplice P.C., sia quella che riproduce, in modalità tridimensionale, un dato ambiente, oppure quella che, attraverso l’uso di strumenti sensoriali sofisticatissimi, consente di integrarsi, completamente, in un mondo riprodotto tanto fedelmente da far dimenticare che non è vero.
Da quando nacquero, negli Stati Uniti, i primi simulatori di volo, utilizzati per l’addestramento dei piloti, la realtà virtuale si è evoluta in modo esponenziale ed è utilizzata, oggi, in molteplici attività umane a scopo medico, scientifico e lavorativo, oltre che, ovviamente, nel classico ambito ludico. Il mondo artificiale, che si vive nelle esperienze di realtà virtuale più avanzate, consente di muoversi liberamente in uno spazio simil-realistico così coinvolgente che, difficilmente ci si ricorda di non trovarsi in un mondo vero, giacché si provano emozioni e sensazioni reali e si ha l’opportunità di essere protagonisti di situazioni e di esperienze che, nel mondo tangibile, molto probabilmente, si potrebbero solo immaginare. Questa facoltà di mutare ruoli e mondi, giacché configura, in qualche modo, una forma di relazione sociale, si ripercuote anche sul nostro senso di sé, sulla nostra identità. Parrebbe che, l’assenza, in ambito virtuale, delle coordinate spazio-temporali, provochi un continuo mutamento degli aspetti del sé, e vada ad incidere, decisamente, sulla strutturazione dell’identità. Sono stati rilevati, in particolare, frequenti casi di moltiplicazione dell’identità e di destrutturazione dell’unicità identitaria. Per mezzo della realtà virtuale siamo portati ad immaginare che non vi sia niente di impossibile, che l’immaginazione si materializzi, che l’unico limite stia nella nostra mente. Siamo, quindi, in grado di creare un nostro mondo, di far uscire la coscienza dal corpo, di poterla vedere e toccare, rischiando, però, di perderci in un vuoto spazio-temporale e di non riuscire più ad orientarci, a riconoscere le reali caratteristiche del vero mondo, dove ci aspettano le nostre responsabilità, alle quali non possiamo sfuggire, neppure rifugiandoci nel virtuale.
Dunque, la realtà virtuale agisce sulle nostre capacità percettive, sul sistema che determina la nostra idea di realtà, illudendoci che la sua rappresentazione corrisponda ad una realtà effettiva e tanto più è alto il grado di coinvolgimento dei nostri sensi, tanto più la nostra identità si destruttura e si convince di essere in relazione con il mondo esterno e non, come in effetti è, con una macchina che, per mezzo della computer grafica più avanzata, costruisce intorno a noi un universo verosimile.
D’altronde, come nota Bauman, il nocciolo duro dell’identità “può formarsi solo in riferimento ai legami che connettono l’io ad altre persone e alla presunzione di affidabilità e stabilità nel tempo di tali legami. Abbiamo bisogno di relazioni… su cui poter contare… per definire noi stessi. Nell’ambiente della modernità liquida, però, a causa degli impegni a lungo termine che notoriamente ispirano o inavvertitamente generano, le relazioni possono essere gravide di pericoli”[7].
Il progresso scientifico ha permesso di realizzare anche macchine robotizzate che invertono i termini del virtuale, poiché non è l’uomo ad agire nella virtualità, ma è il robot, l’uomo virtuale che lo sostituisce nella realtà. La robotica è ormai vicina a realizzare una macchina dalle sembianze umane e dotata di un cervello che le consente di pensare, ovvero di elaborare autonomamente le risposte più appropriate alle varie situazioni, senza dover attenersi ad un modello preordinato. Ci si incomincia a domandare se questa mente artificiale acquisirà, pure, la capacità di sviluppare, nel tempo e per proprio conto, tutte le facoltà della mente umana. In questo caso, è stato ipotizzato che lo studio delle dinamiche che dovessero, eventualmente, permettere al robot di costruirsi una coscienza, potrebbe, finalmente, permetterci di scoprire tutti i segreti della nostra mente, anche se, già solo ipotizzare una coscienza artificiale, figlia di un’intelligenza artificiale, pone una questione, per così dire, robo-etica, di non poco conto. Sarà determinante, al riguardo, vedere come queste macchine saranno in grado di provare emozioni e sentimenti, di percepire il vero e il falso, quali saranno le loro abilità di intuire e di agire istintivamente, il che rimanda al fulcro del problema che consiste nello stabilire, primariamente, se le prerogative umane siano tecnologicamente trasmettibili e quali rischi comporti una simile possibilità.
È del tutto evidente, allora, che intorno alla realtà virtuale gravitano una serie di problematiche che non è possibile ignorare, ma va pure ricordato che l’uomo, in tutta la sua storia, ha sempre interagito con una realtà virtuale, ovvero con la rappresentazione della realtà prodotta dalla sua mente e resa realistica per mezzo delle sue competenze tecniche. In tal senso, la realtà virtuale post-moderna è soltanto una nuova modalità di rappresentazione simbolica, ipertecnologica, ma l’informatica e l’elettronica hanno, anche, prodotto forme inedite di rappresentazione e di comunicazione, che sono in grado di manipolare direttamente i procedimenti che dipendono dalla mente umana, compreso lo stesso processo di apprendimento.
De Kerckhove ha affermato che, “l’individuo sta mettendo le mani sul mondo del pensiero che esce dal corpo e si manifesta fisicamente e ciò dovrebbe farci riflettere su cosa siamo esattamente e dove stiamo andando”[8].
Questo interrogativo, di carattere prevalentemente filosofico, impegna il pensiero contemporaneo ad individuare un nuovo e specifico modello di essere, in rapporto ad una, altrettanto inedita e ben determinata, nozione di esistenza.
Al riguardo, Lévy ha sviluppato un’articolata teoria che, partendo dalla constatazione che il virtuale ha sempre avuto una posizione rilevante nell’esistenza e nella storia umane, arriva a riconoscere al virtuale una sua, evidente, validità ontologica.
Nell’immaginario collettivo, come detto, il concetto di virtuale indica qualcosa di non vero, di artificiale, a cui si contrappone la nozione di reale, di ciò che esiste.
Questa opposizione tra reale e virtuale, riconducibile all’antica distinzione aristotelica tra atto e potenza, trae il suo fondamento, nel pensiero moderno, dal dualismo cartesiano, dalla diversa natura di mente e corpo. Il fondatore della scienza moderna ha, infatti, collocato il cervello e la mente in mondi diversi: quello materiale, dove esiste il corpo e quello immateriale dove abita la mente, la coscienza di sé. Il tentativo di superare il dualismo ha portato, in seguito, Deleuze a teorizzare l’esistenza di un solo livello di sviluppo del pensiero, quello virtuale, in cui si intrecciano le relazioni tra elementi, generalmente denominati reale, irreale, soggetto e oggetto. Egli ha immaginato l’esistenza di due coppie contrapposte: possibile-reale e virtuale-attuale, per cui il virtuale non si oppone al reale, ma soltanto all’attuale, stante che il possibile è l’equivalente, già determinato del reale, mentre il virtuale è un elemento complesso e l’attuale è la sua concreta definizione. Nel processo di realizzazione, il virtuale è esattamente il reale che non è attuale, il simbolico non fittizio. Il possibile è quello che può, o meno, realizzarsi in tale processo e il reale è l’immagine del possibile che si realizza e, dunque, rispondono allo stesso concetto, ma su piani distinti: quello astratto e quello concreto.
Al contrario, virtuale e attuale sono situati sullo stesso piano, dove l’attuale non è fermo e determinato, ma ha un’identità transitoria, sempre soggetta a continui mutamenti; è, insomma, una determinazione fluida in cui si identifica, in quel momento, l’ambito virtuale.
Il pensiero deleuziano fonda su una conoscenza che non parte più da un soggetto che si interroga su un oggetto, ma che si interessa dei diversi piani in cui essi si frantumano e danno vita a molteplici relazioni, contraddicendo la prassi tradizionale, che descrive soggetto e oggetto separati e contrapposti.
È soggettivo, allora, quello che conosciamo perfettamente, mentre è oggettivo ciò che possiamo pensare come l’effetto di una sua divisione, che non ne modifica la fisionomia.
Altri concetti centrali, nella filosofia di Deleuze, sono immanenza e molteplicità: la molteplicità è una caratteristica primaria della virtualità e corrisponde ad una pluralità indefinita, mai completamente strutturata, mentre il piano di immanenza è il luogo che si forma, mano a mano, che si sviluppano le molteplicità[9].
Lévy ha ripreso, successivamente, le tesi di Deleuze e le ha ampliate e strutturate in una trattazione completa ed organica. Egli descrive la virtualizzazione come un naturale ed incessante processo umano, riscontrabile in maniera evidente nei tre stadi dell’antico trivium: grammaticale, dialettico e retorico. Il primo stadio, rappresenta la virtualizzazione del tempo reale, perché il linguaggio ha permesso all’uomo di porre domande e di raccontare storie, due forme di svincolamento dal presente che, al contempo, rendono più intensa la nostra esistenza. Inoltre, con la comparsa del linguaggio, il pensiero si è velocizzato e l’apprendimento è diventato più rapido, l’evoluzione culturale ha accelerato rispetto a quella biologica e l’umano ha iniziato a navigare nello spazio virtuale: “Il tempo come durata infinita non esiste se non virtualmente”[10]. Quello che era interno e privato si fa esterno e pubblico, ma anche il contrario: ascoltando, leggendo, noi interiorizziamo qualcosa che non ci appartiene. Il processo di grammatizzazione è all’origine di tutti i codici, dal codice alfabetico, con cui si genera il linguaggio, al codice binario, che è alla base della digitalizzazione.
Il secondo stadio equivale alla tecnica ed è la virtualizzazione delle azioni, dello spazio e del corpo: “Il martello potrebbe essere stato inventato tre o quattro volte nel corso della storia, il che equivarrebbe a tre o quattro virtualizzazioni. Ma quante martellate sono state date? Miliardi e miliardi di attualizzazioni. L’attrezzo, il perdurare della sua forma costituiscono una memoria del momento originario di virtualizzazione del corpo in atto”[11].
La fase dialettica agisce analogamente al linguaggio, rispetto alla realtà, giacché dialettizzare vuol dire creare un rapporto tra entità: “Trascinati nel processo dialettico, gli esseri si sdoppiano restando in parte se stessi, ma essendo anche vettori dell’altro da sé”[12]. La dialettica fonda il virtuale perché apre le porte ad un altro mondo, quello delle idee e, da un lato dà forma all’esperienza, mentre, dall’altro riflette la realtà. Il secondo mondo non esisteva prima dell’operazione dialettica, poiché non era né reale, né statico; esso rinasce continuamente, e sempre in modo diverso, in un processo infinito di sdoppiamento, per cui, le operazioni grammaticali moltiplicano la libertà.
Infine, il terzo processo di virtualizzazione è il contratto, che regola le relazioni sociali, cioè la virtualizzazione della violenza. Una convenzione definisce le relazioni, a prescindere dalle specifiche situazioni e può riguardare tantissime persone, ad esempio il matrimonio è stipulato da un numero indefinito di individui e cambia, automaticamente, lo status personale, senza necessità di ulteriori accordi. La virtualizzazione delle relazioni, quindi, stabilizza i comportamenti e detta le regole per modificare i rapporti e le situazioni, contribuendo, poco a poco, alla formazione delle varie culture umane: religione, etica, diritto, politica, economia. Il processo di virtualizzazione, dunque, coinvolge tutte le capacità dell’essere umano, ma il massimo livello è raggiunto attraverso la retorica, che riassume tutte le creazioni dell’uomo, sotto l’aspetto linguistico, tecnico e relazionale. La creazione supera l’utilità, il senso, la verità e la retorica raggiunge l’essenza del virtuale, provoca tensioni e indica finalità, dando luogo alla più grande delle invenzioni: aprire un vuoto al centro del reale, creare un problema.
In campo informatico, la fase grammaticale corrisponde alla digitalizzazione, la fase dialettica coincide, invece, con la realizzazione di strumenti informatici capaci di maggiore velocità di calcolo ed infine, nella fase retorica, si passa all’agire virtuale, provocato dal nascere di nuove finalità. In quest’ultima fase la rete multimediale si trasforma in cyberspazio.
In termini prettamente ontologici, Lévy identifica un quadrivio formato dalle coppie possibile-reale e virtuale-attuale. Le quattro modalità dell’essere sono inscindibili e complementari e possiedono “pari dignità ontologica”[13]. Il possibile e il virtuale non sono tangibili come il reale e l’attuale, che, invece sono entrambi concreti. Il virtuale, è una condizione soggettiva di configurazione dinamica di elementi che sboccano nell’attualizzazione, processo con cui si compie un atto, non predefinito, che modifica la configurazione dinamica. La realizzazione, invece, riguarda una scelta tra possibilità predeterminate; il possibile, in pratica, è la forma che acquisisce la materia, con la realizzazione. Il passaggio inverso, la de-realizzazione, si attua risalendo da un dato ente all’insieme delle probabilità da cui proviene. Nel rapporto dialettico tra possibile e reale si sviluppa un’azione tecnica, quasi meccanica, come quella di un attrezzo che, quando viene usato realizza un esito compreso tra le possibilità preventivate. Il virtuale, invece, è un complesso problematico che deve trovare una risposta; quindi, l’attuale è una risposta alla richiesta del virtuale che necessita di un’attività creativa e/o ermeneutica dell’uomo. Il continuo passaggio tra i quattro stati dell’essere è determinato da cause che Lévy, richiamando espressamente le quattro cause aristoteliche, denomina: realizzazione, potenzializzazione, attualizzazione e virtualizzazione. Le prime due sono di ordine selettivo, attengono alla scelta tra possibilità predeterminate, mentre le seconde due appartengono all’ordine della creazione e del divenire. La virtualizzazione è causa finale: “La virtualizzazione esce dal tempo per arricchire l’eternità. Essa è sorgente dei tempi, dei processi, delle storie poiché, pur senza determinarle, essa comanda le attualizzazioni. Creatrice per antonomasia, la virtualizzazione inventa questioni, problemi, dispostivi generatori di azioni, traiettorie di processi, macchine del divenire”[14]. Dunque, il possibile individua il reale e non necessita di alcun procedimento; al contrario, l’attuale non è ricavabile dal virtuale, in quanto esso è il risultato dello slancio creativo che si concretizza nella forma. L’intreccio di evento e sostanza implica che dal virtuale possono nascere sia verità che finzione: “Verità e falsità sono inscindibili da enunciati articolati”[15]. Il processo di virtualizzazione si può sintetizzare, quindi, come un movimento opposto all’attualizzazione, che consiste “nell’elevare a potenza l’entità considerata. La virtualizzazione non è una de-realizzazione (la trasformazione di una realtà in un insieme di possibili), ma un cambiamento di identità, uno spostamento del centro di gravità ontologico dell’oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una soluzione), l’entità trova ora la propria consistenza essenziale in un campo problematico”[16]. Questo passaggio alla problematica, però, “non è mai un perdersi nell’illusorio, né una smaterializzazione… va piuttosto assimilato a una privazione di sostanza che si declina in trasformazioni: la deterritorializzazione, l’effetto Moebius, che dispone l’incessante rovesciamento dell’interno e dell’esterno, la condivisione di elementi privati e l’integrazione soggettiva inversa di elementi pubblici”[17]. L’elaborazione teorica di Lévy, non si limita alla rideterminazione dei diversi stati dell’essere, in funzione dell’evoluzione tecnologica, ma formula, anche una previsione relativa ai mutamenti sociali e politici che saranno prodotti, in futuro, grazie alla cyber-democrazia, tema ricorrente delle sue pubblicazioni. Egli prevede, in pratica, che la società moderna sarà trasformata, per opera di “una nuova civiltà, di una cultura inedita che si diffonderà attraverso il cyberspazio”[18], grazie alla comunicazione globalizzata. La rete, quindi, secondo Lévy, favorisce il formarsi, libero ed indipendente, di nuove idee, di nuovi orientamenti, di nuove esigenze sociali, che danno vita ad un’intelligenza collettiva, ad un moderno strumento di democrazia, che media e filtra, costantemente, l’infinita diversità delle posizioni che la rete permette di esprimere e che vanno, infine, a rinnovare i valori e gli scopi futuri dell’agire umano. Anche qui emerge la visione ottimistica del filosofo francese, che si distingue da altri studiosi della post-modernità, come, ad esempio, Bauman, il quale segnala, invece, il rischio che il cyberspazio aumenti le diseguaglianze e faciliti il potere “di pochi” nel controllare le masse, impedendo, in pratica, agli individui di diventare padroni del proprio destino e di compiere scelte personali. Egli si duole, inoltre, del fatto che “nel mondo in cui abitiamo, la distanza non sembra contare molto. A volte sembra che esista solo per essere cancellata; come se lo spazio fosse solo un costante invito a minimizzarlo, confutarlo, negarlo. Lo spazio ha smesso di essere un ostacolo – basta una frazione di secondo per conquistarlo. Ma non vi sostiamo mai tanto a lungo da diventare qualcosa più di semplici visitatori, da sentirci a casa nostra”[19]. Il passaggio dalla modernità solida a quella liquida, “potrebbe rivelarsi una frattura più radicale e gravida di conseguenze dello stesso avvento del capitalismo e della modernità, in passato considerati gli spartiacque di gran lunga più significativi della storia umana quanto meno a partire dalla rivoluzione neolitica”[20]. Però, “qualsiasi reale liberazione richiede oggi più, non meno “sfera pubblica” e “potere pubblico. Oggi è la sfera pubblica a dover essere difesa dall’invasione del privato, e ciò, paradossalmente, al fine di accrescere, non ridurre, la libertà individuale”[21]. Lo stesso Lévy, ha avvertito che, una rivoluzione di tale portata, impegna ciascuno a non sottovalutarne gli effetti che si ripercuotono, sia sull’organizzazione sociopolitica, sia sulla condizione individuale e relazionale dell’essere post-moderno. Forse un po’ troppo entusiasticamente, Lévy pensa che la rete sarà un mezzo di apprendimento e di elaborazione della cultura, uno strumento democratico che indirizzerà le relazioni interpersonali verso la solidarietà e la condivisione del bene comune[22]. Il ruolo della cybercultura, allora, è quello di attuare gli ideali moderni: “se mai siamo stati moderni, la cybercultura non sarà postmoderna ma assolutamente in linea con gli ideali rivoluzionari e repubblicani di libertà, uguaglianza e fraternità. Solo che, nella cybercultura, questi ‘valori’ si incarnano in dispositivi tecnici concreti. Nell’era dei media elettronici, l’uguaglianza si realizza come possibilità per ciascuno di emettere per tutti; la libertà si concretizza in software utili alla crittazione e in un accesso al di là delle frontiere a molteplici comunità virtuali; la fraternità, infine, traspare nell’interconnessione mondiale”[23]. Questa tesi, parte dalla sua convinzione, più volte ribadita, che la cultura sia la dimensione collettiva dell’intelligenza e che gli esseri umani siano tali, in quanto possiedono questa intelligenza collettiva, che è data dalla condivisione di una memoria storica ed un immaginario comuni. L’uomo è quello che è perché esistono determinate istituzioni, sistemi, tecniche e linguaggi che appartengono all’intelligenza collettiva, ma fanno parte, anche, dell’intelligenza individuale, tant’è che non saremmo intelligenti, se non fossimo cresciuti in una certa cultura, o se non utilizzassimo un linguaggio, per cui, più è ricco l’ambiente culturale in cui si vive, più il nostro spirito ne trae beneficio e, quindi, far parte di un’intelligenza collettiva promuove l’arricchimento della persona e non determina, come molti temono, il suo assorbimento in un processo di omologazione unificante. La forza della mente e dello spirito dell’uomo, secondo Lévy, è la sua più grande ricchezza, da cui derivano tutte le altre e, però, nota che, mentre siamo molto attenti a gestire le ricchezze materiali, lo siamo molto meno rispetto a quelle mentali, il che è chiaramente evidenziato dal tipo di organizzazione burocratica della comunità, dove l’intelligenza comune non corrisponde alla somma delle singole intelligenze del gruppo, al cui interno possono essercene di altissimo livello, ma solo a quella di chi dirige il gruppo stesso. Le tecnologie, allora, sono un mezzo per realizzare un progetto di riorganizzazione sociale che ottimizzi la ricchezza; offrono l’opportunità, all’individuo, di non cadere nell’egoismo più spinto e, alla società, di evitare l’autoritarismo a cui è destinato il moderno capitalismo. “La finalità dell’intelligenza collettiva è mettere le risorse di vaste collettività al servizio delle persone singole e di piccoli gruppi – e non il contrario. Si tratta, dunque, di un progetto fondamentalmente umanista, che si fa nuovamente carico, con gli strumenti del nostro tempo, dei grandi ideali di emancipazione della filosofia dei Lumi”[24]. Appare evidente, che il virtuale di Lévy, dal punto di vista etico e umano, offre molte possibilità, tutte positive, di ampliare le esperienze individuali e collettive nello scambio e nella condivisione, veloce e continua, di informazioni, di saperi e di proposte, che possono dar vita ad una cultura più etica e solidale, ancorché le relazioni interpersonali siano completamente mediate dalla rete, per cui, resta da vedere se ed in che modo, l’intelligenza collettiva sbarcherà dal cyberspazio sulla terra e costruirà la cyber- democrazia. In ogni caso, pur lasciando ai sociologi e agli analisti politici ogni valutazione che non riguardi, sul piano strettamente concettuale, la virtualità, a distanza di tanti anni dalle sue formulazioni, che risalgono agli ultimi decenni del 900”, si può notare che alcune previsioni del filosofo francese, si sono, in parte, già avverate. È innegabile, infatti, che l’aspetto economico e finanziario è quello che prevale, oggi, in qualunque parte del mondo ed ogni governo nazionale è tenuto a rispettare le regole imposte dal moderno capitalismo internazionale, che, quindi, come previsto da Lévy, è divenuto autoritario ed autoreferenziale, indifferente al destino dei popoli, alle necessità dei singoli individui ed alle sorti dell’esistenza umana. Il potere economico globale ha assunto una struttura che travalica le sovranità nazionali e che ideologizza la competizione, il profitto e l’efficienza, un modello di mondo che richiede, a ciascuno, di agire sempre più rapidamente e che lascia poco spazio alla riflessione, al contatto umano, alla solidarietà.
In questa vorticosa accelerazione dell’esistenza, l’animo umano è sottoposto ad una potente ed incessante centrifugazione che gli impedisce di acquietarsi, di ritrovare il significato e lo scopo del suo stesso essere. Iniziano, però, ad emergere i segnali di una nuova cultura umanistica, testimoniata dalla tendenza di una massa, sempre più ampia di persone, tra cui molti giovani, a riscoprire i valori spirituali e ad avvicinarsi al variegato mondo dell’associazionismo solidale e del volontariato. Analogamente, sul piano politico, c’è un nuovo fermento popolare, sviluppatosi, anche grazie alla rete e che è caratterizzato dall’insofferenza dei cittadini, che chiedono di partecipare alla gestione della cosa pubblica superando la tradizionale mediazione della politica, ritenuta incapace ed inaffidabile. Tale fenomeno, che interessa ormai un’ampia parte del mondo occidentale, somiglia molto alla rivoluzione paventata da Lévy e che lo aveva spinto a chiedere al mondo politico di attrezzarsi per tempo, con strumenti idonei ad intercettare i messaggi provenienti dal cyberspazio. Occorre notare, però, che le idee dei singoli cittadini, affidate alla rete, sono, comunque, mediate dal mezzo tecnologico e, pertanto, non sono indenni da influenze e manipolazioni di vario tipo, per cui sussistono molti dubbi sul fatto che la rete possa, effettivamente, veicolare una volontà comune, formatasi nel rispetto del fondamentale e, tanto acclamato, principio democratico: uno vale uno.
Volendo riassumere il discorso che riguarda il mondo digitale, possiamo concludere che, oggi, attraverso internet, siamo parte di un’intelligenza collettiva, basata su un processo cognitivo inedito, in quanto si ha la facoltà di accedere a tutto senza avere imparato niente prima. Inoltre, è possibile partecipare a nuove forme di relazione che non prevedono la compresenza e realizzano un’infinità di interscambi contestuali, trasformando, radicalmente, il vecchio modello di relazione sociale.
Per sfruttare le opportunità che ci offre la tecnologia è, però, indispensabile, come sostiene Rheingold, essere allenati ad usare la rete, poiché, chi non è capace di utilizzarla correttamente, non è in grado di integrarsi nel mondo d’oggi e, in futuro, non potrà sviluppare la propria intelligenza nel modo giusto. E’ necessario, pertanto, conoscerne i pregi, i difetti ed i limiti; essere coscienti che la capacità delle persone, di fare cose in concerto con altre, offre notevoli benefici, ma può, pure, avere conseguenze disastrose. Rimane, in ogni caso, inevitabile, partecipare alla vita online, perché imparare ed insegnare le regole di questa partecipazione sarà determinante, per il benessere degli individui e della società. Essere capaci di cercare le informazioni in maniera appropriata e di approfondire la propria conoscenza, rispetto ai temi più importanti e dibattuti nella comunità, consente di prendere parte all’agire collettivo che i nuovi media promuovono, di continuo. In ogni settore della vita pubblica, saranno queste persone ad avere la possibilità di conquistare il potere intellettuale, politico ed economico, mentre la qualità della rete e le sue potenzialità democratizzanti dipenderanno, direttamente, dalla quantità di individui che vi avranno accesso e che renderanno ininfluenti i condizionamenti dei potentati politici ed economici[25]. La post-modernità, dunque, accanto a teorie e posizioni entusiastiche, ha suscitato, anche diverse perplessità, che si aggiungono al problema, già rilevato, delle relazioni che sembrano essere destinate a divenire, sempre più, superficiali e spersonalizzanti, poiché stanno perdendo una parte importante della comunicazione umana, quella paraverbale. Analogamente, risulta del tutto chiaro che, trasformatosi il protagonista uomo in essere digitale e cambiati gli strumenti della comunicazione, non può che mutare, di conseguenza, anche l’identità individuale.
E’ innegabile, infatti, che la realtà mediata, in cui vengono meno i limiti spazio-temporali, proponga modelli e schemi mentali che disabituano alla focalizzazione e distraggono dalle effettive intenzioni personali, coinvolgendo in rappresentazioni che alterano lo stato emotivo e la capacità di interpretare la realtà. Inoltre, la possibilità di modificare l’identità sociale attraverso un’accentuazione delle peculiarità, vere o presunte, che si vogliono sottolineare, finisce inevitabilmente, col confondere la coscienza.
Non vanno, allora, assolutamente sottovalutati i pericoli a cui ci espone la rivoluzione digitale, ma, al contempo, occorre riconoscere che, grazie ad essa, il genere umano ha ampliato a dismisura gli orizzonti della propria conoscenza ed è proiettato verso un futuro che promette di offrire opportunità inedite e straordinarie, tutt’ora inimmaginabili.
D’altronde, il progresso, che è frutto dell’ingegno umano, è una macchina che non ha freni e non può arrestarsi, né tornare indietro; è compito dell’uomo, quindi, governarlo con principi e regole che lo rendano funzionale alla crescita della persona ed allo sviluppo di una coscienza, individuale e collettiva, autenticamente democratiche e rispettose dell’altro. Tra qualche anno, sicuramente, la distinzione tra reale e virtuale sarà superata da una nuova visione del mondo e della realtà; forse sarà la fortuna dell’umanità, oppure la sua rovina, ma, certamente, non ci saranno più dubbi in merito alla sussistenza di un “virtuale reale”.
[1] cfr. J. Baudrillard, Simulacres et simulation, Galilée, Paris, 1981; trad. it. Simulacri e imposture. Bestie, Beauborg, apparenze e altri oggetti. P Greco, Milano, 2008;
[2] P. Virilio, La bombe informatique, Galilée, Paris, 1998; trad. it. La bomba informatica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000, p.101;
[3] cfr. G. Deleuze, Le bergsonisme, Presses universitaires de France, Paris, 1966; trad. it. Il bergsonismo e altri saggi, Einaudi, Torino 2001:
[4] cfr. P. Lévy, Qu’est-ce que le virtuel?, La Découverte, Paris, 1995; trad. it. Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005;
[5] P. Lévy, Il virtuale, cit., p.1;
[6] Ibidem;
[7] Z. Bauman, Intervista sull’identità, a cura di B. Vecchi, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 111;
[8] D. de Kerckhove, Brainframes, Technology, Mind and Business, Bosch & Keuning, Utrecht, 1991; trad. it. Brainframes, mente, tecnologia, mercato, Baskerville, Bologna, 1999, p.86;
[9] cfr. G. Deleuze, Différence et répétition,Presses universitaires de France, Paris, 1968; trad. it. Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997;
[10] P. Lévy, Il virtuale, cit. p.64;
[11] Ivi, pag. 67;
[12] Ivi, pag. 85;
[13] Ivi, p.128;
[14] Ivi, p. 132;
[15] Ivi, p. 140;
[16] Ivi, p. 8;
[17] Ivi, p.127;
[18] P. Lévy, L’intelligence collective pour une antropologie du cyberspace, La Découverte, Paris, 1997; trad. it. L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002, p.56;
[19] Z. Bauman, Globalization. The Human Consequences, Polity Press – Blackwell, Cambridge-Oxford, 1998; trad. it. Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 1999, p. 87;
[20] Z. Bauman, Liquid Modernity, Polity Press- Blackwell, Cambridge-Oxford, 2000; trad. it. Modernità liquida, Laterza, Bari-Roma, 2000, p. 143;
[21] Ivi, p.48;
[22] cfr. P. Lévy, Cyberdémocratie, Editions O. Jacob, Paris, 2002; trad. it. Cyberdemocrazia, Mimesis, Milano, 2008;
[23] P. Lévy, Cyberculture, O. Jacob, Paris,1997; trad. it. Cybercultura, Feltrinelli, Milano, 1999, p. 245;
[24] P. Lévy, Cybercultura, cit., p. 198;
[25] cfr. H. Rheingold, Net Smart: How to Thrive Online, MIT Press, Cambridge, 2012; trad. it. Perché la rete ci rende intelligenti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013;
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Docente di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e contrattista presso diversi Atenei italiani. Esperta di progettazione e realizzazione di percorsi e sperimentazioni didattiche, da sempre interessata alle problematiche dell’insegnamento e dell’apprendimento, ha sviluppato, nel tempo, una “passione” per le dinamiche dei processi cognitivi, che chiamano in causa l’educazione, come fattore determinante e formante di qualsiasi identità. È autrice di studi e pubblicazioni che pongono in rilievo il rapporto tra società, scuola e famiglia. La sua riflessione pone al centro l’allievo inteso come futuro cittadino e unico architetto del proprio destino e indaga le prospettive offerte dalla post-modernità, interrogandosi sull’ adeguatezza dei modelli e dei metodi formativi che vengono proposti alle giovani generazioni