Intervista con Maria Poscolieri, presidente dell’associazione Museum (Roma)
A cura di Lavinia Tosi (*)
Applicare i concetti di accessibilità ed inclusione all’interno dei luoghi della cultura non è sempre facile, tanto più quando ci occupiamo del rapporto specifico tra musei e persone con disabilità visiva: il divieto di toccare, la forte componente visuale delle opere esposte, la mancanza di supporti didattici adeguati… sono solo alcuni degli ostacoli che si frappongono fra il visitatore e la piena possibilità di fruizione.
Oggi l’utilizzo della tecnologia sta però aprendo nuove prospettive anche in questo campo. Lo sfruttamento delle tecniche di stampa 3D, ad esempio, ha già dato ottimi risultati non solo nel produrre repliche delle opere ma anche nel creare sussidi estremamente utili, come le tavolette tattili: questo genere di strumenti porta con sé un grande potenziale specialmente se la progettazione avviene in un’ottica di multisensorialità, come dimostrato dall’esperienza di L. C. Quero, J. I. Bartolomé e J. D. Cho, che sono stati in grado di creare e testare un prototipo di guida museale multimodale basato su stimoli auditivi e tattili[1].

Utilizzo di haptic gloves nel contesto del progetto “Touching Masterpieces” (fonte: https://www.youtube.com/watch?v=ZukE86YTvhk)
Anche le tecnologie immersive stanno trovando spazio ed applicazione in questi contesti, soprattutto tramite l’utilizzo della realtà aumentata che, tra le altre cose, permette un’esplorazione tattile “virtuale” dei reperti, possibile grazie a particolari pad o guanti. Diverse sono le esperienze concrete anche in questo senso: nel 2018 ad esempio, durante la mostra “Touching Masterpieces” presso la Galleria Nazionale di Praga, è stato sperimentato l’uso di “guanti aptici” (o haptic gloves) nell’esplorare le repliche virtuali di alcune opere tramite realtà aumentata[2]; altra esperienza, in questo caso italiana, è quella dei Musei Civici di Monza, che nel rinnovare totalmente il proprio percorso espositivo in chiave inclusiva hanno anche deciso di inserire una postazione in grado di offrire ai visitatori un’esperienza virtuale multisensoriale, rendendo possibile l’esplorazione di alcune opere grazie all’utilizzo di speciali “mouse” in grado di replicare stimoli e sensazioni tattili quali la temperatura, il volume, la sensazione del materiale a contatto con la pelle, ecc…[3]
Esperienze di questo genere aiutano gli operatori museali a comprendere al meglio le potenzialità di questi strumenti; per progettare esperienze di visita inclusive ed appaganti, però, la tecnologia non basta: è necessario aprire canali di dialogo e confronto con il pubblico di riferimento, sperimentando insieme a loro soluzioni e strumenti innovativi, proponendo esperienze di visita che siano frutto di una progettazione partecipata. In questo senso è fondamentale mettersi in ascolto delle realtà che lavorano nel settore: una di queste è Museum[4], associazione operante a Roma e dintorni dal 1994. Grazie ad un’intervista con Maria Poscolieri, presidente dell’associazione, è stato possibile approfondire alcuni dei temi che riguardano disabilità e cultura.
Come è strutturato il lavoro all’interno dell’Associazione?
La nostra Associazione quest’anno compie 30 anni, siamo quindi ormai dei veterani in questo campo. Lavoriamo a Roma e provincia, e i nostri sono tutti volontari “puri”: le persone che donano il proprio tempo per organizzare e fare le visite tattili, i corsi di formazione, i laboratori tattili e in generale tutte le attività che noi svolgiamo, lo fanno tutte a titolo gratuito. Tutte le attività che svolgiamo infatti sono ovviamente gratuite per la nostra utenza, formata principalmente da persone con disabilità visiva.
Oltre alle attività dedicate a persone con disabilità visiva, già in parte citate, quali sono le attività invece dedicate al pubblico vedente? Che tipo di visitatori sono questi ultimi, come entrano in contatto con la vostra Associazione?

Visite guidate tattili organizzate dall’Associazione Museum (fonte: https://www.assmuseum.it/visite_tattili/)
Quando facciamo le visite tattili, oppure organizziamo laboratori come il teatro al buio, lavoriamo ad esempio con gli studenti e proponiamo loro di svolgere l’esperienza tattile da bendati. Anche le persone che vengono al Teatro al buio vengono bendate, e assistono così allo spettacolo e alla visita tattile attraverso gli altri sensi. Le persone che vengono sono pubblici vari… Possono essere delle persone che ci conoscono o che vengono a conoscenza della nostra attività e partecipano gratuitamente ad essa; non sono esclusivamente parenti o amici delle persone con disabilità visiva — o degli attori, nel caso del Teatro al buio. Il pubblico è essenzialmente un pubblico interessato a fare questa esperienza, quindi il più vario possibile.
Anche per quanto riguarda le visite che facciamo con le classi, a volte cerchiamo classi integrate al cui interno ci sia un ragazzo o una ragazza con disabilità visiva, proprio per far capire ai loro compagni quanto sia importante svolgere una visita attraverso il tatto, e quindi coinvolgere tutta la classe includendo al massimo lo studente che abbia questo tipo di problema. Purtroppo ancora spesso accade infatti che quando vengono organizzate visite guidate per classi in cui è presente un alunno con disabilità visiva, vengano fatte due visite diverse, una per l’alunno con disabilità e una per il resto della classe: questa la troviamo una cosa veramente negativa, quindi quando possiamo cerchiamo di organizzare attività per tutta la classe nel suo insieme. Queste esperienze vengono portate avanti comunque anche in classi in cui non c’è nessun alunno con questo tipo di disabilità: siamo aperti a far capire l’importanza dell’esperienza tattile per tutti.
Secondo la vostra esperienza è possibile tramite queste attività incrementare l’inclusione, la coesione sociale? Si creano delle situazioni di scambio e di incontro?
Questo succede sicuramente, in tutte le esperienze che facciamo, anche nelle esperienze che facciamo con le scuole: queste visite nello specifico vengono solitamente tenute da persone con disabilità visiva — persone che hanno ormai esperienza in questo capo — a cui noi chiediamo, col supporto dei nostri volontari, di fare da guida ai ragazzi durante la visita; c’è un contatto diretto tra alunno e guida con disabilità visiva, e c’è uno scambio molto interessante in questo senso.
Lo stesso avviene con il Teatro al buio o anche altre esperienze che abbiamo avuto con pubblici vedenti, che riescono in questo modo ad immedesimarsi nella situazione della persona che non vede. Certo, queste sono tutte esperienze momentanee, non possono mai far capire fino in fondo cosa vuol dire non vedere; è comunque qualcosa che può sensibilizzare nei confronti delle problematiche delle persone con disabilità visiva, ma anche aiutare a riscoprire una serie di sensi che troppo spesso trascuriamo, come il senso del tatto che crescendo viene sempre più messo da parte ma che è invece un senso molto importante.
Oggi è largamente riconosciuta l’importanza di creare esperienze culturali sempre più inclusive ed accessibili da parte di diversi pubblici, come ad esempio il pubblico con disabilità (ancora troppo spesso escluso da questo genere di attività). Come rispondereste a chi dovesse chiedervi perché l’inclusione è importante, e in che modo il vostro lavoro è necessario?
E’ un discorso di civiltà. Noi ci siamo resi conto negli anni che fare questo tipo di visite e laboratori, aprire i musei alle persone con disabilità visita, è fondamentale perché l’inclusione non è solo una parola, e non si limita all’apposizione di qualche didascalia in Braille: inclusione è dare la possibilità a tutti i pubblici di potersi emozionare davanti a delle opere d’arte e all’interno dei musei, ognuno secondo le proprie disabilità e problematiche ovviamente.
Se per la persona cieca o ipovedente è importante toccare, non si può escludere questa possibilità. Se ci sono delle sculture devono essere toccate, e le modalità sono le più varie, decise caso per caso dal restauratore. La pittura rappresenta l’elemento più complicato, e lì sono importanti i sussidi didattici, che aiutano a comprendere l’iconografia del quadro; non ci si può comunque fermare all’iconografia, c’è bisogno di trasmettere l’emozione che l’opera dà.
Inclusione vuol dire aprire gli spazi, dando alle persone la possibilità di conoscerli, ognuno secondo le proprie esigenze. Ad esempio una cosa su cui cerchiamo sempre di lavorare, non con poche difficoltà, sono le mostre temporanee: dalla maggior parte di queste le persone con disabilità visiva vengono completamente escluse; è necessario infatti utilizzare in questi casi sussidi didattici e non solamente descrivere a voce le opere. Spesso noi ci troviamo le porte chiuse in questo senso, e le nostre visite non vengono accettate pur essendo completamente gratuite per l’ente organizzatore della mostra.
E perché, secondo lei, questo genere di visite viene così spesso rifiutato?
Perché non interessa, spesso gli organizzatori pensano che sia superfluo. Perché il pubblico in questione non è un pubblico pagante, e può creare fastidi — noi ovviamente abbiamo bisogno di molto più tempo davanti ad ogni opera rispetto ad un visitatore standard, e possiamo rappresentare un minimo elemento di disagio per l’ente organizzatore. Questo è comunque qualcosa di superabile. Abbiamo organizzato, ad esempio, delle visite presso la mostra di Klimt (Palazzo Braschi), e ci è stata data la possibilità di svolgerle un’ora prima rispetto all’apertura al pubblico della mostra; questo ci ha permesso una visita ottimale, e abbiamo avuto anche un riscontro estremamente positivo da parte dei visitatori, che hanno partecipato ad una visita organizzata alle 8 del mattino, venendo anche prima di andare a lavoro, sottolineando come ci sia una grande voglia di tutto questo. Spesso ci si riempie la bocca con parole come inclusione, ma quando poi la si chiede nel concreto emergono i problemi. Ci è capitato di mostre in cui erano presenti statue, posizionate all’esterno e quindi esposte alle intemperie, e nonostante questo non ci è stato permesso di svolgere con esse delle visite tattili… C’è ancora molto da fare.
Le persone in ogni caso vogliono venire a questi eventi, vogliono uscire e muoversi, anche se ciò risulta spesso molto difficoltoso; quando vengono lo fanno perché hanno voglia e passione, lo fanno molto volentieri e sono entusiaste alla fine delle visite. Questo è un elemento da tenere in considerazione, non è secondario
A volte capita che, quando un museo organizza servizi per persone con disabilità, il riscontro non sia pienamente positivo, e che il numero di persone che prendono parte alle iniziative o usufruiscono di tali servizi sia davvero molto basso. Nel caso della vostra Associazione, quali sono i numeri connessi alla partecipazione alle attività da voi organizzate?
Noi ormai abbiamo una vasta rete di conoscenze di persone con disabilità visiva. Quando programmiamo una visita, il numero di persone è sempre limitato e per questo cerchiamo di riproporre questo genere di attività nel tempo. Per quanto riguarda la pittura scegliamo al massimo 4 opere, e il rapporto tra persone con disabilità e volontari deve essere di 1:1; nel caso delle sculture possiamo avere anche due persone con disabilità visiva per ogni volontario, ma comunque i numeri devono essere necessariamente limitati. Quando organizziamo questo tipo di visite inoltriamo la notizia a tutti i nostri iscritti, e capita anche di non poter accettare delle richieste perché il numero massimo è già stato raggiunto — e in questi casi cerchiamo di riprogrammare la visita in un altro momento. Per noi è abbastanza difficile che una proposta di visita guidata rimanga senza risposte.
Per quanto riguarda i musei che operano autonomamente, una possibilità è quella di comunicare con l’Unione Italiana Ciechi (nel caso di attività dedicate a visitatori con disabilità visiva, ndr); evidentemente a volte non c’è personale abbastanza formato per poter spiegare le opere nel modo giusto, o non dispongono di supporti tattili adeguati. Attualmente tramite i fondi del PNRR è possibile fare molto in questa direzione, ma l’importante è fare bene.
[1] L. C. Quero, J. I. Bartolomé e J. D. Cho, Accessible Visual Artworks for Blind and Visually Impaired People: Comparing a Multimodal Approach with Tactile Graphics, “Electronics”2021, 10, 297 (https://doi.org/10.3390/ electronics10030297).
[2] D. Enns, Museum uses Virtual Reality to allow blind people to ‘see’ famous sculptures, “MuseumNext”, 28 marzo 2018 (https://www.museumnext.com/article/museum-uses-virtual-reality-to-allow-blind-people-to-see-famous-sculptures/).
[3] Musei Civici di Monza | Progetto PNRR (https://museicivicimonza.it/accessibilita/progetto-pnrr-interventi-volti-a-favorire-laccessibilita-fisica-sensoriale-e-cognitiva-dei-musei-civici-di-monza-ed-assicurarne-la-fruizione-in-autonomia/).
[4] Associazione Museum, https://www.assmuseum.it/

Lavinia Tosi (1999) consegue la laurea triennale in Valorizzazione dei Beni Culturali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ottenendo in seguito una laurea magistrale in Economia e Gestione dei Beni Culturali presso l’Università Cattolica di Milano, curriculum Economia e gestione dei musei e degli eventi espositivi. Negli anni si occupa di tematiche quali la valorizzazione di beni e pratiche culturali territoriali, l’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito culturale, accessibilità del patrimonio e disabilità.