A cura di Lavinia Tosi (*)
L’utilizzo della tecnologia in contesti culturali è ormai una prassi consolidata, e le più recenti innovazioni vengono oggi applicate all’interno di musei e altri luoghi della cultura, con obiettivi che vanno dalla conservazione del patrimonio culturale all’aumento dell’engagement, e con la speranza di raggiungere un sempre più vasto bacino di pubblico.
Non mancano, poi, esperienze di utilizzo della tecnologia al fine di implementare il livello di accessibilità e di inclusività dei luoghi della cultura. Pensiamo, ad esempio, all’uso della stampa 3D per facilitare la fruizione tattile da parte di soggetti con disabilità visiva, oppure all’impiego della realtà virtuale o della realtà aumentata — strumenti di cui possono beneficiare svariate tipologie di visitatori, da quelli con disabilità visiva a quelli con specifici disturbi cognitivi o dell’apprendimento. Le possibilità di incontro tra tecnologia e patrimonio sono svariate, e molte di queste hanno ormai un utilizzo consolidato all’interno delle istituzioni culturali; esiste però un approccio ancora poco esplorato, con caratteristiche che lo rendono estremamente promettente in questo ambito di studi: il videogioco, e quel processo di ludicizzazione studiato e conosciuto come gamification.
La gamification
La gamification, o ludicizzazione, consiste nell’inserimento di elementi legati al mondo del gaming in contesti non ludici, sfruttando le dinamiche ed i meccanismi tipici del gioco ed applicandoli in svariati ambiti, dal marketing alla didattica. In anni recenti questo approccio è stato oggetto di diversi studi, molti dei quali concentrati sul rapporto tra ludicizzazione e apprendimento: è stato indagato, soprattutto, il possibile collegamento tra l’utilizzo di tale metodologia e l’incremento di aspetti quali coinvolgimento e motivazione — il cosiddetto engagement — nei destinatari di tali iniziative, siano essi potenziali clienti, studenti, o visitatori di un museo.
Questo potenziale emerge anche in diverse definizioni di gamification, in cui più volte il coinvolgimento viene citato, raccolte da Yvonne Vezzoli e Alice Tovazzi[1] in una revisione sistematica della letteratura sul tema in questione, datata 2018. Secondo Vassileva, ad esempio, la ludicizzazione può essere identificata come “the integration of Games Mechanics in non-game environments to increase audience engagement, loyalty and fun”; in un altro caso, Bowker descrive tale approccio come “the use of game thinking and game mechanics in a non-game context in order to engage people”. La possibilità di ottenere maggiore motivazione, specialmente nei processi di apprendimento, viene evidenziata anche da Flores, secondo cui la gamification può essere intesa come una strategia pedagogica: “it empowers and engages the learner with motivational skills towards a learning approach”.
Videogame e disabilità
Il gioco da sempre rappresenta un mezzo fondamentale non solo per quanto riguarda i processi di apprendimento, ma anche dal punto di vista dell’inclusione sociale: l’atto del gioco costituisce infatti un’interazione sociale fondamentale, a prescindere dall’età.
Oggi le attività ludiche sono caratterizzate da un forte legame con il digitale, e videogame e gaming culture rappresentano per moltissimi individui, specialmente tra i giovani e i giovanissimi, uno strumento relazionale e un mezzo di inclusione. Ciò comporta, di contro, che l’impossibilità di accedere ad esperienze di questo tipo divenga, per i soggetti impossibilitati, occasione di esclusione: da qui l’importanza e la necessità di progettare esperienze di gioco inclusive, che possano essere fruite da un’ampia varietà di pubblici.
Un esempio su tutti è rappresentato dalle difficoltà che i giocatori non vedenti affrontano nel trovare esperienze di gioco basate su stimoli auditivi e tattili, ovvero per loro accessibili, e che risultino allo stesso tempo appaganti. Il settore degli audiogame, infatti, rimane ancora un settore di nicchia, che nella maggior parte dei casi non riesce a risultare appetibile per il grande pubblico ma si rivolge solamente ad una specifica categoria di utenti: la necessità di dare luogo ad esperienze di gioco maggiormente inclusive non viene in questo modo pienamente soddisfatta, in quanto ci si limita a creare un prodotto diverso per uno specifico target.
Spesso, infatti, i videogame progettati specificatamente per utenti con disabilità visiva rischiano di non risultare accessibili ai giocatori vedenti: utilizzando solo l’audio, ed eliminando totalmente gli aspetti grafici, si crea un’esperienza di gioco difficile da gestire per chi non abbia dimestichezza con questo tipo di comunicazione. Di conseguenza, la progettazione di videogame specializzati per determinate categorie di utenti finisce per creare ancora più esclusione e separazione, in quanto non tiene conto dei bisogni generali di tutti giocatori, andando oltre il concetto di disabilità. Per ovviare a queste problematiche è necessario quindi progettare dei videogame inclusivi e non solo accessibili, che non si rivolgano quindi ad un bacino di utenti distinto solo in base alla “caratteristica” della disabilità, ma che invitino tutti i giocatori alla partecipazione ed alla condivisione di un’esperienza comune.
Questo è quello che hanno provato a fare Wilhelmsson, Engström, Brusk e Östblad[2], in un progetto che ha portato alla creazione di “Frequency Missing”, un adventure game pensato per essere fruito allo stesso modo da giocatori vedenti e non.
Gli adventure games sono basati principalmente sull’interazione del giocatore con la trama, tramite l’esplorazione dell’ambiente di gioco e la risoluzione di puzzle ed enigmi. La scelta di questa tipologia di gioco è dovuta soprattutto al fatto che gli elementi fondamentali della narrazione vengono abitualmente veicolati tramite dialoghi tra i personaggi, che si presentano in forma scritta o parlata. Tali caratteristiche rendono possibile lo sviluppo di un gioco fruibile anche in modo esclusivamente sonoro: assicurandosi in fase di progettazione che l’audio dia accesso agli utenti a tutti gli elementi chiave del gioco, si permette loro di scegliere in quale modo rapportarsi all’esperienza, in base alle proprie esigenze personali. “Frequency Missing”, il videogame sviluppato per lo studio in questione, si presenta come un adventure/puzzle game, in cui l’utente interagisce col gioco tramite il tatto — in una modalità definita point and click. Allo scopo di permettere la fruizione da parte di giocatori non vedenti, ogni aspetto dell’esperienza di gioco è legato ad uno specifico suono, e tutti gli elementi e le informazioni fondamentali vengono veicolate allo stesso modo dalla grafica e dall’audio. Gli aspetti di sound design sono stati infatti tenuti particolarmente in considerazione nelle fasi di sviluppo di questo videogame, durante le quali la collaborazione tra game designer ed audio designer ha portato alla creazione di una grafica di gioco cucita attorno all’audio, e non viceversa, come invece succede nella maggior parte dei casi; è stata infatti decisa prima la distribuzione degli oggetti nello spazio, che non dovevano essere troppo vicini tra loro per permettere un’adeguata esplorazione tattile e una conseguente attivazione dei feedback sonori, e solo in seguito la grafica è stata costruita attorno a tali oggetti. Un’ulteriore riflessione ha riguardato gli elementi di audiodescrizione, attivabili sempre tramite il tocco, che non avrebbero dovuto interferire con l’esperienza dei giocatori vedenti.
Il videogame è stato analizzato tramite una valutazione di usabilità, in cui 19 persone — 10 vedenti e 9 non vedenti —, dopo aver giocato il primo capitolo di “Frequency Missing”, sono state sottoposte a delle domande; è stato utilizzato un approccio di analisi qualitativo, allo scopo di verificare l’eventuale completamento del primo livello dopo una seduta di gioco della durata massima di 25 minuti. Tramite le domande aperte sottoposte ai giocatori, i ricercatori hanno anche cercato di capire quanto i contenuti del gioco siano stati compresi, e quali fossero i livelli di soddisfazione e coinvolgimento provati. Sicuramente il gioco è stato apprezzato in media da tutti i partecipanti: il design inclusivo non ha interferito con l’esperienza dei giocatori vedenti, aspetto positivo anche per i partecipanti non vedenti che hanno potuto fruire di un gioco non eccessivamente semplificato, ma col giusto livello di difficoltà per entrambi i gruppi. Per quanto riguarda il livello di comprensione della trama, i soggetti con disabilità visiva sono riusciti a dare risposte più articolate e complete, citando complessivamente un numero maggiore di elementi della storia rispetto ai partecipanti vedenti. Anche per quanto riguarda i personaggi e le loro caratteristiche, i soggetti non vedenti sono riusciti a dare un numero maggiore di informazioni e commenti: questi risultati potrebbero indicare che, nonostante la maggior difficoltà riscontrata in media nel completare il livello entro i 25 minuti stabiliti, i partecipanti con disabilità visiva abbiano in generale prestato più attenzione alle sequenze audio e soprattutto ai dialoghi, sviluppando così un maggior coinvolgimento nei confronti della trama stessa.
Questo studio è particolarmente interessante in quanto è riuscito nell’intento di creare un’esperienza di gioco non solo accessibile, ma soprattutto stimolante ed emozionante per entrambi i gruppi di utenti analizzati — con o senza disabilità. È auspicabile, comunque, che futuri sviluppi in questo ambito di studi presentino esperienze di gioco progettate per essere fruite da una più ampia varietà di utenti: sfruttando modalità di interazione alternative, così come diversi strumenti per veicolare la trama, l’uso di questo tipo di videogame si aprirebbe, ad esempio, anche ad un pubblico con disabilità uditiva, senza che la fruizione da parte di altre tipologie di utenti venga limitata in alcun modo. Le limitazioni di questa ricerca sono legate quasi esclusivamente al numero di partecipanti al test di usabilità, troppo esiguo per poter trarre delle conclusioni definitive. In ogni caso l’esperienza descritta rappresenta un ottimo punto di partenza per indagare maggiormente benefici e criticità insiti nella progettazione di videogiochi audio, nonché un possibile riferimento per chi volesse sviluppare un’esperienza simile, contestualizzandola anche in ambito culturale.
Una realtà italiana che si sta occupando di questi temi, concentrandosi sulla creazione di esperienze di gioco fruibili da parte di persone con disabilità visiva, è Novis Games[3]. L’obiettivo principale del team è quello di “rendere il gaming accessibile ed inclusivo per tutti”. Nello specifico, l’impresa ha realizzato uno strumento che rende possibile, per gli sviluppatori, implementare l’accessibilità dei propri videogame e crearne delle versioni inclusive; tale tecnica si adatta a diverse esperienze di gioco, declinando il metodo e la filosofia di Novis Games secondo le varie esigenze di developer e game designer.
Videogame e istituzioni culturali
Una realtà di punta nell’utilizzo della gamification in ambito culturale è l’associazione TuoMuseo[4], fondata da Fabio Viola e operante a livello europeo grazie anche al sostegno economico ottenuto a seguito della vittoria del bando Innovazione Culturale di Fondazione Cariplo. Tra i vari videogame sviluppati da questo team il più conosciuto è certamente “Father and Son”, realizzato nel 2019 per conto del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: tale gioco ha raggiunto un successo straordinario, entrando nelle classifiche dei videogiochi più scaricati in moltissimi paesi e superando i 4 milioni di download. Questo tipo di notorietà apre le porte anche ad un utilizzo non solo didattico ed educativo dell’esperienza di gioco, che in questo caso si configura come vera e propria opportunità di promozione territoriale: è stato stimato, infatti, che l’interesse per il videogame abbia dato luogo ad oltre 20 mila ingressi fisici presso il Museo Archeologico, numeri che si concretizzano in importanti flussi economici per la città e per il museo stesso.
Videogame, cultura e disabilità: la strada da percorrere
I videogame, come abbiamo visto, hanno un potenziale sia come modalità innovative di valorizzazione e promozione del patrimonio, sia come strumenti di inclusione, che possono facilitare l’accesso a svariate esperienze per diverse tipologie di utenti. In alcuni casi, comunque, questi due ambiti di studio si sono fusi, per dare vita a dei serious games dedicati a specifiche istituzioni culturali o percorsi museali.
Un’esperienza in questo senso degna di nota, che ha portato all’incontro tra ludicizzazione, musei e disabilità sensoriali, è stata quella del Neanderthal Museum[5] di Mettmann, in Germania. Tale istituzione è stata infatti protagonista della sperimentazione e dello sviluppo di un’applicazione museale consistente in un gioco audio, il cui utilizzo non sfrutta quindi la vista come stimolo primario. Anna Riethus nel 2020 ha pubblicato un resoconto[6] del progetto “NMsee”, tutt’ora attivo: è infatti possibile scaricare l’applicazione sul proprio dispositivo, ed il suo utilizzo viene sponsorizzato anche attraverso il sito web del museo. Il punto di partenza di tale iniziativa è stato l’esito di due workshop, tenutisi nel 2019, che hanno potuto beneficiare del contributo di esperti del mondo del gaming e dell’audio design, così come di professionisti del settore culturale e museale, che hanno lavorato insieme a persone con disabilità visiva, sfruttando quindi i benefici di un’approccio partecipativo.
Il progetto ha come scopo la creazione di uno strumento inclusivo, che permetta a diverse tipologie di visitatori l’esplorazione del percorso museale, sfruttando il potenziale di diversi dispositivi e tecnologie: la praticità e l’elevato livello di accessibilità degli smartphone vengono abbinati all’alto grado di immersione e coinvolgimento dei videogame; contribuisce alla buona riuscita del progetto anche la diffusione sempre maggiore di applicazioni museali, fruibili tramite device personali. L’unione di questi elementi ha portato alla creazione di un audio-game, un’avventura basata solamente su stimoli auditivi e tattili. L’esperienza di gioco si sviluppa attorno ad una narrazione, una storia che viene ascoltata man mano che si avanza e si cammina tra le stanze del museo, grazie all’aiuto della funzione di navigazione interna e del sistema di pavimentazione tattile. L’applicazione sfrutta inoltre i punti del percorso museale che ospitano riproduzioni tattili, inserite nell’esposizione permanente già nel 2016 a seguito di un rinnovamento della stessa; questi punti di interesse vengono infatti integrati nell’audio-game, che in loro corrispondenza invita il giocatore ad avvicinarsi ed interagire con gli oggetti. Tramite il tatto, l’esplorazione dell’ambiente museale, e l’interazione con il gioco stesso, il visitatore è in grado di seguire la narrazione fino alla risoluzione di un mistero, scopo finale dell’avventura.
Lo sviluppo di questo audiogame si inserisce in un contesto museale già attento ad accessibilità ed inclusione, soprattutto del pubblico con difficoltà visive; grazie anche ad elementi del percorso già fruibili da parte di diverse tipologie di visitatori, è stato possibile sviluppare uno strumento tecnologico coinvolgente, che permettesse a tutti, tramite un’esplorazione del museo diversa dal solito, la stessa esperienza di visita.
Il modo in cui il gioco è stato progettato, oltre ad avere evidenti benefici per quanto riguarda la disabilità visiva, ha anche un vantaggio fondamentale per il pubblico generico, che lo differenzia sostanzialmente da altre sperimentazioni simili in ambito museale: lo sfruttamento esclusivo dell’audio, nell’erogazione di informazioni così come nell’interazione tra applicazione ed utente, invita il visitatore a concentrarsi sull’esposizione, convogliando l’attenzione sul contesto piuttosto che sul dispositivo tecnologico. In questo modo è possibile sfruttare la tecnologia come strumento per una migliore comprensione e per una maggiore inclusione, senza che l’esperienza virtuale si sostituisca o interferisca in alcun modo con quella culturale.
[1] Y. Vezzoli, A. Tovazzi, Il Valore Pedagogico della Gamification: una Revisione Sistematica, in “Formazione e Insegnamento”, vol. 16, n°1, 2018.
[2] U. Wilhelmsson, H. Engström, J. Brusk, P.A. Östblad, Inclusive game design facilitating shared gaming experience, in “Journal of Computing in Higher Education”, vol. 29, 2017.
[3] Novis Games, https://www.novisgames.com/
[4] Associazione Culturale TuoMuseo, https://www.tuomuseo.it/
[5] Neanderthal Museum, https://neanderthal.de/de
[6] A. Riethus, An Inclusive Prehistory Game by the Blind and Visually Impaired. Creatingan Inclusive App Game on Prehistoric Archaeology with the BSVN e.V. for the PermanentExhibition of the Neanderthal Museum, in Communicating the Past in the Digital Age, a cura di S. Hageneuer(Ubiquity Press, Londra, 2020).
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Lavinia Tosi (1999) consegue la laurea triennale in Valorizzazione dei Beni Culturali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ottenendo in seguito una laurea magistrale in Economia e Gestione dei Beni Culturali presso l’Università Cattolica di Milano, curriculum Economia e gestione dei musei e degli eventi espositivi. Negli anni si occupa di tematiche quali la valorizzazione di beni e pratiche culturali territoriali, l’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito culturale, accessibilità del patrimonio e disabilità.