di Filippa Alcamesi
Abstract
Il processo di trasformazione digitale all’interno della scuola è in atto da tempo. Ma quali sono i fattori che l’influenzano maggiormente? Quali sono i requisiti per un’implementazione efficace? Quali le conseguenze più significative e le principali difficoltà incontrate dalla comunità educante? Filippa Alcamesi, docente di lingua Inglese presso l’Istituto Superiore “Ruggiero D’Altavilla” di Mazara del Vallo, fornisce una risposta nel suo ultimo libro Education 4.0. Verso un nuovo paradigma cognitivo.
Premessa
I ragazzi di oggi si trovano immersi in un mare di nuovi strumenti digitali, reti di comunicazione e forme di socializzazione che li porta a nuovi e diversificati modelli di apprendimento, spesso in autogestione, innescate dal processo quasi inconsapevole di esplorazione di linguaggi, giochi, interazione sociale, problem solving.
Grazie al mio lavoro di insegnante, componente del team dell’innovazione, funzione strumentale al PTOF per il supporto agli alunni e referente per la comunicazione, mi è stato possibile assistere da un palcoscenico privilegiato ai timidi tentativi di innescare il processo di transizione digitale, alle resistenze da parte del personale più tradizionalista, al passaggio dall’emergenza alle buone pratiche con la pandemia, al piano ambizioso del PNRR per la scuola del futuro. Posso affermare con certezza che la scuola rappresenta un ecosistema ideale per iniziare un percorso di trasformazione digitale completo.
Il processo che ha preso inizio dalla rivoluzione digitale, con l’ingresso dirompente di Internet all’interno della vita quotidiana si è ulteriormente sviluppato e ha accelerato la sua avanzata in maniera ancor più evidente anche nel mondo della scuola, fino a poco tempo fa reticente all’apertura verso la digitalizzazione. La diffidenza e lo scetticismo iniziali nei confronti del mondo digitale sono sentimenti ormai quasi completamente superati e sono chiari a tutti i potenziali benefici che possono essere tratti da un utilizzo appropriato dei canali online anche dal punto di vista didattico. La scuola, oggi, così come la società contemporanea, presenta nuovi scenari caratterizzati da forti e significative interconnessioni tra l’intero sistema scolastico e l’innovazione verso cui il mondo dell’educazione si sta irreversibilmente dirigendo.
La possibilità di accesso alla web technology, con la smaterializzazione dei contenuti, la loro facile accessibilità e flessibilità (possono essere creati, condivisi, riutilizzati e modificati in continuazione), hanno potenzialmente aumentato significativamente le possibilità educative dei social media, mettendo in discussione il paradigma educativo tradizionale.
Il modo di conoscere è cambiato, perché la conoscenza non si raggiunge solo nel luogo fisico “scuola”, ma anche negli spazi virtuali on line. Non più soltanto sul libro cartaceo, con il suo ordine costituito, ma anche su blog (di insegnanti o di scuole), piattaforme di apprendimento, Risorse Didattiche Aperte (OER) e tutti quegli strumenti online che consentono attività didattiche aperte e condivise. Queste risorse, liberamente disponibili online, stanno cambiando il volto dell’educazione, aprendo nuove opportunità per insegnanti e studenti in tutto il mondo. Le Risorse Didattiche Aperte (OER), in particolare, rappresentano uno dei pilastri di questa trasformazione in quanto risiedono nel dominio pubblico o sono stati rilasciati con una licenza aperta che ne consente gratuitamente l’utilizzo, l’adattamento e la condivisione. Questi materiali possono includere testi, video, presentazioni, esercizi, moduli di apprendimento e molto altro globalmente accessibili a studenti e insegnanti. Grazie alla flessibilità delle OER, gli insegnanti possono selezionare, adattare e combinare materiali per creare esperienze di apprendimento personalizzate, soddisfacendo le esigenze individuali degli studenti e coinvolgendoli quindi in modo più efficace.
Gli studenti di oggi e le smartbord
Mi soffermo su uno degli strumenti tecnologici ormai più usati perché presenti in ogni scuola e quasi in ogni classe ormai, i monitor touch o smartboard. “When students use these tools to construct models, they are learning with the computer, not from it. Computers become intellectual partners […] by helping learners to articulate and represent what they know (not what the teacher knows) and for reflecting on what they have learned and how they came to know.” (Jonassen, 2011, 306-307). Per usare le parole di Jonassen, i dispositivi tecnologici computer-based sono partner intellettuali del discente. Questa deve essere la funzione delle LIM o dei monitor touch in un’aula, strumento di costruzione di conoscenza, mindtools con cui gli studenti apprendono effettuando attività di analisi, valutazione, sintesi, soluzioni di problemi, riflessione sul sapere per costruire nuova conoscenza.
I monitor touch, che rappresentano la naturale evoluzione delle Lavagne Interattive Multimediali (LIM), si integrano perfettamente con gli ambienti digitali perennemente connessi a Internet, configurandosi essa stessa un ambiente di apprendimento innovativo che connette, in uno stesso luogo, diversi media, Internet, il mondo dei social network, il podcasting. Questa sua caratteristica le consente anche di favorire quella predisposizione di atteggiamenti e disposizioni della mente innovativi con le quali l’apprendimento diventa indagine e la conoscenza si costruisce attraverso la creatività e lo spirito critico.
Il tentativo di creare contesti di apprendimento con cui i ragazzi di oggi hanno già confidenza è stato fatto, in più occasioni. Si pensi, ad esempio, l’ibridizzazione dei linguaggi tentata con la diffusione delle LIM in classe da parte del Ministero dell’Istruzione a partire dal 2009 (Progetto Scuola Digitale – Piano Diffusione LIM). La LIM sembrava apparentemente una lavagna più moderna, che si installava al muro accanto alla tradizionale lavagna di ardesia integrandosi immediatamente nell’ambiente classe. Tuttavia, era il primo passo per far entrare in aula i nuovi linguaggi, suoni, colori, immagini e filmati, interazioni e simulazioni, tutte attività atte a valorizzare le intelligenze multiple degli studenti nell’era dei nuovi media. Un’evoluzione ulteriore è poi rappresentata dalle nuove smartboard, cioè dei monitor touch con sistema operativo integrato, spesso Android, e applicazioni precaricate che trasformano questo monitor in uno strumento potente e versatile ricco di risorse che permettono di generare contenuti digitali e interagire con essi.
La smartboard è come un grande tablet dove più alunni possono scrivere contemporaneamente il proprio testo o condividere il proprio contributo. Questo contenuto, proprio come in un tablet, può essere modificato o commentato da tutta la classe, dando vita in tal modo a un unico elemento raccontato, costruito e condiviso. Come prima la LIM, la smartboard è stata concepita come una superficie di condivisione e socializzazione dei contenuti e del processo di costruzione ed elaborazione della conoscenza. È questa sicuramente la caratteristica che più rende innovativo questo strumento.
La differenza sostanziale rispetto al PC è che l’uso della smartboard è centrato sui bisogni dell’utente, sul compito da svolgere e sul contesto in cui il prodotto multimediale deve essere situato. L’uso basico della smartboard, che avviene in modo semplice e intuitivo, si avvicina al linguaggio dell’utenza a cui si rivolge, cioè la generazione iGen, quella che non ha mai visto un telefono fisso o una cabina telefonica in utilizzo. Per la nuova generazione di studenti è fondamentale poter usare gli applicativi, più del web in sé, per l’uso del quale hanno bisogno di una guida più sicura. Sono le app che ormai quotidianamente risolvono i problemi e che hanno sicuramente migliorato diversi aspetti della nostra realtà di ogni giorno. Il monitor, in questo senso, con il suo sistema Android o Windows e le app dedicate, diventa quindi uno strumento di classe fondamentale per avvicinarsi al linguaggio comunicativo di oggi. Questo sistema integrato, in ambito didattico, potrebbe rendere migliore il processo di apprendimento, sfruttando le tecniche e le modalità in uso nella vita quotidiana di ogni alunno. Vale la pena sfruttare la facilità e disinvoltura con le quali usano tali applicazioni a vantaggio dell’apprendimento, contribuendo a stimolare la creatività e a condividere conoscenza. Le funzioni di screen sharing, o e-sharing, che permettono di condividere i contenuti con i dispositivi digitali degli alunni, nonché la possibilità che più utenti possano interagire sulla superficie, sono ulteriori risorse che favoriscono l’attivazione di una didattica collaborativa e interattiva, in cui gli alunni interagiscono direttamente con lo strumento mettendo in pratica le competenze acquisite.
Le smartboard o monitor touch si integrano perfettamente con gli ambienti digitali perennemente connessi a Internet, configurandosi essa stessa un ambiente di apprendimento innovativo che connette, in uno stesso luogo, diversi media, Internet, il mondo dei social network, il podcasting. Questa sua caratteristica le consente anche di favorire quella predisposizione di atteggiamenti e disposizioni della mente innovativi con le quali l’apprendimento diventa indagine e la conoscenza si costruisce attraverso la creatività e lo spirito critico.
Il tentativo di creare contesti di apprendimento con cui i ragazzi di oggi hanno già confidenza è stato fatto, in più occasioni. Si pensi, ad esempio, l’ibridizzazione dei linguaggi tentata con la diffusione delle LIM in classe da parte del Ministero dell’Istruzione a partire dal 2009. La LIM sembrava apparentemente una lavagna più moderna, che si installava al muro accanto alla tradizionale lavagna di ardesia integrandosi immediatamente nell’ambiente classe. Tuttavia, era il primo passo per far entrare in aula i nuovi linguaggi, suoni, colori, immagini e filmati, interazioni e simulazioni, tutte attività atte a valorizzare le intelligenze multiple degli studenti nell’era dei nuovi media.
Un’evoluzione ulteriore è poi rappresentata dalle nuove smartboard, cioè dei monitor touch con sistema operativo integrato, spesso Android, e applicazioni precaricate che trasformano questo monitor in uno strumento potente e versatile ricco di risorse che permettono di generare contenuti digitali e interagire con essi.
Il monitor touch è come un grande tablet dove più alunni possono scrivere contemporaneamente il proprio testo o condividere il proprio contributo. Questo contenuto, proprio come in un tablet, può essere modificato o commentato da tutta la classe, dando vita in tal modo a un unico elemento raccontato, costruito e condiviso. È questa sicuramente la caratteristica che più rende innovativo questo strumento e che favorisce i processi di apprendimento.
L’uso basico del monitor, che avviene in modo semplice e intuitivo, si avvicina al linguaggio dell’utenza a cui si rivolge, cioè la generazione iGen, quella che non ha mai visto un telefono fisso o una cabina telefonica in utilizzo. Per la nuova generazione di studenti è fondamentale poter usare gli applicativi, più del web in sé, per l’uso del quale hanno bisogno di una guida più sicura. Sono le app che ormai quotidianamente risolvono i problemi e che hanno sicuramente migliorato diversi aspetti della nostra realtà di ogni giorno. Il monitor, in questo senso, con il suo sistema Android o Windows e le app dedicate, diventa quindi uno strumento di classe fondamentale per avvicinarsi al linguaggio comunicativo di oggi. Questo sistema integrato, in ambito didattico, potrebbe rendere migliore il processo di apprendimento, sfruttando le tecniche e le modalità in uso nella vita quotidiana di ogni alunno. Vale la pena sfruttare la facilità e disinvoltura con le quali usano tali applicazioni a vantaggio dell’apprendimento, contribuendo a stimolare la creatività e a condividere conoscenza. Le funzioni di screen sharing, o e-sharing, che permettono di condividere i contenuti con i dispositivi digitali degli alunni, nonché la possibilità che più utenti possano interagire sulla superficie, sono ulteriori risorse che favoriscono l’attivazione di una didattica collaborativa e interattiva, in cui gli alunni interagiscono direttamente con lo strumento mettendo in pratica le competenze acquisite. Si pensi a come la presenza di uno strumento di questo tipo in classe e un setting d’aula adeguato consenta di implementare metodologie innovative e partecipative come la Gamification,[1] l’Inquiry,[2] il Digital Storytelling,[3] il Tinkering[4] e l’Hackathon[5] e di colmare il forte divario tecnologico, percettivo, linguistico, culturale e anche cognitivo tra il linguaggio della scuola e il mondo esterno, ormai pervaso da schermi, computer, superfici interattive e multimedia.
La digital transformation nelle scuole
All’interno della comunità scolastica ci si deve quindi muovere ormai in un’ottica multidimensionale, visto che l’interazione tra mondo fisico e mondo digitale sottende già questa molteplicità di piani dimensionali. Implicando l’incorporazione di molteplici prospettive e approcci nell’ambito dell’apprendimento, la multidimensionalità sta emergendo come una via chiave per promuovere un apprendimento più completo e significativo. L’ottica multidimensionale favorisce un apprendimento più attivo e partecipativo. La società moderna è caratterizzata da complessità e interconnessione. Adottare un’ottica multidimensionale a scuola aiuta gli studenti a sviluppare la flessibilità mentale e l’adattabilità necessarie per affrontare le sfide del mondo reale. Questo approccio li prepara per un futuro in cui la capacità di comprendere e rispondere a situazioni complesse è essenziale.
La digital transformation porta a scuola quelle soluzioni digitali che favoriscono la multidimensionalità: permettono di realizzare simulazioni, di viaggiare e orientarsi, di reperire informazioni da fonti diverse e di confrontare tra loro, di scrivere testi a più mani in modo cooperativo, di guardare video tutorial e svolgere esercizi interattivi, di sperimentare compiti autentici e dinamici, esperienze che prevedono un coinvolgimento attivo da parte degli studenti utilizzando strumenti a loro familiari.
Le neuroscienze hanno oggi instaurato un forte legame con la didattica moderna e questa sinergia sta ridefinendo il modo in cui insegniamo e impariamo. La plasticità cerebrale, vale a dire la capacità del cervello di modificarsi in risposta all’esperienza, svolge un ruolo fondamentale nel processo di adattamento dell’individuo all’ambiente in cui si trova a operare. Per questo diventa fondamentale progettare attività che sfruttino al massimo questa capacità, favorendo l’instaurarsi di connessioni neurali più robuste attraverso strategie didattiche mirate. Ecco quindi che tra i principi chiave della didattica neurocentrica spicca l’apprendimento esperienziale. Le attività pratiche stimolano molteplici aree cerebrali, facilitando una comprensione più profonda e duratura dei concetti. Laboratori, simulazioni e progetti pratici possono essere utilizzati per incorporare questo principio nella didattica.
Solo a scopo esemplificativo, in un istituto tecnico tecnologico, che propone un’offerta formativa improntata all’innovazione e in cui le ore di laboratorio sono fondamentali per fare acquisire agli studenti quelle competenze necessarie per l’inserimento nel mondo del lavoro, la pratica attraverso simulazioni in un laboratorio virtuale diventa fondamentale per apprendere in maniera efficae, specie in quei campi in cui è difficile, quando non addirittura impossibile, riprodurre fisicamente in laboratorio reale le effettive condizioni da studiare (ambienti storico-geografici, esperimenti scientifici ecc.). I libri di testo tradizionali forniscono informazioni importanti, ma il loro impatto può essere limitato quando si tratta di concetti complessi o pratiche reali. I software di simulazione entrano in gioco offrendo esperienze pratiche virtuali che consentono agli studenti di sperimentare situazioni reali in un ambiente controllato. Penso, ad esempio, a un corso di Scienze della Navigazione (indirizzo Trasporti e Logistica, articolazione Conduzione del mezzo), in cui gli studenti possono usare un software di simulazione di navigazione o di volo in un ambiente semi-immersivo o immersivo. Nei settori che richiedono competenze pratiche, come la navigazione marittima, questi simulatori si dimostrano strumenti inestimabili per l’apprendimento. La navigazione marittima è un campo che richiede una conoscenza approfondita delle acque, delle condizioni meteorologiche, delle regole di navigazione e delle procedure di sicurezza. Tradizionalmente, gli studenti avrebbero imparato queste competenze attraverso lezioni teoriche e pratiche reali a bordo di navi. Tuttavia, i simulatori di navigazione stanno cambiando il gioco. I simulatori di navigazione offrono agli studenti la possibilità di imparare a navigare in condizioni virtuali, ma realistiche. Gli studenti possono eseguire manovre, affrontare situazioni di emergenza, praticare la comunicazione con le torri di controllo e molto altro, il tutto in un ambiente virtuale che riproduce accuratamente scenari reali. Queste esperienze preparano gli studenti in modo efficace per le sfide reali che affronteranno in mare aperto.
Nonostante il passaggio dalla tradizionale didattica ex cathedra alla didattica 4.0 non sia affatto semplice, l’era digitale ci impone di delineare un nuovo modello di scuola, caratterizzato da metodologie e tecnologie abilitanti che trasformino la comunità scolastica in una smart educational community. Certo è che l’implementazione di Smart Educational Communities presenta sfide importanti, come la necessità di garantire l’equità nell’accesso alla tecnologia e la gestione dell’eccessiva esposizione digitale. Inoltre, richiede un’attenzione particolare alla formazione degli insegnanti, che consenta loro di acquisire conoscenze e competenze per sperimentare nuovi metodi di insegnamento che integrano la tecnologia in modi creativi. Ciò può includere l’uso di piattaforme di apprendimento online, gamification, podcast, video didattici e altro ancora. La piattaforma “Scuola Futura”, implementata dal MIUR, rappresenta una visione audace per il futuro dell’istruzione in Italia, offrendo opportunità gratuite di sviluppo professionale per gli insegnanti. Attraverso corsi online, workshop virtuali e risorse di formazione, gli insegnanti possono migliorare le loro competenze digitali e pedagogiche, garantendo che siano adeguatamente preparati per affrontare le sfide dell’istruzione digitale.
Il futuro dell’apprendimento connesso è quindi promettente. Con una continua evoluzione delle piattaforme e un focus sull’equilibrio tra l’uso della tecnologia e l’interazione umana, queste comunità sono destinate a diventare una parte essenziale del panorama educativo.
Oltre alla formazione, un ruolo importante spetta alla sperimentazione in grado di trasferire contenuti a favore dell’integrazione delle nuove tecnologie nella didattica quotidiana. Non si tratta di “svecchiare” l’istituzione scolastica con le nuove tecnologie, ma di renderla capace di offrire opportunità di lavoro costruttivo ai ragazzi di oggi, nati e cresciuti in un mondo diverso da quello dei loro genitori e insegnanti. Le tecnologie e i new media favoriscono la costruzione di un percorso individuale di apprendimento attraverso la sperimentazione, la costruzione collaborativa dei contenuti, lo sviluppo di capacità di analisi critica e selezione della conoscenza. La personalizzazione degli strumenti didattici rende inoltre possibile un tipo di didattica inclusiva, nell’ambito della quale ciascun studente è messo in grado di lavorare e produrre risultati sulla base delle proprie capacità. Questo consente di arricchire l’esperienza formativa e di dare una risposta efficace ai bisogni reali degli studenti di oggi. Bisogna iniziare ad accettare il fatto che i giovani di oggi non solo devono acquisire conoscenze accademiche, ma devono anche essere preparati ad affrontare le sfide di un mondo complesso e interconnesso. Oltre alla conoscenza accademica, gli studenti di oggi hanno bisogno di sviluppare una serie di competenze pratiche e trasversali che li preparino per il mondo reale. La risoluzione dei problemi, il pensiero critico, la comunicazione efficace, la collaborazione e la flessibilità sono solo alcune delle abilità essenziali richieste dal mercato del lavoro e dalla società in generale. I sistemi educativi devono quindi integrare queste competenze nel loro curriculum in modo che gli studenti possano sviluppare un bagaglio completo di abilità utili per il successo futuro.
Ecco perché è essenziale adattare i sistemi educativi per soddisfare le esigenze uniche dei nostri studenti. L’approccio “taglia unica” all’istruzione deve ormai lasciare spazio a modelli educativi più flessibili e personalizzati e la tecnologia gioca un ruolo fondamentale in questo processo, perché consente l’uso di piattaforme digitali, applicazioni e strumenti di apprendimento che si adattano alle esigenze di ciascuno studente.
Fossilizzazione e tecnofobia sono ormai posizioni dannose per l’educazione di futuri “cittadini digitali”, cittadini che avranno necessariamente a che fare con un mondo complesso e in costante evoluzione.
Conclusioni
Concludo con una non-conclusione, dal momento che la strada da percorrere in direzione dell’innovazione didattica, supportata dalle nuove tecnologie, è ancora tanta, soprattutto dal punto di vista della forma mentis del personale scolastico. Il mondo, sempre più iperconnesso, sfida la scuola ad evolversi e si innescherà un punto di non ritorno solo quando sarà chiaro per tutti che compito della formazione e del mondo della scuola è quello di imparare a immaginare il domani, di immaginare lavori che magari non esistono ancora e che richiedono competenze e abilità per le quali gli studenti non sono stati preparati nello specifico, ma che possono però essere preparati ad acquisire rapidamente. È questa la sfida della scuola, preparare il terreno di domani con nuovi metodi di formazione che dispongano gli studenti all’elaborazione di strategie, che li spingano a risolvere problemi, che aprano la mente.
Filippa Alcamesi si è laureata nel 1997 in Lingue e Letterature straniere moderne e contemporanee con una tesi sul superlativo nella Bibbia gotica. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Cultura e tradizioni letterarie del mondo germanico antico e medievale con una tesi sulla traduzione gotica delle Epistole Paoline. Nei primi anni 2000 si è occupata di inglese antico, dedicandosi in particolare ai manoscritti anglo-latini di uso didattico.
Entrata di ruolo come insegnante di Lingua Inglese nella scuola secondaria di secondo grado nel 2015, ha iniziato a occuparsi di tecnologie digitali e software di uso didattico.
Ha conseguito una seconda laurea in Comunicazione e multimedialità nel 2023, con una tesi dal titolo “Education 4.0. Verso un nuovo paradigma cognitivo”. È Social Media Manager e oggi si occupa di informatica giuridica, protezione dei dai, comunicazione, multimedialità e transizione digitale nelle scuole.
Alcamesi, F. (2023), Education 4.0. Verso un nuovo paradigma cognitivo, Lesmo: EBS.
Jonassen, D.H. (2011), Learning to solve problems. A handbook for designing problem-solving learning environments, New York: Routledge.
Jonassen, D.H. (2000), Computers as mindtools for schools: Engaging critical thinking (II ed), Upper Saddle River, NJ: Prentice Hall. Jonassen, D. H. e Carr, C. (2000), “Mindtools: Affording Multiple Knowledge Representations for Learning”, in S.P. Lajoie (ed).
Computers as Cognitive Tools (vol. 2 No More Walls, 165-196), Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.
[1] Gamification fa riferimento a una metodologia volta ad applicare le meccaniche del gioco per favorire l’apprendimento.
[2] L’Inquiry si basa sull’investigazione e stimola lo studente a formulare domande, mettere in atto azioni utili a risolvere problemi, trovare soluzioni, fare ricerca, condividere idee e informazioni, etc.
[3] Il Digital Storytelling sfrutta il coinvolgimento emotivo e cognitivo della dimensione narrativa per facilitare il coinvolgimento degli studenti, attivando processi come quello dell’identificazione e favorendo un apprendimento significativo ed efficace.
[4] Il Tinkering, dall’inglese to tinker “armeggiare, tentare di aggiustare”,è una forma di apprendimento informale in cui si impara facendo e si affrontano i problemi attraverso l’esperienza diretta, la sperimentazione e la scoperta.
[5] Il nome “Hackathon” nasce dalla fusione dei due vocaboli inglesi hack (che deriva dal verbo inglese to hack “violare, accedere senza autorizzazione”) e marathon “maratona” e fa riferimento infatti a una vera e propria maratona, che può durare da 24 ore a una settimana, durante la quale gruppi di partecipanti risolvono un problema assegnato realizzando materiale software e/o hardware.