Germano Paini, Presidente Comitato scientifico DiCultHer
La ‘titolarità culturale’ definisce il processo, e la condizione che ne deriva, in cui individui e comunità acquisiscono una progressiva consapevolezza e attuano una presa in carico dell’eredità culturale che ricevono dal passato.
Tale processo mira a far acquisire e far riconoscere ‘titolo’ agli individui e alle comunità a essere pienamente responsabili dell’eredità culturale, a sentirsene ‘parte’, a sentirla ‘propria’ e a esercitare, superando la posizione di ‘fruitori’ del patrimonio, il ruolo di attori della promozione della sua tutela e della sua valorizzazione.
La riflessione sulla titolarità culturale muove dal tema della ‘partecipazione’ e dall’analisi della centralità del suo ruolo nelle politiche legate all’eredità culturale.
Nelle azioni di indirizzo e nelle strategie delle politiche a sostegno del valore dell’eredità culturale, così come nelle prassi di intervento legate al patrimonio, la partecipazione in termini di cittadinanza attiva, pur alla base della Costituzione, non è di fatto perseguita, evidenziando, come spesso accade per altri principi costituzionali, una separazione tra ciò che è dichiarato e ciò che viene realmente garantito.
Il concetto di ‘partecipazione’, nella sua indeterminatezza costituisce più un’aspirazione, certamente condivisibile, che un elemento utile a interpretare e incidere sui fenomeni.
Particolarmente rilevante, a riguardo, risulta il tema dell’impatto degli aspetti partecipativi nella valorizzazione del capitale culturale del Paese e l’esigenza di un’adeguata interpretazione del rapporto dei cittadini con il patrimonio.
In questo ambito, da un lato si auspica la partecipazione dei cittadini e/o dei giovani nei processi di promozione della conoscenza e della cultura, invocando un loro maggior coinvolgimento, dall’altro ci si lamenta del loro mancato ingaggio e del distacco nei confronti del patrimonio culturale. Ricorre inoltre un persistente rammarico per la mancata percezione, da parte dei cittadini, del valore e delle opportunità dell’eredità culturale che le istituzioni si adoperano di tutelare.
Manca in realtà, a riguardo, la comprensione del ruolo riservato ai destinatari di tale valore, tendenzialmente considerati ‘fruitori’ di ciò che gli esperti producono, alimentano, tutelano e promuovono. Domina cioè, nei fatti, un modello di pensiero e di azione che implica la funzione di soggetti che ricevono e recepiscono quanto è prodotto ed elaborato da altri: gli esperti.
Chi riceve e recepisce, cioè i non esperti, è collocato nella funzione di ‘pubblico spettatore’, di ‘audience’.
Sebbene si possa sostenere che, negli ultimi anni, si sia molto lavorato per favorire l’ampliamento quantitativo e qualitativo del pubblico (i.e. audience development e audience enlargement), anche arrivando ad attivare percorsi e (cospicui finanziamenti) per la promozione del suo coinvolgimento (audience engagement), la questione va posta in termini diversi, orientati a ripensare radicalmente l’approccio al tema, rimettendo in discussione i concetti di ‘pubblico’ e di ‘fruizione’.
Il ‘pubblico’ (l’audience) per definizione assiste, dalla posizione di fruitore, al manifestarsi di una espressione creativa e culturale di un altro soggetto: l’autore.
Cercare di promuovere la condizione del ‘pubblico’ senza metterne in discussione la collocazione, rischia di introdurre semplici correttivi in una situazione radicata e consolidata senza modificarne la sostanza.
Il pubblico assiste e non partecipa alla creazione di conoscenza e di cultura.
Con l’intento di superare la dimensione del ‘cittadino fruitore’ sono stati messi in campo percorsi di valorizzazione del ruolo delle persone nella partecipazione ai processi culturali.
Il primo, sostanzialmente illusorio, è stato orientato a superare la dicotomia tra produttore di contenuti e consumatore attraverso il ricorso ad un approccio centrato sul prosuming. Il prosumer, neologismo particolarmente ricorrente nella fase del cosiddetto web 2.0, rappresenta il tentativo di sintesi tra la posizione di colui che produce contenuti (producer) e l’utente che ne usufruisce (consumer). Applicabile al contesto degli User Generated Content, si è rivelato molto rilevante per la produzione di contenuti legati alle conversazioni nei social network ma, di fatto, è risultato ininfluente nei contesti della produzione di conoscenza e di interazione con il patrimonio culturale.
Un nuovo sforzo di superamento delle posizioni codificate e stereotipate (i.e. autore/pubblico, produttore/consumatore) è rappresentato dall’introduzione del concetto di co-creation. Per quanto stimolante, questo secondo percorso, ha dovuto però confrontarsi con alcune criticità relative ai temi della produzione di qualità dei contenuti e dei relativi aspetti della creatività che implicano un difficile processo di riconoscimento sociale del valore della produzione culturale e della funzione ‘autoriale’.
Nella logica della ‘titolarità culturale’ il potenziale creativo può essere espresso non tanto e non solo nella produzione dei contenuti, ma, in primo luogo, nella capacità di gestirli e organizzarli e fare proprio il bagaglio di conoscenza che essi veicolano.
Emblematico, a riguardo, è il riferimento alla curatela nel campo dell’arte e della produzione culturale in generale. Il curatore di una mostra, pur non essendo l’autore delle opere, è considerato, a titolo, autore della mostra stessa. La sua funzione va oltre la fruizione: sente le opere ‘proprie’, può spostarle dai luoghi in cui si trovano; disporle secondo le sue scelte; connetterle tra loro e con il luogo in cui le ha collocate; farle entrare in rapporto con altri sistemi di conoscenze; (pro)porle in relazione con chi visiterà la mostra.
Il concetto di ‘titolarità culturale’ intende porsi, in quest’ottica, come esito di un percorso di ricerca di una dimensione interpretativa dei fenomeni, libera da schemi vincolati a categorie precostituite.
Il cittadino è chiamato ad essere soggetto attivo nei confronti dell’eredità culturale alla quale appartiene e che gli appartiene.
La ‘presa in carico’, spesso auspicata, lo colloca nella posizione di chi ha cura del patrimonio culturale, ne è ‘curatore non professionale’ in grado, grazie anche al digitale, di connettere il patrimonio stesso con il proprio sistema di conoscenze e con quello della rete di relazioni in cui è immerso, organizzandolo per conoscerlo e comprenderlo meglio.
Alle istituzioni il compito di garantire, con una costante azione di ‘facilitazione’ del percorso, le migliori condizioni per un progressivo sviluppo della ‘titolarità culturale’.
Germano Paini. Pianificazione strategica dell’innovazione, manager e coordinatore di progetti legati alle implicazioni tecnologiche, sociali e organizzative dell’innovazione. Programmazione strategica a favore della competitività del territorio. Gestione di progetti di integrazione tra Ricerca e Sviluppo governando l’interazione tra Ricercatori, Top manager e Professionisti a favore delle più innovative applicazioni dei risultati della Ricerca, con particolare riferimento ai campi della Data Analysis, dell’Artificial Intelligence e della Circular Economy.