di Matilde Ferrero (*)
Verso la fine del 2022, le vendite degli NFT hanno registrato una diminuzione del 60% nel terzo trimestre dell’anno, passando a 3,4 miliardi dagli 8,4 miliardi di dollari del trimestre precedente, che già registrava un calo rispetto ai 12,5 miliardi del primo trimestre. La bolla speculativa sembra quindi al collasso, e risulta allora sempre più urgente indagare il valore economico e culturale degli NFT oltre il loro successo momentaneo sul mercato.
Facendo un passo indietro, cos’è la blockchain e cosa sono i token? La blockchain è una delle tecnologie di registri distribuiti (Distributed Ledger o DLT), un sistema in cui è possibile inserire e leggere informazioni da più posizioni senza la necessità di un controllo centrale. Ad esempio, vengono utilizzate per creare criptomonete e ogni operazione viene registrata sulla blockchain attraverso le chiavi crittografiche che la associano a un utente unico e al suo wallet (qui, ad esempio, manca l’intermediazione delle banche). Un token sulla blockchain è un’informazione digitale registrata su un registro distribuito, associata a un utente specifico e rappresentativa di un certo tipo di diritto, ad esempio la proprietà di un oggetto o la ricezione di un pagamento. Gli NFT sono diversi dalla maggior parte dei token perché sono insostituibili (non fungibili né replicabili), unici (associati a un utente/wallet unico), indivisibili (non possono essere suddivisi in frazioni come le monete, non esiste “un quarto di un NFT”). Per queste ragioni, si prestano alla cessione dei diritti di proprietà di opere d’arte (cripto arte) e tramite la blockchain e la compilazione di smart contract (basati sulla tecnologia Ethereum) è possibile convalidare in maniera univoca e decentralizzata la proprietà di un bene.
Opera di Extraweg, artista di 3D Art che vive e lavora a Berlino.
In Italia, gli Uffizi sono i primi a sdoganare la pratica degli NFT. Nel maggio del 2021, solo qualche mese dopo la vendita di Beeple, il Tondo Doni viene venduto nella sua versione digitale per 140mila euro grazie a un sistema crittografato brevettato che impedisce la manomissione e la copia, corredato di NFT. Prodotto in serie limitata, certificato, in scala 1:1, il nuovo originale digitale è esattamente identico al capolavoro di Michelangelo dal quale viene ricavato e tutelato con un sistema di crittografia digitale, che lo rende non copiabile e unico. La cornice è fedele copia fisica di quella del Tondo, mentre l’opera è una trasposizione ad alta definizione, realizzata e brevettata dall’azienda Cinello, di John Blem e Franco Losi, due ingegneri provenienti dal mondo dell’informatica. Tra l’altro, il Tondo Doni digitale rappresenta una nuova componente entro la strategia di fundraising degli Uffizi, traducendosi in 70mila euro derivanti dalla vendita. Infatti, l’accordo tra Cinello e le Gallerie prevede il versamento al museo del 50% del ricavo netto dal prezzo di vendita per la prima serigrafia digitale unica del Tondo Doni. L’intesa tra Cinello e gli Uffizi prevede poi la versione digitale di altre opere tra cui la Madonna del Granduca, la Velata e la Madonna del Cardellino di Raffaello, La nascita di Venere, la Primavera e la Calunnia di Botticelli, L’annunciazione e il Battesimo di Cristo di Leonardo, L’Eleonora da Toledo del Bronzino, il Bacco di Caravaggio, I quattro filosofi di Rubens, La leda e il cigno di Tintoretto, la Venere di Urbino di Tiziano, La veduta di Palazzo Ducale a Venezia di Canaletto. Tuttavia, l’accordo tra l’istituzione pubblica e l’azienda privata solleva immediatamente preoccupazioni da parte del Ministero per la possibilità di perdere la gestione del bene culturale e il controllo sulle riproduzioni digitali di alcuni dei capolavori più importanti del Paese. Così, da quando Massimo Osanna blocca d’urgenza i contratti con i due ingegneri, il sogno degli Uffizi, di Cinello e dei collezionisti svanisce.
Opera d’arte digitale dell’artista afro-italiano Luigi Christopher Veggetti Kanku, preparata per la mostra Tricolore 2022.
Fin dalla prima comparsa ufficiale dell’NFT sulla scena italiana emergono dilemmi e contraddizioni che si rivelano utili per l’analisi del fenomeno in vista di un’estrazione del loro valore culturale ed economico. Il caso degli Uffizi si inserisce infatti entro un discorso più ampio e attuale, che riguarda la definizione di una tassonomia e di una regolamentazione per le cripto-attività. A livello europeo, la proposta di Regolamento sui mercati delle cripto-attività (c.d. Regolamento MiCA – Markets in Crypto-Assets) è stata pubblicata dalla Commissione Europea lo scorso 24 settembre 2020 in linea con le priorità della Commissione di rendere l’Europa pronta per l’era digitale e creare un’economia che guardi al futuro e operi a vantaggio dei cittadini. Ad oggi, l’entrata in vigore del Regolamento è prevista per la metà del 2024. Anche se la lentezza delle fasi legislative contrasta fortemente con l’utilità del Regolamento nel definire linee guida attuali per i fenomeni digitali, il MiCA risulta già utile per delineare una tassonomia dei fenomeni di cripto-attività. Dalla lettura della proposta di Regolamento si può infatti derivare una classificazione utile per la lettura della cripto-attività: ci sono i token di pagamento, la cripto-arte (inizialmente esclusa dal Regolamento) e gli utility token. La cripto-arte, quindi, risulta essere una categoria a se stante, inizialmente persino esclusa dalla classificazione perché considerata non fungibile e unica. L’inserimento tardivo degli NFT nel regolamento è interessante perché rileva la necessità di regolare uno strumento che la pratica dimostra essere né così unico né così non fungibile, essendo oggetto di scambio sulle piattaforme proprio come gli altri fenomeni di cripto-attività.
Angel 1 di Anyma è una delle opere esposte alla mostra Let’s Get Digital a Palazzo Strozzi.
Come ben ci comunica il caso degli Uffizi, gli NFT rappresentano un’anomalia nella filiera produttiva del bene d’arte, che rischia di generare fenomeni non ancora regolati e, comunque, imprevedibili. L’intesa con Cinello riguardo alla riproduzione delle opere della collezione del museo in vista di una vendita privata solleva molteplici questioni legate alla riproducibilità e alla monetizzazione di un bene culturale pubblico. La mossa più facile da parte del Ministero è quella di bloccare ogni attività legata alla realizzazione di NFT in accordo con gli Uffizi, perché nessuna norma o direttiva regola direttamente casi simili o è flessibile a tal punto da adattarsi a una situazione tanto inaspettata. Questo immobilismo legislativo blocca così ogni opportunità di creazione di valore culturale iniziata dagli Uffizi, funzionale alla promozione dell’arte fisica e digitale, così come la creazione di valore economico per il museo. Sembra impossibile, quindi, dar vita a nuove economie culturali che estraggano il potenziale della tecnologia.
Un esempio simile, risalente a marzo 2021, è rappresentato dall’accordo tra SIAE e Algorand, che insieme creano in una settimana più di quattro milioni di NFT corrispondenti ai diritti degli oltre 95.000 autori associati a SIAE, tutto sull’infrastruttura blockchain di Algorand. Si tratta dei primi risultati tangibili dopo mesi di lavoro dall’accordo di collaborazione firmato nel 2019. La vision di SIAE consiste in un’infrastruttura open basata su tecnologia blockchain che tuteli a 360° il diritto d’autore, in maniera trasparente ed efficiente, e che conferisca ai detentori di diritti e potenziali fruitori nuovi strumenti per agevolare la vendita dei diritti stessi e la tracciabilità e trasparenza degli scambi. In questo caso, in realtà, le dinamiche sono simili a quelle degli Uffizi, dove la novità della tecnologia e della finalità tralascia una procedura d’appalto, e dove la monetizzazione c’è (anche se travestita da trasparenza nelle dichiarazioni di SIAE). Ad oggi, a quasi due anni dall’inserimento dei diritti su blockchain, non risultano notizie né dati sull’operazione.
Molto recente è invece l’azione in questo senso della Galleria Nazionale di Roma. Per celebrare il traguardo del milionesimo visitatore della mostra Time is Out of Joint raggiunto a giugno 2022, la Galleria Nazionale, in collaborazione con l’ex-designer Martí Guixé, lancia la prima collezione inedita di 10 opere NFT. Il progetto prende ispirazione dalla mappa intuitiva della Galleria Nazionale, realizzata nel 2019 dal designer: un foglio A4 stampato su carta riciclata che diventa al tempo stesso mappa e carnet di viaggio e dove i capolavori del museo, dai lavori di Antonio Canova a Liliana Moro, da quelli di Davide Rivalta a Pino Pascali, essenziali ma riconoscibili, occupano i 4 macro settori della mostra. I 10 NFT, come GIF animate, danno vita ai disegni essenziali delle opere, del pubblico e degli elementi architettonici che si muovono dentro la mappa e dentro le sale del museo. I primi 4 NFT sono stati messi in palio gratuitamente tra i follower della Galleria Nazionale con tre campagne di gamification online sugli account Instagram, Facebook e Twitter, e il quarto con una lotteria al museo. I rimanenti 6 NFT sono stati messi in vendita all’asta sulla piattaforma foundation.app per un periodo di tempo limitato.
Una forma ibrida, quella della Galleria Nazionale, che, dopo il fallimento degli Uffizi, reintroduce timidamente gli NFT come strumento innovativo di concezione, produzione e distribuzione del prodotto artistico. Ancora diversa, quindi, dall’operazione di Palazzo Strozzi, che con la mostra Let’s Get Digital ha puntato sulla diffusione dell’arte digitale e del concetto di NFT rivolgendosi al grande pubblico attraverso una mostra, senza produzioni specifiche, lotterie o aste.
Opera The Golden Age di Fabrizio Plessi, venduta in cinque pezzi NFT.
Con le nuove pratiche di concezione, produzione e distribuzione introdotte dall’NFT entrano in gioco meccanismi diversi per l’artista, che è soggetto a monte della filiera di creazione di valore. L’artista che, come Fabrizio Plessi con The Golden Age, crea l’opera digitale e ne vende all’asta cinque pezzi grazie a blockchain e NFT espone se stesso e la vendita in modo del tutto diverso rispetto agli scambi d’arte più tradizionali. La vendita dell’NFT è tracciabile e così il diritto d’autore a essa associato, entrambi elementi che non possono fare altro se non portare beneficio a un mondo dell’arte che ormai da tempo trascura il diritto di seguito, un’entrata potenziale per l’artista d’ arte contemporanea. D’altra parte, essendo la vendita digitale tracciabile, l’artista è obbligato a pagare imposte elevatissime allo Stato, che ad oggi vengono perlopiù scavalcate nelle vendite tradizionali.
E allora si presentano dilemmi e contraddizioni urgentissime per la legislazione italiana nel gestire i meccanismi che regolano il rapporto tra patrimonio culturale e NFT. Si presentano insieme opportunità grandissime e rischi non trascurabili, entrambi con la capacità di incidere sul valore culturale ed economico delle opere. L’auspicio è di non trascurare un fenomeno che è facile considerare aleatorio e passeggero, quanto piuttosto di coglierlo e renderlo strumentale per uno sviluppo innovativo delle infrastrutture e della filiera della creazione di valore nell’industria culturale e creativa.
Matilde Ferrero (1995) è laureata in Beni Culturali all’Università di Torino e in Economia della Cultura all’Università Alma Mater di Bologna. È dottoranda all’Università di Catanzaro con una tesi sulle dinamiche di mercato e le politiche a sostegno dell’arte contemporanea.