di Maurizio Grandi e Arianna Ballati
Abstract IT:
Oggi, con gli sbarchi, arrivano 50.000 persone l’anno in Italia. Tra il 2014 e il 2021, sono sbarcati più di 700.000 migranti. Negli ultimi dieci anni, le attività criminali connesse ai traffici di droga, armi ed esseri umani si sono moltiplicate in Tunisia, Algeria, nella penisola del Sinai e Libia. Nell’arco di quattro anni, 785 milioni sono stati spesi dall’Italia per sostenere un accordo che, senza fermare le morti in mare (780 nel 2020), ha consentito il respingimento in Libia di 50 mila persone, di cui 12 mila solo nel 2020, da parte della Guardia Costiera Libica. Come cureremo i migranti africani? Ha senso investire su una medicina che non appartiene alla loro cultura, quando potrebbe essere occasione di reinvestire sul mondo vegetale, interazione tra mondi, scambio di popoli, interculturalità, confronto di saperi? Le aziende e i Paesi più ricchi di capitale stanno guidando il progresso in tutto il mondo, ignorando le conoscenze tradizionali etnobotaniche. Nel 2020, 40 Paesi africani hanno quadri politici per la medicina tradizionale, rispetto agli otto nel 2000: dovremmo incoraggiare la sperimentazione su piante medicinali nel trattamento del coronavirus e di altre epidemie e promuovere il ruolo della biodiversità nel migliorare il benessere nel continente africano e nel mondo. Dobbiamo cambiare idea di chi siamo, sapendo da dove veniamo, per cambiare il mondo.
Parole chiave: migrazione, piante medicinali, africa, etnobotanica, cooperazione internazionale.
Abstract EN
50,000 african migrants arrive in Italy every year. Between 2014 and 2021, more than 700,000 migrants landed. Over the past decade, criminal activities related to trafficking in drugs, weapons and human beings have multiplied in Tunisia, Algeria, the Sinai Peninsula and Libya. In the span of four years, 785 million was spent by Italy to support an agreement that allowed the Libyan Coast Guard to repatriate 50,000 people to Libya (12,000 in 2020), without stopping deaths in the Mediterranean sea (780 in 2020). How will we treat African migrants? Does it make sense to invest on a medicine that does not belong to their culture, when it could be the opportunity to reinvest on the plant world, interaction between worlds, exchange of peoples, interculturality, comparison of knowledge? The most capital-rich companies and countries are driving progress around the world, ignoring traditional ethnobotanical knowledge. In 2020, 40 African countries have policy frameworks for traditional medicine, up from eight in 2000.We should encourage experimentation on medicinal plants in the treatment of coronavirus and other epidemics and promote the role of biodiversity in improving well-being on the African continent and all over the world. We need to change the idea of who we are, knowing where we come from, to change the world.
Keywords: migration, medicinal plants, africa, ethnobotany, international cooperation.
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“Il mare che bagna Mogadiscio ha i colori della nostalgia e si confonde con l’incertezza di uno sguardo. Da quel mare partono i fili invisibili di chi emigra da sud a nord, non più una navigazione nell’azzurro, ma una traversata carovaniera nei colori aridi del deserto, attraverso la Somalia, l’Etiopia, il Sudan, la Libia, nascosti nella pancia dei camion o dei container, fino ad affacciarsi sull’altro mare, il nostro. I percorsi sono ugualmente ricchi di memoria, di esportazione e attendono ancora di trovare un loro valore utopico, di diventare mito e disegnare un nuovo orizzonte geografico.
I popoli non si sono accontentati di coltivare la terra, ma hanno trasmigrato da un capo all’altro del pianeta, nella speranza di stare meglio, di ottenere garanzie dal luogo di approdo, di realizzare quella casa comune che si chiama utopia.
In questo continente senza più mercanti e navigatori, in questo Occidente senza utopie, le storie che ci arrivano dall’Africa, dal Medio Oriente, dai Balcani o da un qualsiasi altrove, potrebbero, oggi come ieri, regalarci un po’ della voglia di futuro che abbiamo scordato. Progettare e costruire presuppongono uno scatto in avanti, un recupero allo smarrimento che ci assedia”.
(Grandi, 2019)
Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita adeguato alla sua salute e al suo benessere. Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale.(Assemblea delle Nazioni Unite, 1948)
“Vogliamo costruire uno spazio nuovo, dove la diversità sia considerata una risorsa, con la consapevolezza che una comunità in cui ognuno sia messo nelle condizioni di offrire il proprio contributo allo sviluppo economico, culturale e sociale rappresenti un’opportunità migliore per tutti”. (Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali)
I dati. Tra malnutrizione, clima e migrazione.
In Africa, ogni anno, muoiono 3 milioni di bambini, 1 su 13; in Europa 1 su 196. Per cause curabili: diarrea, polmonite e, soprattutto, malnutrizione (Save the Children, 2015; Unicef, 2019).
Oggi, con gli sbarchi, arrivano 50.000 persone l’anno in Italia. Due migranti su tre sono ospitati nei CAS (i centri di accoglienza straordinaria), pensati per far fronte all’arrivo di grandi numeri. Il sistema d’accoglienza diffusa accoglie meno di 25.000 persone. Tra il 2014 e il 2021, in Italia, sono sbarcati più di 700.000 migranti; 900.000 persone straniere hanno acquisito la cittadinanza italiana.
Il ruolo delle Ong è marginale, inferiore al 15% del totale degli sbarchi: 9 migranti su 10 raggiungono le coste italiane con imbarcazioni clandestine.
La pandemia ha contribuito all’aumento della pressione migratoria non regolare alle frontiere sud d’Europa, con la regionalizzazione delle rotte irregolari: i migranti irregolari tendono a compiere tragitti più brevi rispetto a prima. Per l’Italia, l’aumento più consistente è dei migranti arrivati dalla Tunisia (dai 2.600 tunisini del 2019 a 13.000 nel 2020). Dalla Libia arrivano persone che si trovano nel paese africano da molto tempo, spesso da anni; non arrivi recenti.
L’Europa continua ad abbandonare l’Italia, senza proposte per la riattivazione degli accordi sui ricollocamenti. Meno del 2% del totale dei migranti è stato ricollocato in altri paesi europei: 9 su 10 dei migranti soccorsi in mare rimane in Italia.
Da ottobre 2018, il “Decreto sicurezza” (convertito in legge il 1° dicembre 2018) ha abolito la protezione umanitaria, introducendo, al suo posto, una nuova “protezione speciale”, tipizzata in maniera molto stretta e precisa. Il numero di permessi per protezione umanitaria/speciale è crollato dal 28% delle richieste d’asilo nel periodo 2015-2017 all’1% a seguito dell’adozione delle nuove misure. Parallelamente sono aumentati i dinieghi di protezione internazionale: se prima l’Italia concedeva una protezione (tra asilo, protezione sussidiaria e umanitaria) a 4 richiedenti asilo su 10 (il 42% nel 2017), il tasso di protezione è sceso a 2 richiedenti asilo su 10 (il 21% nel 2019).
In due anni, 40.000 stranieri irregolari in Italia che con il sistema precedente avrebbero probabilmente ottenuto la protezione umanitaria. A ottobre 2020, il Governo Conte II ha adottato il “Decreto immigrazione” (convertito in legge il 18 dicembre 2020) che, pur senza reintrodurre il permesso di soggiorno per motivi umanitari, è tornato ad allargare le maglie della protezione: le protezioni “umanitarie” sono salite dall’1% al 9%, ancora lontane dal 28% originario.
I “migranti economici” trovano un’occupazione entro i primi cinque anni dall’ingresso nel paese di destinazione nell’80% dei casi. Il loro tasso di occupazione è più alto nei primi due anni dall’ingresso.
I rifugiati e le persone che si spostano per motivi di ricongiungimento famigliare saranno solo nel 30% dei casi entro i primi cinque anni; dopo oltre dieci anni di poco superiore al 50%, per raggiungere il livello dei “migranti economici” solo dopo due decenni di permanenza sul territorio (Matteo Villa, ricercatore Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 2021).
Dalla Nigeria, alla Libia e alla Tunisia.
88.500, i nigeriani regolari in Italia (Dati Istat, 2016).
Nigeria. 175 milioni di abitanti.
Il 60% ha meno di 25 anni.
La speranza di vita è di 52 anni.
Tasso di alfabetizzazione al 62%.
Sfruttamento del lavoro minorile: 29%.
Gruppi etnici principali: Hausa (29%), Yoruba (21%), Igbo (18%), Ijjaw (10%), Edo (3%).
Tra 350 e 400 gruppi etnici e lingue diverse nel paese.
Le motivazioni per le richieste d’asilo:
– persecuzione politica;
– minaccia legata alla pratica di rituali tradizionali;
– persecuzione dovuta all’omosessualità;
– abusi legati all’applicazione della Sharia;
– paura di ritorsioni dovute alla partecipazione a ribellioni locali (motivate a livello politico, etnico o religioso);
– persecuzione da parte di milizie private.
Dopo la crisi del Delta del Niger nel 2003, si aggiunge lo sfruttamento delle risorse petrolifere della regione da parte del governo centrale, mancata redistribuzione nel contesto locale, inquinamento delle acque e del territorio, distruzione delle forme di sostentamento locale.
La tratta miete vittime, 20 anni l’età media, con un aumento delle minorenni nel corso degli ultimi tre anni. Il livello medio di scolarizzazione per le donne è più basso, per gli uomini più alto. Spesso persone che hanno già migrato all’interno del paese. «Emigrano il ceto studentesco e quello artigiano, nonché il piccolo medio commerciante. Solo in pochi casi partono le persone inattive e scoraggiate dalla mancanza di lavoro. Dati trasformati negli ultimi 3-4 anni in ragione delle nuove strategie dei trafficanti» (Carchedi). Le donne finiscono, per la maggior parte, nella prostituzione, gli uomini vengono sfruttati per l’accattonaggio, il traffico di droga, la vendita per strada, lavori artigianali e agricoli pesanti.
I principali centri di smistamento della tratta partono da Benin City (con partenze verso Nord, via terra) e Lagos (partenze via aereo, più raramente via mare). In Italia: Castel Volturno (centro di contatto e smistamento per quelli che arrivano via mare) e Torino (per quelli che arrivano via aereo, o via altri paesi europei) li “accolgono”.
Il reclutatore è solitamente rispettabile, agiato, spesso qualcuno dal profilo insospettabile. In molti casi sono persone che hanno vissuto o vivono in Europa, o che hanno parenti stretti in Europa.
I prezzi per il viaggio sono variabili, calibrati sulle possibilità della vittima, in modo da non compromettere i guadagni futuri. La contrattualizzazione avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso rituali, svolti di fronte a un witch doctor (stregone/prete tradizionale) e prevedono la partecipazione di membri della famiglia del migrante (in certi casi anche dello sponsor). In queste occasioni si giura di rispettare il contratto e ripagare il debito per intero.
Trolley: nel gergo dei migranti nigeriani sono gli individui che si occupano di scortare la vittima di tratta durante il viaggio. Durante un viaggio si può essere venduti da un trolley all’altro in transazioni di tipo commerciale che assomigliano al modello schiavistico. In Italia si viene ricevuti da un intermediario, o si contatta il referente locale, che ha la funzione di contatto fra l’organizzazione criminale di invio e lo sfruttatore basato in Italia. Fra gli sfruttatori residenti in Italia si possono differenziare figure diverse che vanno dallo sfruttatore diretto, all’adescatore, al caporale, al black boy. (Jedlowski, 2020)
Dalla Libia.
Negli ultimi dieci anni, le attività criminali connesse ai traffici di droga, armi ed esseri umani si sono moltiplicate in Tunisia, Algeria, nella penisola del Sinai e Libia. Nonostante la presenza di un’autorità statale funzionante persiste il radicamento di organizzazioni armate jihadiste, talvolta in collegamento con quelle attive in Sahel, mediante il consolidamento dei legami con le comunità locali. Tra questi gruppi, alcuni continuano ad avere il loro principale riferimento nella galassia qaedista, mentre altri hanno proclamato l’appartenenza al sedicente Stato Islamico (ISIS).
La Libia è stata per lungo tempo un paese di immigrazione, in virtù dell’elevata domanda di manodopera nei settori del petrolio e del gas e in quello dell’edilizia. Questa situazione ha cominciato a cambiare dal 2011, con l’avvio del conflitto civile e la caduta del regime di Muammar Gheddafi. Oggi la Libia è un paese di transito per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana (principalmente da Sudan, Ciad e Niger) e diretti in Europa. Interessate a porre un freno ai fenomeni migratori, l’Italia e l’Unione Europea hanno stipulato con Tripoli accordi per delegare alle autorità libiche le prime competenze in materia di pattugliamento delle coste, trasformando di fatto il paese nordafricano in uno ‘stato cuscinetto’. Tali accordi, come quelli siglati in precedenza con il regime di Gheddafi, sono volti a esternalizzare parte delle responsabilità nella riduzione della pressione migratoria. La Libia non dispone di una legislazione adeguata per la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo (non rientra tra gli stati firmatari della Convenzione di Ginevra sui rifugiati) e l’ingente afflusso di migranti irregolari e la stretta sui controlli alle frontiere creano condizioni di vita insostenibili all’interno di centri di detenzione improvvisati, come denunciato, tra il 2017 e il 2018, da organizzazioni internazionali. Nel 2013, il governo italiano aveva dato il via all’operazione militare umanitaria Mare Nostrum per il pattugliamento del tratto di mare italiano e internazionale tra Italia e Libia. Nel 2014 Mare Nostrum è stata riassorbita nella missione europea European Union Naval Force in the South Central Mediterranean (EUNAVFOR Med) – Operazione Sophia. Dall’aprile 2019, su richiesta del governo italiano, la missione Sophia ha sospeso le attività di pattugliamento del Mediterraneo centrale condotte con unità navali, mentre sono state rafforzate le attività di pattugliamento aereo e addestramento-supporto alla guardia costiera libica (ISPI e Caritas italiana, 2020).
In quattro anni, i 785 milioni spesi dall’Italia per sostenere un accordo che, senza fermare le morti in mare (780 nel 2020), ha consentito il respingimento in Libia di 50 mila persone, di cui 12 mila solo nel 2020, da parte della Guardia Costiera Libica (Villa, 2021).
È il fallimento della politica italiana ed europea, che continua a stanziare fondi pubblici con l’obiettivo di bloccare gli arrivi nel nostro paese, a scapito della tutela dei diritti umani e delle continue morti in mare. Più di 210 milioni di euro sono stati spesi per la Libia, ma hanno contribuito a destabilizzarla ulteriormente e spinto i trafficanti di persone a convertire il business del contrabbando e della tratta di esseri umani, in industria della detenzione arbitraria nei centri ufficiali. Meno noti i numeri dei detenuti in altri luoghi di prigionia clandestini a cui le Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie non hanno accesso e dove le condizioni di vita sono peggiori. Uccisioni, rapimenti, maltrattamenti a scopo di estorsione sono minacce quotidiane. 6.500 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).
La risposta delle istituzioni Ue si limita alle operazioni di monitoraggio aereo di Frontex, EUNAVFORMED Sophia e Irini che contribuiscono alla facilitazione dei respingimenti verso la Libia. Le operazioni di monitoraggio aereo civile, seppur discontinue e anch’esse ostacolate, nel 2020 hanno avvistato quasi 5.000 persone in pericolo in mare in 82 casi, testimoniando continui episodi di mancata o ritardata assistenza da parte delle autorità. (Sea watch, 2021)
Salute e immigrazione.
La soluzione del nord del mondo: farmaci e multinazionali
Le multinazionali, in nome della sacralità delle leggi del mercato, impongono prezzi ai farmaci che sono fuori dalla portata delle popolazioni più povere. Il cinismo si pone al di sopra di tutte le regole, comprese quelle della decenza e del buon senso. Non si tratta solo di spogliare le persone misere, ma di privarle di ogni dignità e speranza.
Certificazioni, registrazioni standard, costruite per il mercato “globalizzato” di oggi sul modello “molecolare” delle nazioni occidentali, frenano la diffusione delle medicine tradizionali provenienti dai Paesi in via di sviluppo.
La globalizzazione abbatte i confini e aumenta le opportunità per ogni offerta.
Le aziende e i Paesi più ricchi di capitale stanno guidando il “progresso” in tutto il mondo.
Solo alcuni di questi appartengono ai Paesi della fascia tropicale. Sentono la mancanza di capitale, l’insicurezza economica e la conseguente fuga di capitali verso luoghi sicuri.
Una combinazione di fattori che impedisce gli investimenti e conferisce ai prodotti della zona un valore aggiunto limitato.
I costi di certificazione e registrazione derivano da “barriere non tariffarie” per i prodotti etnobotanici a valore aggiunto provenienti dai Paesi della fascia tropicale.
Sebbene il “pool genetico” dei Paesi del sud del mondo copra più dell’80% delle risorse mondiali rispetto a meno del 20% dell’emisfero settentrionale, risorse di capitale e della tecnologia, appartengono in modo preponderante al “pool genetico” settentrionale.
Le aziende europee o americane importano dall’Africa materie prime (senza valore aggiunto) con scarso ritorno per il continente nero, incapace di diventare autosufficiente. Aumentando la domanda di pochi prodotti, rompono l’equilibrio ecologico, imponendo coltivazioni estensive, in assenza di un equilibrio sostenibile.
La ricerca farmaceutica, prevalentemente gestita dalle grandi aziende farmaceutiche americane ed europee, investe dove le possibilità di successo e di investimento sono migliori. Non vengono considerate le risorse territoriali, ma il rendiconto, che inficia sulla sostenibilità ambientale, culturale, sociale.
Come per il Pigeum Africanum, indicato nell’ipertrofia prostatica, la Yohimbe venduta come afrodisiaco (migliora la performance sessuale, favorendo l’erezione), la Harpagophytum procumbens, meglio noto come Artiglio del Diavolo, consigliato nelle nostre erboristerie per i dolori cervicali, la Hoodia gordooni, indicata come cura dimagrante.
Quale sarà la medicina del futuro nel rispetto dei diritti dell’Uomo?
Come cureremo i migranti africani? Ha senso investire su una medicina che non appartiene alla loro cultura, quando potrebbe essere occasione di reinvestire sul mondo vegetale, interazione tra mondi, scambio di popoli, interculturalità, confronto di saperi?
La medicina tradizionale nell’Africa sub sahariana è complessa, associata, per fenomenologia religiosa, alla sventura e al maleficio in una dimensione metafisico-spirituale: la malattia è una punizione degli spiriti.
In Africa, il sistema sanitario tradizione è il più antico.
La carenza finanziaria di risorse e di apparecchiature inibisce lo sviluppo di una ricerca sistematica per la composizione ed i principi attivi dei fitofarmaci della medicina tradizionale. Per le multinazionali farmaceutiche, prevale la logica della massimizzazione del profitto, senza tutela della proprietà intellettuale (biopirateria). Occorrerebbe preservare gli equilibri ecologici e sociali, non sfruttare le risorse ambientali in modo selvaggio (Bernardi, 1984).
Progetti di cooperazione come il Muthi (Multi disciplinary university traditional health initiative), finanziato dall’Unione europea e accompagnato dall’Università di Oslo (Norvegia), ha promosso e sostenuto la ricerca sulle piante medicinali nelle università africane con l’intento di migliorare la medicina tradizionale (Africa Rivista, 2021).
L’Oms, insieme all’Africa Center for Disease Control and Prevention e la African Union Commission for Social Affairs, incoraggiano la sperimentazione su piante medicinali nel trattamento del coronavirus e di altre epidemie, promuovendo il ruolo che la biodiversità svolge nel migliorare il benessere nel continente africano (Comitato regionale di esperti sulla medicina tradizionale per il covid-19, OMS).
«Lo scopo dell’arte medica è la salute, il fine è ottenerla» (Galeno).
In Camerun, sono stati approvati due fitocomplessi nel trattamento del covid-19. In Madagascar, il Covid-Organics Plus Curative, sta terminando la sperimentazione di un rimedio a base di piante medcinali. Nel 2020, 40 Paesi africani hanno quadri politici per la medicina tradizionale, rispetto agli otto nel 2000.
La pandemia ha aumentato la consapevolezza del valore della medicina tradizionale africana, i rimedi naturali stanno guadagnando popolarità nei Paesi occidentali e potrebbero trovare il mercato globale, attraverso lo sviluppo di una produzione locale (Albanese, 2021).
Nessuno strumento ci consente di sfiorare la sofisticata chimica vegetale fatta di un linguaggio senza fine con il mondo. Gli olii essenziali non sono solo i “metaboliti secondari”, fatti di sostanze attiranti gli insetti nel flirt con gli impollinatori nella stagione degli amori o respingenti i predatori, eppure solo questo piccolissimo aspetto rappresenta la nuova frontiera della chimica, con implicazioni per la farmaceutica. Le piante, come gli organismi unicellulari, hanno recettori GABA, comuni a quelli presenti nel mondo animale, producono gli stessi peptidi secreti dagli esseri umani, come l’insulina e le endorfine. Sulla superficie di un’unica cellula, sono presenti recettori degli oppioidi simili a quelli presenti nel nostro cervello. Molecole informazionali possono codificare le comunicazioni che regolano i sistemi di qualsiasi essere vivente, intracellulare o extracellulare, da organo a organo, da cervello a corpo o da individuo a individuo. È l’unità di tutte le forme di vita.
Le piante per uso alimentare, medicinale o industriale costituiscono il patrimonio antropologico, insieme alla conoscenza tradizionale del loro utilizzo.
800.000 specie di piante nel mondo,
300.000 quelle conosciute,
di cui il 15% (delle 300.000) è usato nelle varie farmacopee,
di cui l’1% (di questo 15%) è studiato con tecnologie molecolari.
L’inquinamento e la distruzione dell’ambiente attraverso la deforestazione hanno contribuito allo sterminio di 60.000 specie nell’ultimo secolo. Minacce alla natura e saccheggio delle conoscenze medicinali, ricchezza dei popoli indigeni.
La combinazione di due risorse (materia prima e savoir faire) dovrebbe dare ai Paesi della fascia tropicale un ruolo di primo piano nel mercato globale. Tuttavia, la coincidenza di sottocapitalizzazione e condizioni di mercato sfavorevoli ne impedisce il necessario sviluppo. La manodopera e le risorse naturali a basso costo devono essere offerte a condizioni favorevoli.
Il diritto dei brevetti non riconosce la semplice scoperta di una pianta nel suo uso, seppur consolidato nel tempo.
Finora, il 99% delle molecole scoperte con l’aiuto dei guaritori tradizionali non ha prodotto alcun profitto per loro. Le loro conoscenze mediche non attraversano necessariamente i confini degli Stati, lasciando spazio a interpretazioni sull’origine geografica esatta di una scoperta.
Le difficoltà dell’alta tecnologia e dell’industria sanitaria:
- costi esorbitanti per la creazione di nuovi prodotti (le procedure di registrazione richiedono migliaia di pagine di documentazione, test farmacologici, tossicologici, clinici. – 800.000.000 dollari spesi in 25 anni, con un costo superiore alle entrate di un laboratorio medio, dove l’investimento per la ricerca deve superare il 10% della fattura),
- non sono accessibili alle popolazioni più povere.
- “Quindici anni, $ 2,5 miliardi, per raggiungere un nuovo prodotto dove non c’è nemmeno un problema sicuro” (Donald Trump, incontro con i dirigenti farmaceutici).
In un’analisi di 10 farmaci per il cancro approvati tra il 2006 e il 2015 il costo medio di sviluppo di nuovi farmaci antitumorali era stato di $ 648 milioni ($ 757,4 milioni con il 7% del costo incremento annuale), il tempo medio impiegato 7,3 anni (JAMA Internal Medicine).
Le aziende hanno speso tra $ 157,3 milioni e $ 1,95 miliardi, con un costo medio di $ 648 milioni. (Sham Mailankody, Memorial Sloan Kettering Cancer Center Vinay Prasad, Oregon Health and Science University). L’alto prezzo dello sviluppo viene utilizzato per giustificare il costo.
Il NICE (National Institute of Clinical Excellence), nato per valutare l’efficacia degli interventi medici al fine di orientare una corretta utilizzazione delle risorse da parte del Servizio Sanitario (inglese) che, con tutti i suoi limiti, è organizzazione interessante ed efficiente, auspicabile per la scelta dei farmaci realmente utili e la correttezza del relativo prezzo, non è stata adottata dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), FDA, EMA (Agenzia Europea per i Medicinali).
Malgrado la creazione del NICE sia del 1999, il parametro QALY (anni di vita aggiustati per qualità) pare interessi solo agli Inglesi.
Il prontuario farmaceutico italiano resta un’attesa di restyling.
I criteri per la classificazione dei farmaci innovativi definiti dall’AIFA per la permanenza del requisito dell’innovatività ai fini dell’eventuale riduzione del prezzo di rimborso:
1. il bisogno terapeutico;
2. il valore terapeutico aggiunto;
3. la qualità delle prove, che è legata alla robustezza degli studi clinici.
Dal 2000, l’AIFA ha adottato il metodo GRADE, per la valutazione dell’affidabilità delle prove scientifiche, e per la formulazione di raccomandazioni cliniche basate sulle evidenze, nonché per le revisioni sistematiche della Cochrane Library.
Ad oggi si stima che oltre 100 organizzazioni in 19 paesi in tutto il mondo si avvalgano di questo metodo, compresa l’OMS. Non si basa solo sull’appropriatezza del disegno di studio, ma considera anche criteri di appropriatezza metodologica alternativi, la rilevanza dei risultati in termini di diretta applicabilità, nonché valuta la qualità delle prove per ognuno degli esiti rilevanti per i pazienti.
Nel sistema GRADE le prove di efficacia vengono classificate in quattro livelli: alto, moderato, basso e molto basso. Sulla base dei nuovi criteri, i possibili esiti della valutazione sono: riconoscimento dell’innovatività in relazione alla singola indicazione terapeutica, a cui sono associati benefici economici, come l’inserimento nel fondo dei farmaci innovativi, la sospensione di entrambe le riduzioni di legge; e infine l’inserimento nei Prontuari Terapeutici Regionali. (Fonte: Rapporto OsMed, 2017). Si evidenzia la mancanza di correlazione fra entità del valore terapeutico e l’alto costo dei farmaci oncologici che costituiscono una parte consistente della spesa farmaceutica: molte approvazioni sono basate sui risultati di studi che avevano come oggetto di valutazione esiti surrogati, molti dei quali scarsamente correlabili alla sopravvivenza. 67% dei farmaci oncologici approvati negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration non aveva dimostrato un miglioramento della sopravvivenza o della QoL (Quality of Life – Qualità di Vita) e solo il 14% aveva mostrato esiti positivi, in termini di durata di vita, rispetto a trattamenti esistenti o placebo dopo 4 anni dalla loro commercializzazione (JAMA International Medicine). Sui 48 farmaci oncologici approvati per 68 indicazioni dal 2009 al 2013 dall’EMA: al momento dell’approvazione solo il 35% delle indicazioni dimostrava un aumento di sopravvivenza significativo e solo il 10% un miglioramento della qualità della vita. (King’s College London, BMJ).
L’Africa di oggi.
Farmaci inefficaci, basati su argomentazioni non provate.
Il nuovo far west, cartelli di criminalità organizzata finanziati dalla droga e dalla tratta di nuovi schiavi, con potenza economica e di fuoco militare superiore a quelle che gli Stati hanno per difendersi.
I narcotrafficanti acquistano generali, polizia elezioni, terra, ma sono partner commerciali.
I nuovi colonizzatori sono i cinesi.
La campagna acquisti della China Investiment Corporation (2000 miliardi di dollari) insaziabile consumatrice di materie prime ed i prodotti alimentari facilitata dell’esodo dei capitali occidentali, fonda un nuovo colonialismo. 800.000 cinesi “incentivati” come “loro” soluzione demografica.
Gestiscono imprese, costruiscono ferrovie, strade, dighe, si appropriano delle risorse, vendono prodotti a buon mercato di produzione asiatica. Il loro interesse è la terra (cibo e biocarburanti).
Dalla Cina, verso l’Africa e dall’Africa, verso l’Europa.
Il diritto di proprietà o di affitto comune dal 2 al 10% della Terra.
Storie antiche.
Gli agricoltori africani sono rovinati dalle eccedenze alimentari americane, europee ed oggi cinesi che inondano i mercati godendo di sostegni all’agricoltura pari a un miliardo di dollari al giorno.
Nel 2008 Jacques Diouf (FAO) a Roma chiese 30 miliardi per anno.
Nel 1960, l’Africa esportava il surplus, la Fondazione Ford e Rockefeller della “rivoluzione verde” quando i paesi Africani producevano a sufficienza per consumo domestico e l’esportazione.
Nel 2010, a Sendaga, il più grande mercato alimentare nell’Africa Occidentale (Dakar), frutta e ortaggi portoghesi, spagnoli, italiani, greci erano a metà prezzo. E così per ali di pollo industriali europei, il riso tai. In mare flotte giapponesi, cinesi, russe devastano i litorali, i pescatori diventano operai delle fabbriche di pesce vendendo a prezzi stracciati le loro barche ai passeurs d’esseri umani.
Da una parte si organizza la fame, dall’altra si criminalizzano i rifugiati per la fame.
Oggi, Task Force navale davanti Aden. Capacità di accoglienza per 10.000 effettivi, porta d’accesso sicura per il cuore del Continente, scudo per gli interessi cinesi.
2016: linea ferroviaria per Addis Abeba. 760 chilometri (656 solo in territorio etiopico), costruita in tre anni e mezzo da un consorzio cinese. Costo di 4 miliardi di dollari, per il 70% finanziati da una banca di Pechino.
Per l’Etiopia, che non ha sbocchi sul mare, la grande opera è un balzo nel futuro e una finestra sul mondo, ma la gestione per i prossimi 30 anni è affidata ad un operatore cinese e al suo personale.
L’anno dopo in Kenya è stato inaugurato il primo tratto della Mombasa Nairobi-Kampala, un percorso su ferro finanziato e costruito dalla China Road and Bridge Corportion. La linea si snoda, riprendendo il tracciato della vecchia ferrovia coloniale inglese, dall’Oceano indiamo al cuore dell’Africa; nel ‘19 è stato aperto il secondo tronco da Nairobi a Naivasha, l’ultima stazione prima della frontiera ugandese poi tutto si è fermato.
E ancora, il Doraleh Container Terminal, un impianto petrolifero gestito dalla compagnia statale China Merchants Group.
Nel 2018, il Djibouti Damerjog Indutrial Development, una zona franca di 43 Km2 gestita esclusivamente da aziende cinesi (costo 3,5 miliardi di dollari)
Strade, alberghi, centri commerciali, acquedotti e in fase avanzata di realizzazione di un gasdotto di 700 Km verso i giacimenti dell’Ogaden etiopico e un oleodotto per il Sud Sudan
Costruzione di un nuovo aeroporto, futuro hub africano delle merci cinesi (scaricate da navi cinesi allo scalo cinese di Doraleh). Accordo tra Air Djibouti, Ethiopian Airlines e l’autorità portuale nazionale
Gli Stati Uniti assicurano 200 milioni di dollari, annualmente, a Gibuti. I cinesi detengono il 77% del debito nazionale, con cui programmano e ritmano il piano di sviluppo Vision 2035.
Bank of China «è trasformare il Paese, da hub logistico regionale in un hub finanziario e in un crocevia commerciale globale».
In Africa, 61 sedi fanno della Cina la seconda potenza culturale del continente, dopo la Francia. Pechino è partita da zero. Dal 2014 il mandarino s’insegna, come lingua opzionale, nelle scuole del Sud Africa mentre in Uganda, un’altra ex colonia britannica; dal dicembre 2018 il ministro dell’istruzione ha imposto lezioni di mandarino obbligatorio per le scuole superiori. In cambio il governo cinese ha completato il progetto che consentirà a più di 500 villaggi ugandesi di accedere alla televisione digitale (Access to Satellite TV Project, 10 mila villaggi). Tutto è nelle mani della cinese Start Times e supervisionato dall’ambasciata e dal locale Istituto Confucio. In Kenya dal 2020 in tutte le scuole di ogni ordine e grado s’insegna il mandarino «per migliorare la competitività nel lavoro e facilitare il commercio e il collegamento con la Cina».
Flusso migratorio costante dalla madrepatria verso l’Africa In 20 anni oltre 1 milione di cittadini cinesi, tecnici e operai specializzati, agronomi, contadini, si sono trasferiti nel Continente. Il «Progetto Africa» punta a fare del Continente nero una appendice coloniale, per trasferirvi una quota di popolazione cinese.
Il porto di Mombasa, uno dei più importanti e trafficati dell’Africa orientale, è stato offerto in garanzia per il prestito di 3,2 miliardi di dollari utilizzati per la linea ferroviaria Il Kenya perderà la proprietà del porto se non riuscirà a ripagare il debito. Come in Sri Lanka, dove la Cina ha assunto il controllo del porto di Hambantota.
Gli scali marittimi sono l’obiettivo prioritario di Pechino. 46 i porti finanziati, progettati (e in fase di costruzione) o gestiti da enti cinesi, Garanzia alla navi di trattamento prioritario a costi minori. Far giungere nel minor tempo possibile grandi volumi di merci nei mercati europei (Centre for Strategic & International Studies)
Lamu, Kenya. 500 milioni di dollari per l’espansione del porto commerciale.
Bagamoyo, Tanzania. Realizzazione del porto, che diventerà il più grande porto dell’Africa Orientale (11 miliardi di dollari e compartecipazione di Tanzania, Cina e Oman).
Belt and Road Initiative, la nuova «via della seta» China-Africa Economic and Trade Expo in China, Collegamento permanente del libero scambio.
Testa di ponte dell’espansione gialla, ormai una solida piattaforma dell’import/export sino-euroafricano. Nel 2019, la crescita record del 6,1%.
Attraverso lo stretto di Bab al-Mandeb, la «Porta delle lacrime» tra il Mar Rosso e L’Oceano Indiano, transita una nave ogni 25 minuti. Il 40% delle forniture mondiali di petrolio. Un interscambio pari a 700 miliardi di dollari. Per l’economia cinese un passaggio vitale e la «trappola del debito» è sempre pronta a scattare
Gibuti: Il micro Stato (900mila abitanti su 23mila Kmq), indipendente dalla Francia dal 1977. Un posto inospitale: sabbia, roccia lavica, caldo atroce e tanta miseria. Eppure l’ex Territorio degli Asfar e Issa, già Somalia francese, interessa a molti. Merito della geografia che ha inchiodato la desolata repubblica proprio sul fatidico stretto di Bab al Mandab. Spazi e strutture sono stati affittati a chiunque li richiedesse, trasformando il Paese in un condominio di marine e eserciti stranieri. Un’operazione immobiliare decisamente fruttuosa.
Nelle rispettive basi: 4000 soldati americani 1450 militari francesi (con contingenti spagnoli, olandesi e tedeschi) 200 militari giapponesi, 140 militari italiani.
Dal 2013 è operativa la base militare intitolata ad Amedeo Guillet, il mitico «Comandante Diavolo», eroe della resistenza italiana in Africa Orientale. A Gibuti tutti controllano tutti. Americani e Francesi e i 2000 militari cinesi che popolano la grande base portuale inaugurata nel 2017.
L’Africa oggi è il continente da ricostruire e da liberare dalla cleptocrazia non più europea, ma cinese, iraniana sciita il Safari del Mullah.
Le norme tradizionali, riconosciute legalmente non sono legalizzate dagli accordi internazionali.
Muore l’agricoltura tradizionale basata sulle varietà, diversità, comunità.
“E’ la fine della biodiversità”. Arriva la monocoltura destinata all’esportazione (riso, soja, olio di palma per cosmetica e biocarburanti). Arrivano fertilizzanti e pesticidi di nuovi predatori egli anni 60. (Prima conferenza sul commercio mondiale di terre coltivabili, New York, 2009)
Nascere sulla Terra, toccare la Terra con le mani e con i piedi, lavorare la Terra. La Terra è Madre, legame comune delle generazioni passate presenti future. (Kikugu)
Spirito del fiume, della montagna, degli antenati.
Gli uomini arano,
gli adolescenti mietono e trebbiano,
i bambini proteggono il raccolto dagli assalti degli uccelli.
Senza senso di proprietà.
Il diritto non è possedere la Terra, ma lavorarla.
I cinesi vanno in africa e gli africani vengono in Europa.
Non Cinafrica, Africa in Europa, partendo dal coraggio e tenacia delle donne nere, sottoposte a una violenza doppia rispetto a quella subita dai compagni maschi. Irrompe il grido appassionato Black and beautiful, la rivendicazione dei diritti. “I giovani africani avevano deciso che non erano più negri. All’improvviso erano diventati neri”.
Non si tratta solo di rifiutare le manie di assimilazione ai bianchi, oppure di rispettare le ossessive regole della buona educazione per dimostrare di essere africani perbene, non basta solo liberarsi dal l’ossessione delle sfumature della pelle, della foggia dei capelli, non basta non cadere nella droga o nella inerzia professionale. E non basta neppure la militanza politica. Quello che è necessario è la consapevolezza culturale della propria storia.
Nel romanzo I canti d’Amore di Wood Place di Honorée Fanonne Jeffers, un lungo cammino di ricerca sulle tracce di una fisionomia di uomini e storie. Dietro lo schema di oppressione e rivendicazione di libertà, di discriminazione e lotte, è il riconoscimento dei diritti e di una pari opportunità di vita, nella consapevolezza che per andare avanti non bisogna dimenticare quello che ci lasciamo dietro.
La Storia si ripete.
La Storia insegna e lascia i segni di un passato che diventa presente e poi nuovamente futuro.
Tra il IV e il V secolo d.C., l’Impero Romano era assediato dal barbari. La “Decadenza”. Le province erano in fiamme, in un incendio etnico e religioso che investiva l’impero mediterraneo. Il grande sommovimento etnico, le “invasioni barbariche”, oggi definite attraverso il termine inglese Migration Period, a sua volta calcato da quello tedesco di Volkerwanderung “movimento di popoli”.
Sembrava la fine del mondo, o, almeno, la fine di un mondo.
Le cause:
- il cambiamento climatico (allora di segno opposto all’effetto serra),
- l’inquinamento atmosferico, che indeboliva la popolazione, rendendola più vulnerabile a febbri ed epidemie,
- epidemie,
- incrementate dall’ampliarsi dei bacini microbici, a seguito dei fitti scambi consentiti dall’immensa rete viaria dell’impero tardoantico.
L’inizio di un mondo globalizzato, del nostro mondo.
Ieri come oggi, nella Grande Crisi nel terzo secolo, le periferie erano devastate da lotte etnico-religiose, rivolte per il pane, perdita dei valori, mancanza di cibo e risorse. Una minoranza turbolenta: i cristiani. La loro religione era troppo assoluta, trovava pericoloso l’integralismo dei nuovi monoteisti. Tra le frange fondamentaliste con cui l’attuale Islam estremizza le rivolte nuovamente divampate in quelle regioni del globo.
Viaggio per acquisire significati nuovi. Cordone ombelicale con l’universo. Alchimia per riportare in vita il passato. Interrogano l’invisibile, dialogano con il segreto, con il nascosto. Viaggio della memoria nell’alba di un adesso che sarà presto ieri, preludio di un futuro ricordo.
Molteplici i parallelismi, in questa “fine” del nostro mondo. Non ci si può limitare alla benevola tolleranza del diverso, ma andare oltre, individuando un criterio, fonte e struttura del reciproco riconoscimento.
Mentre scriviamo arrivano notizie dal Burkina dove, come in Mali, siamo presenti con missioni di pace, di scolarità, di allestimento pozzi e orti, attraverso il nostro ente filantropico Artaban. Piccolissima realtà che, come tante, cercano di arginare la migrazione, radicando, non con la detenzione nei campi libici, ma restituendo dignità e identità agli africani. (https://www.artaban-onlus.org/).
Il multiculturalismo è fallito, è giunto il tempo della interculturalità, dalla coesistenza di culture che non comunicano, all’esperienza del dialogo, confronto che non sia scontro, in cui i valori siano comunicati senza perdere l’identità. Convivenza culturale, delicata e complessa. Il modello interculturale riguarda innanzitutto il rapporto con la propria identità, prima di costruire quella degli altri. Dialogo: dia-logos, rapporto tra due logoi.
Interculturalità non ha come meta l’identificazione, la costruzione di un’unica società globalizzata.
La tentazione multiculturale era quella del duello, dove il più forte riesce a occupare più spazio. Noi dobbiamo creare l’interculturalità: un duetto. Che in musica è costruito da un basso e da un soprano. Cosa c’è di più diverso da un duetto se il basso canta in falsetto e il soprano cala di tono? (Ravasi)
E dato che oggi non conosciamo più il duetto, se la nostra specie vuole sopravvivere occorre comprendere la relazione tra noi e il pianeta, imparando un nuovo linguaggio. La proposta del fisico Faggin: seity, entità quantistiche, contengono l’essenza di Uno, la totalità di ciò che esiste, come ogni cellula del nostro corpo contiene tutto il Dna dell’uovo fecondato da cui è emerso l’organismo. Cooperazione, il bisogno di conoscere se stessi anche attraverso la conoscenza dell’altro. Amore, la capacità di unire, di trovare soluzioni comuni, opposto alla competizione. “L’umanità deve assumersi la responsabilità del danno all’ambiente e ripararlo, mediante la cooperazione. Dobbiamo cambiare idea di chi siamo, solo così potremo cambiare il mondo” (Faggin, 2022). E aggiungeremmo, sapendo da dove veniamo.
“Per approdare a un futuro migliore dobbiamo prima immaginare realtà possibili non conseguenze logiche di cose che sappiamo già”. Il futuro creativo è tutto da inventare. (Garofalo, 2022).
Report fotografico
Mostra fotografica Terra Madre 2022 (https://www.africarivista.it/terramadre/198112/)
Bibliografia
Africa Rivista, (2021). Oggi è la Giornata della medicina tradizionale africana. Africa, la rivista del continente vero. https://www.africarivista.it/oggi-e-la-giornata-della-medicina-tradizionale-africana/190349/
Albanese, G. (2021). La medicina tradizionale africana è una scienza degna di essere studiata (di Padre Giulio Albanese). Il faro di Roma. Quotidiano informazione. https://www.farodiroma.it/la-medicina-tradizionale-africana-e-una-scienza-degna-di-essere-studiata-di-padre-giulio-albanese/
Assemblea Generale delle Nazioni Unite (10 Dicembre 1948). https://www.ohchr.org/sites/default/files/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
Bernardi, B. (1984). LA professionalizzazione della medicina tradizionale in africa. Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente. Published By: Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO). https://www.jstor.org/stable/40759685
Faggin, F. (2022). Irriducibile. Mondadori Editore. Pagine: 300 p., Rilegato. EAN: 9788804739036
Grandi, M., (2019). Sulla rotta delle Resine. Etnopharma edizioni. https://www.etnopharma.com/product-page/sulle-rotte-delle-resine
ISPI e Caritas italiana (2020). LIBIA Cause di migrazione e contesti di origine. https://inmigration.caritas.it/sites/default/files/docs/2021-05/Libia.pdf
Jedlowski, A. (2021). La Nigeria oggi: elementi per comprendere le cause del flusso migratorio. Università di Liegi (Belgio) e Università di Torino (Italia). https://lestradedelmondo.org/wp-content/uploads/2018/10/Dalla-Nigeria-allItalia.pdf
Jeffers, H.F. (2022). I canti d’Amore di Wood Place. Guanda Editore. Pagine: 848 p., ill., Brossura. EAN: 9788823530836.
Ministero del lavoro e delle politiche sociali. (2020) La presenza dei migranti nella città metropolitana di Torino. https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/La%20presenza%20dei%20migranti%20nelle%20aree%20metropolitane,%20anno%202020/RAM-2020-Torino.pdf
Save the children (2015). Tre milioni di bambini africani sotto i cinque anni muoiono ogni anno per cause prevenibili. https://www.savethechildren.it/press/3-milioni-di-bambini-africani-sotto-i-cinque-anni-muoiono-ogni-anno-cause-prevenibili#:~:text=%E2%80%9CL’Africa%20sub%20sahariana%20resta,dirompente%20della%20malnutrizione%5B1%5D.
Sea watch (2021). Accordo Italia-Libia: 4 anni di fallimenti, abusi e torture nel segno del cinismo della politica. https://sea-watch.org/it/accordo-italia-libia/
Unicef (2019). Nuovi dati UNICEF-OMS, calano ancora mortalità infantile e materna. https://www.unicef.it/media/nuovi-dati-unicef-oms-calano-ancora-mortalita-infantile-e-materna/#:~:text=In%20Africa%201%20bambino%20ogni,rispetto%20a%20un%20coetaneo%20europeo
Villa, M. (2021). Fact-checking: migrazioni 2021. Istituto per gli studi di politica internazionale. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ispitel-fact-checking-migrazioni-2021-31027