Quale progetto per un “Nuovo Bauhaus” in Italia?

Giordano Bruno

Abstract: Dopo aver esaminato la situazione degli ISIA (Istituti Superiori per le Industrie Artistiche), evidenziandone i punti di debolezza attuali e riproponendo, al contrario, un loro ritorno alle origini, che si rifacevano al modello del Bauhaus, ci si interroga su quale nuovo progetto di sviluppo possa essere utile per loro, ma soprattutto per il paese. In questo senso, si fa riferimento ad un articolo dell’autore di questo scritto che tratta della necessità di introdurre un modo di pensare e progettare di carattere “sistetico” (sistemico, etico, estetico). Da qui, si prende spunto per delineare quello che potrebbe essere un progetto di un “Nuovo Bauhaus” in Italia.

Parole chiave: ISIA, Bauhaus, Design, “Sistetica”, Nuovo Bauhaus.

Abstract: After examining the situation of the ISIA (Higher Institutes for Artistic Industries), highlighting their current weaknesses, and proposing, on the contrary, a return to their origins, which were based on the Bauhaus model, the question arises as to what new development project might be useful for them, but above all for the country. In this sense, references are made to an article by the author of this paper that deals with the need to introduce a “systetic” (systemic, ethical, aesthetic) way of thinking and designing. From here, we take inspiration to outline what could be a project of a “New Bauhaus” in Italy.

Key Words: ISIA, Bauhaus, Design, “Systetics”, New Bauhaus.


C’erano una volta in Italia, nel panorama della formazione nel campo del design, gli ISIA (Istituti Superiori per le Industrie Artistiche) … potrebbe questo, a mio parere, essere un “ritornello” che ascolteremo – mal volentieri – in un futuro non molto lontano.

Questi istituti pubblici sono nati in Italia (Roma, Firenze, Urbino, Faenza) [1]A partire dal 2010 l’ISIA di Roma ha istituito dei Corsi decentrati a Pescara e a Pordenone; nel 2016 è stato istituito a Pescara il quinto ISIA italiano. negli anni Settanta del secolo scorso, sotto la spinta di uomini illuminati che avevano compreso l’importanza di una formazione avanzata e di un approccio culturale innovativo riguardanti il design, ispirati al modello del Bauhaus.

Farò riferimento qui, principalmente, all’ISIA di Roma, che conosco bene in qualità di docente a partire dal 1982 e di Direttore dal 2010 al 2016.

Giulio Carlo Argan e Aldo Calò, principali ideatori del progetto ISIA, e rispettivamente primo Presidente del Comitato Scientifico- Didattico e primo Direttore dell’ISIA di Roma, in breve tempo formarono una magistrale squadra di docenti; tra cui Andries Van Onck, Rodolfo Bonetto, Enzo Frateili, Maurizio Sacripanti, Pio Manzù, Renato Pedio, Maurizio Aymonino, Filiberto Menna, Achille Perilli, Nicola Carrino, Nato Frascà.

Si noti come costoro rappresentassero svariati ambiti del sapere e tra di loro fossero presenti intellettuali, artisti e professionisti del design.

Questa sarà nel tempo una caratteristica fondante e pregnante dell’Istituto: la presenza di contributi disciplinari e interdisciplinari di ampio respiro.

Ma non solo, altri tre aspetti peculiari hanno reso queste istituzioni così apprezzate nel panorama della formazione terziaria.

Il primo è stato, oltre a poter scegliere i docenti da parte del Comitato Scientifico-Didattico, quello di individuare le materie più opportune da insegnare a partire dalla discussione e dal confronto fra i docenti stessi, assieme ai laboratori da costruire e alle ricerche da affrontare in partenariato con le imprese, con un progetto lungimirante.

Il secondo, anch’esso determinante, è consistito nella modalità di reclutamento dei docenti e della loro contrattualizzazione: le attribuzioni delle docenze venivano fatte per chiamata diretta, senza la presenza di un organico di ruolo, con l’assegnazione di incarichi di insegnamento. Ciò permetteva la presenza di docenti selezionati opportunamente e provenienti in prevalenza dalle professioni del design e artistiche.

Il terzo, infine, è derivato dalle modalità dell’organizzazione didattica: piccoli gruppi di studenti per anno (25/30), selezione di qualità in entrata, tempo pieno di apprendimento, creando opportuni spazi per attività laboratoriali, di workshop e per attività di ricerca.

Tutto ciò ha funzionato sostanzialmente nello stesso modo fino alla riforma dell’AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica) approvata nel 1999, ma a tutt’oggi non ancora integralmente applicata a causa della mancata approvazione di importanti decreti delegati, oltre all’essere stata disattesa in un aspetto cruciale.  Si noti, infatti, come proprio quella riforma prevedeva la messa ad esaurimento di tutti i posti di ruolo e l’attribuzione di incarichi rinnovabili ai docenti. Ma purtroppo questa norma, che avrebbe assicurato una presenza fondamentale di professionisti e che quindi trasferiva nell’AFAM il modello del Bauhaus, è stata inapplicata.

Non è il caso, qui, di ripercorrere tutte le vicende che hanno riguardato gli ISIA fino ad oggi, se non per sottolineare alcuni rilevanti cambiamenti in atto da pochi anni a questa parte.

Per prima cosa è stato imposto, per legge, a queste istituzioni di attribuire gli incarichi di insegnamento non più per chiamata diretta dei docenti, ma attraverso selezioni comparative stabilite da bandi pubblici.

È, poi, di quest’ultimo periodo la scelta di dotare gli ISIA di unità personale di ruolo, per ora a tempo determinato (ma è già previsto il passaggio a tempo indeterminato). Non posso esimermi dal sottolineare come ciò stia avvenendo sulla base di graduatorie nazionali, costruite sostanzialmente solo per titoli didattici (ovvero anzianità di servizio), senza uno straccio di selezione qualitativa e senza un progetto sostanziale di completamento della riforma, o del suo abbandono e della riformulazione di un disegno strategico per il settore.

Infine, è stata stabilita una revisione degli attuali settori disciplinari degli ISIA, uniformandoli interamente ai settori delle Accademie di Belle Arti.

Sono, come è ovvio constatare, tutti questi ultimi elementi citati che mi hanno dato lo spunto per aprire questo mio intervento con “C’erano una volta in Italia gli ISIA”.

Si comprende, facilmente, come queste “Scuole” che si richiamavano al Bauhaus e alla Scuola di Ulm siano destinate fatalmente, se non altro, a cambiare totalmente il loro “status”; e comunque a non poter rappresentare più quel modello innovativo che le aveva caratterizzate e che, con lo sforzo di tanti, si è cercato di conservare fino a poco tempo fa.

È importante, allora riportare qui quanto espresso nel 2020 dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen in “Il nuovo Bauhaus europeo: editoriale della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/AC_20_1916:

“Come lo storico movimento Bauhaus che si diffuse in tutto il mondo partendo da Weimar, il nuovo Bauhaus europeo è immaginato per essere ben più di una semplice scuola di architettura che utilizza nuove tecnologie e tecniche. L’esplosione innovativa del Bauhaus non sarebbe infatti stata immaginabile senza il ponte gettato verso il mondo dell’arte e della cultura o verso le sfide sociali dell’epoca. Il primo Bauhaus ha dimostrato che l’industria e l’eccellenza nel design possono migliorare la vita quotidiana di milioni di persone. Il nuovo Bauhaus europeo deve innescare una dinamica analoga. Deve dimostrare che ciò che è necessario può essere anche bello, che lo stile e la sostenibilità vanno di pari passo. Dobbiamo abbandonare strade a noi familiari e cambiare la nostra prospettiva. Il nuovo Bauhaus europeo creerà le condizioni necessarie per farlo.

I prossimi due anni vedranno nascere i cinque progetti iniziali del Bauhaus europeo in diversi paesi della nostra Unione. Tutti saranno improntati alla sostenibilità, ciascuno con una sfumatura diversa: i loro temi spazieranno dai materiali da costruzione naturali all’efficienza energetica, dalla demografia alla mobilità orientata al futuro o all’innovazione digitale efficiente sotto il profilo delle risorse, ma sempre in combinazione con la cultura e l’arte. Questi laboratori creativi e sperimentali, autentici punti di attracco per le industrie europee, costituiranno il punto di partenza di una rete europea e mondiale che – al di là dei singoli Bauhaus – punterà a massimizzare l’impatto economico, ecologico e sociale.

L’auspicio è che il Nuovo Bauhaus europeo lanci un movimento creativo e interdisciplinare che sviluppi norme estetiche e funzionali, in sintonia con le tecnologie di punta, l’ambiente e il clima. Se riusciremo a combinare la sostenibilità con il design di eccellenza, il Green Deal europeo riceverà un impulso formidabile, anche al di là delle nostre frontiere. L’obiettivo è stimolare il dibattito su nuovi metodi di costruzione e nuovi moduli di progettazione. Il nuovo Bauhaus europeo deve sperimentare e fornire risposte pratiche alla grande questione sociale del futuro: come immaginare per noi europei una vita moderna in sintonia con la natura? Dipende da noi fornire una risposta che sappia rendere più bello e umano il nostro XXIº secolo.”

Trovo quanto mai paradossale che, avendo fatto nostre – in anticipo sui tempi – le esigenze espresse dalla von der Leyen ed avendole inverate in una realtà come quella degli ISIA da quasi cinquanta anni, proprio questi ultimi vengano ridimensionati e uniformati, rendendoli omogenei ad altre istituzioni nate e sviluppatesi in condizioni ben diverse!

Ritengo inammissibile la mancanza di visione e di conoscenza storica sottese alle scelte fatte. Come rispondere, allora, a questa incapacità di saper valorizzare l’esistente che ha portato il design a rappresentare e manifestare una vera e propria “cultura del progetto”?

L’ISIA di Roma, peraltro, già negli anni Duemila è andata avanti introducendo lo studio dei sistemi complessi nei corsi erogati. E ha fatto propria una visione che, ripresa dal Bauhaus, l’avrebbe portato a rappresentare pienamente il suo progetto didattico e di ricerca, istituendo anche sotto la spinta culturale di uno dei suoi meritori Presidenti, Augusto Morello, un corso specialistico in Design dei sistemi (primo in Italia ad essere pensato e proposto). Già dal 2004 il corso biennale in Design dei sistemi ha rappresentato in pieno la capacità dell’ISIA di Roma di andare oltre il design del prodotto e di occuparsi, attraverso l’analisi teorica e pratica e la ricerca, di sistemi complessi.

Cosa ricavare allora da queste considerazioni? Si può cercare di invertire quella che considero una vera e propria “caduta” di queste istituzioni?

Occorre, a mio parere, ricostituire quelle condizioni iniziali cui ho accennato. È necessario costruire un “sistema” degli ISIA, ampliandone il numero con la presenza di almeno una sede in ciascuna delle regioni italiane, dotandolo di opportuni mezzi finanziari e di legge, e di un suo innovativo statuto, che permettano di far nascere il Nuovo Bauhaus italiano e andare così incontro alla richiesta pressante della von der Leyen di un Nuovo Bauhaus europeo.

Solo in tal modo si potranno raggiungere due obiettivi rilevanti:

  • Edificare una rete di formazione adatta a gestire singoli piccoli numeri di studenti per offrirne una qualità elevata, garanzia di futura occupazione.
  • Conservare e sviluppare la “cultura del design” italiano, che ha rappresentato e sempre più può rappresentare un riferimento internazionale e uno dei fondamenti del nostro esserci e agire nel mondo.

Tutto ciò, infine, ha bisogno di una visione ben precisa e condivisa. Questa visione, non può che essere, a mio avviso, “sistetica” (termine che ho coniato fondendo insieme sistemica, etica ed estetica). Il design deve essere utile, etico e bello (come richiamato anche dalla von der Leyen). A tale proposito, per comprendere a pieno il significato di tale affermazione rimando al mio articolo “A need for “Systetics””, Systemics of Incompleteness and Quasi-Systems, Springer, 2019.

Qui, ne riporto alcuni brani (tradotti in italiano) per illustrare il mio pensiero e fare alcune ulteriori considerazioni.

“Un progetto può definirsi sistetico quando è in grado di far rilevare a un soggetto (collettivo) proprietà emergenti dall’interazione dei suoi elementi costitutivi, che abbiano caratteristiche inscindibili di bello e buono percepibili dallo stesso soggetto.

Direi che di conseguenza nell’osservatore debba venire a configurarsi un nuovo modello cognitivo, costituito da una sorta di spazio topologico costruito a partire dai due elementi bello e buono. Uno spazio che non prevede una misura, ma solo delle proprietà appunto di carattere topologico. Uno spazio che presenta caratteristiche di incertezza e indeterminatezza oltre che di incompletezza, quindi uno spazio intrinsecamente logicamente aperto.

Uso appositamente le categorie universali di bello e buono (καλὸςκἀγαθός) alla stregua degli antichi greci per i quali ciò che è bello non può che essere buono, e viceversa ciò che è buono è necessariamente bello.

Naturalmente rimane il problema di stabilire cos’è bello e cos’è buono.

Quello di cui mi posso occupare è cimentarmi in cosa può dirsi bello e buono nell’ambito della progettazione di un sistema. Sicuramente per bello possiamo intendere l’aspetto de “la percezione soggettiva (ma condivisa) del nostro legame con l’ambiente, legame caratterizzato da una profonda ed equilibrata armonia dinamica”, come dice Longo (Longo, 2010, “https://www.scienzainrete.it>articolo>giuseppe-o-longo, Etica, estetica e libero arbitrio”). Ma poiché anche un sistema, come un oggetto, ha una forma concreta, astratta o virtuale che sia, ritengo che tale forma debba apparire qualcosa di semplice ed elegante nello stesso tempo, così come ci insegna la matematica: non è possibile ridurla ulteriormente senza danneggiare il suo significato ed è stata scelta (etimologicamente: elegante deriva dal latino eligere) in modo che noi possiamo riconoscere quella forma, accedervi in maniera intuitiva.

D’altra parte per buono possiamo intendere il risultato de “la capacità, soggettiva e intersoggettiva, di concepire e compiere azioni capaci di mantenere sano ed equilibrato il legame con l’ambiente”, sempre facendo riferimento a Longo (Longo, 2010). Ma credo che occorra ancora rimarcare che il sistema progettato sarà buono se sarà in grado di assicurare un maggior benessere in termini culturali, oltre che economici, sociali e ambientali, non solo a chi ne sarà fruitore (e all’ambiente, in generale) ma anche a tutti coloro che hanno partecipato alla sua realizzazione, insieme alle future generazioni. Quindi dovrà essere riconosciuta la sua utilità in termini di essenzialità, facilità di comprensione, usabilità, apprezzamento e riconoscimento della sua importanza ai fini su citati.” (Bruno, 2019).

Si noti, come quanto detto, possa e debba applicarsi alla conservazione e alla divulgazione del patrimonio culturale materiale e immateriale. E come le tecnologie digitali, per essere efficaci nel raggiungere gli scopi che si prefiggono in questo ambito, abbiano bisogno di operare seguendo una tale visione.

Inoltre,

“Il design progettando oggetti ha integrato arte, scienza, etica ed estetica (nei casi migliori) e ha rappresentato la cultura delle forme e delle funzioni.

Oggi è necessario ampliare questa visione: l’oggetto deve essere concepito non più come mezzo per raggiungere un risultato (risolvere un problema), ma come un “nodo di relazioni”, una creazione “coerente” tra noi (progettista, esecutori e fruitori) e il mondo esterno. In questo senso il bello e il buono s’interfacciano e realizzano l’antica vocazione greca.

Di più, il progetto, l’oggetto, divengono “sistetici” se situati all’interno di un sistema – oppure pensati per generarlo – che sia in grado di indurre nell’osservatore (singolo e/o collettivo), attraverso processi emergenti, un mutamento radicale del proprio modello cognitivo che rilevi appunto tale coerenza tra e nel sistema, tra lui e il sistema, percependo soggettivamente e qualitativamente un miglioramento del bene-essere procurato da questa emergenza. Lo stupore e l’intima soddisfazione che proviamo di fronte a un’opera d’arte o un’opera della natura o un gesto imprevisto di un uomo a favore di qualche altro uomo.

Sposo, a tale proposito, in pieno quanto François Cheng esprime riguardo a Monna Lisa nel suo Cinque meditazioni sulla bellezza (Cheng, 2007):

“La sua bellezza non si fonda sulla mera combinazione di tratti esteriori, ma è come illuminata da uno sguardo ed un sorriso, un sorriso enigmatico che sembra voler dire qualcosa. Come sarebbe bello poter ascoltare la sua voce, la donna esprime le proprie sensazioni, ma anche le sue nostalgie, i suoi sogni, e quella parte indicibile che cerca comunque una via per esprimersi. Il desiderio di dire si confonde con il desiderio di bellezza; il desiderio di dire aggiunge qualcosa al fascino della bellezza. Un’evidenza balza allora ai nostri occhi: la bellezza femminile non è semplicemente il frutto di un’evoluzione fisiologica, è una conquista dello spirito. Questa conquista ci rivela che la vera bellezza è coscienza della bellezza e slancio verso di essa, e che questa bellezza suscita amore e arricchisce la nostra concezione dell’amore stesso”.

Ecco in questo processo di arricchimento cognitivo, così magistralmente descritto da Cheng, io colgo il significato profondo di opera, progetto sistetico.

Di più – anche in riferimento a quanto appena detto – all’interno di questa visione sarà pressante inserire e dare dignità a tutti quei termini che nella cultura ancora dominante sono considerati come elementi limitativi, quali: incertezza, incompletezza, indeterminatezza. Come ho già cercato di far vedere questi, al contrario, diventano elementi portanti di un profilo non lineare, complesso, non completamente definito, che si fa carico dell’incertezza e dell’indeterminatezza, aperto ai mutamenti cognitivi, che permette lo sviluppo della dinamica interna ed esterna all’oggetto, al progetto, alla persona e agli esseri collettivi, in stretta interazione con l’ambiente e il contesto.” (Bruno, 2019).

E ancora,

“Il riconoscimento della presenza di ciascuno dei sostantivi su citati e della loro interazione complessiva, rimanendo sempre sulla Gioconda di Leonardo, è quel di più, quei tratti salienti che ci permettono di essere profondamente colpiti dal dipinto e indotti a una percezione cognitiva del καλὸςκἀγαθός che traspare da esso. Siamo colti dall’indeterminatezza dello sguardo e dall’incompletezza di quel sorriso che parla, e la loro interazione con tutti gli altri elementi dell’opera ci lasciano nell’incertezza. Un’incertezza che non indebolisce ma esalta il valore della comunicazione tra noi e Monna Lisa, che è motore di una più profonda riflessione sulla bellezza, che diventa come dice Cheng (Cheng, 2007): “coscienza di essa, conquista dello spirito e fonte di amore (nei due significati di fonte: luogo dove abbeverarsi e elemento generatore)”. (Bruno, 2019).

E, infine,

“In ogni caso occorre che l’osservatore (singolo e/o collettivo) sia in grado di percepire e recepire bene-essere dal sistema formatosi, o che si sta costituendo, attraverso l’interazione tra i propri elementi che inducono emergenza di bello e buono. Inoltre tale emergenza deve essere in grado di modificare il modello cognitivo dell’osservatore, nel senso di produrre una ri-modulazione del significato del proprio vivere, in particolare del valore da dare alle proprie scelte e alle proprie azioni nei confronti della relazione con l’altro e con l’ambiente, al fine di poter conservare e ampliare il bene-essere generato da quel sistema.

Non sarà quindi “sistetico” quel sistema che non sarà in grado di modificare in maniera rilevante lo stato della relazione tra lo stesso osservatore e l’ambiente, in grado quindi di indurre in lui un atteggiamento coerente che privilegi la realizzazione del bello e buono nel contesto in cui si dispiega il sistema e fuori di esso.

Pertanto, potrà dirsi sistetico un sistema di servizi per la mobilità, ad esempio, che sia in grado di mettere in rete persone, ambiente, mezzi di trasporto e arredo urbano, la cui interazione produca nell’osservatore (utenza e operatori) un bene-essere che sia in grado di farlo sentire parte del sistema, di salvaguardarlo e far sì che si possa sviluppare ulteriormente, che abbia un impatto che renda più piacevole l’ambiente in cui è inserito, non confliggendo con esso, ma al contrario esaltandone gli aspetti presenti di bellezze naturali e /o artificiali, infine che sia in grado di diventare un modello concettuale da poter utilizzare per altri ambiti e che sia un lascito per le future generazioni, salvaguardando contemporaneamente la qualità dell’ambiente (localmente e quindi anche globalmente) e quella legata alla libertà di movimento.

Non lo saranno, quindi, anche tutti quei progetti/sistemi che, ad esempio, privilegiano solo l’aspetto estetico o solo le valenze etiche. Che cioè non siano in grado di far interagire tali elementi, creando un intreccio che produca bene-essere.” (Bruno, 2019).

Con quanto riproposto del mio articolo, ritengo di aver chiarito cosa è da intendersi per approccio “sistetico” e soprattutto come questo ci possa guidare nell’affrontare realtà sempre più complesse.

L’uso delle differenti tecnologie, da quelle digitali a quelle robotiche, da quelle per la produzione energetica a quelle per la salvaguardia dell’ambiente, da quelle per la cura delle pandemie a quelle per l’allungamento della vita umana, da quelle della IA a quelle dei Big Data, e così via, non saranno in grado di affrontare e risolvere da sole i giganteschi problemi complessi a cui andiamo sempre più incontro, se non saranno adeguatamente supportate dall’approccio “sistetico” che ho illustrato.

In definitiva, l’adozione di un tale approccio e la creazione di un “sistema” degli ISIA (come illustrato) potranno contribuire alla realizzazione di un Nuovo Bauhaus Italiano che si inserisca adeguatamente nel decisivo progetto del Nuovo Bauhaus Europeo.

Bibliografia

Bruno G., (2019), A need for “Systetics”, in Minati G., Abram M.R., Pessa E. (A cura di), Systemics of Incompleteness and Quasi-Systems, Hillerød, Springer, Cham.

Cheng, F., (2007), Cinque meditazioni sulla bellezza, Torino, Bollati Boringhieri.


Giordano BRUNO

Matematico, attualmente è Professore straordinario di Matematica per il design, presso l’Università Mercatorum, dove è anche Presidente del Corso di studi in Design del prodotto e della moda. È Presidente della Fondazione MORFE’ – Centro di Ricerca, Formazione e Sviluppo del Design. È esperto di sistema per il settore AFAM dell’ANVUR. È Vicepresidente dell’Associazione DiCultHer. È membro del Consiglio Accademico dell’ISIA di Roma Design. Nel 2018-19 è stato membro della Commissione di studio sul Design, nominata dal Ministro del MIBACT. È stato Direttore dell’ISIA di Pescara dal 2016 al 2017. È stato Direttore dell’ISIA di Roma Design dal 2010 al 2016. Nell’anno 2016 è stato nominato “Ambasciatore italiano per il design” a Varsavia, per la giornata del design italiano nel mondo. Ha insegnato fino al 2009 Analisi matematica, Calcolo delle probabilità e Didattica della matematica presso le Università “La Sapienza” di Roma e l’Università di Roma Tre. È titolare, ancora oggi, di insegnamenti di Logica matematica per il design e di Strutture e Modelli matematici per il design, e di Sistemica presso l’ISIA di Roma. Ha svolto ricerca in diversi settori della matematica, delle sue applicazioni e della sua didattica. In particolare, si è occupato dello studio dei fondamenti della teoria delle probabilità e delle sue ricadute didattiche. Da anni ha rivolto i suoi studi ai rapporti tra matematica, arte e design e principalmente ai sistemi complessi e alle sue applicazioni al design. Ha al suo attivo più di sessanta pubblicazioni. Per la sua opera gli sono stati conferiti: Il Premio Oriente Scienza e libertà, per la scienza, dal Centro Studi Lucio Colletti nel 2012; Il premio Curcio per la Diffusione della cultura nel 2016.

References

References
1 A partire dal 2010 l’ISIA di Roma ha istituito dei Corsi decentrati a Pescara e a Pordenone; nel 2016 è stato istituito a Pescara il quinto ISIA italiano.