Per andare oltre le fotocopie in digitale del patrimonio culturale esistente

A cura di Carmine Marinucci, Presidente DiCultHer

Da sempre questa rivista affronta il ruolo e la rilevanza del digitale e delle tecnologie ad esso correlate per facilitare e garantire l’accesso alla cultura, ai saperi, all’istruzione, all’innovazione.

Diritti questi fondamentali garantiti da numerosi atti giuridici, a cominciare dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, che all’articolo 27 recita che “ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici“, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[1],  oltre che naturalmente dalla nostra Costituzione.

Un diritto all’innovazione che sta facilitando l’accesso e la fruizione al patrimonio culturale, materiale e immateriale, sostenuto da investimenti sulla digitalizzazione dei patrimoni conservati nelle istituzioni culturali in ogni parte del mondo. Diritto all’accesso alla cultura e al patrimonio che sta consentendo tra l’atro la piena realizzazione delle finalità di tali organizzazioni culturali, ossia garantire l’accesso e la conservazione del nostro patrimonio culturale anche in ambiente digitale.

Significative, al riguardo, le trasformazioni che hanno investito l’intero ecosistema cultura: dall’ormai acquisita identificazione del digitale stesso come dimensione di contesto e fattore strategico richiamata dalla Nuova agenda europea per la cultura (COM 2018 – 267 final), dal Quadro d’azione europeo sul patrimonio culturale, (NC-03-19-331-EN-N del 27.05.2019) nonché, ancora di recente, e in particolare come leva  creativa, dalla Dichiarazione di Roma dei Ministri della cultura del G20 (30.07.2021) fino alle sfide per il post-pandemia, con gli interventi, in capo alla Commissione Europea, del Next Generation Eu e del New European Bauhaus, di cui #DiCultHer è partner ufficiale.

Ulteriori iniziative per incentivare trasformazione, conservazione e riutilizzo del patrimonio digitale europeo in settori chiave, economici, culturali e creativi sono la ‘Raccomandazione (UE) 2021/1970 della Commissione del 10 novembre 2021 relativa a uno spazio comune europeo di dati per il patrimonio culturale’ e l’avvio di un dialogo con gli Stati membri (21 giugno 2022) per la creazione di un cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturaleda realizzarsi nel quadro dell’iniziativa Horizon Europe (2021-2027) mediante un’unica infrastruttura e tecnologie avanzate per la digitalizzazione dei manufatti, lo studio delle opere d’arte e la documentazione dei dati.

Una serie di passaggi che, mentre sono andati favorendo il superamento dell’approccio al digitale come ‘rivoluzione’, come insieme di applicativi, hanno di fatto abilitato il suo riconoscimento, operato nell’ambito delle  Conclusioni del Consiglio europeo nel 2014, quale parte integrante delle risorse ereditate dal passato – nella duplice accezione di digitale nativo e di prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione – e quale fattore incrementale delle strategie di accesso e partecipazione al patrimonio e ai luoghi della cultura, dando luogo ad una vera e propria ‘svolta’, finalizzata a comporre implicazioni culturali, aspetti gestionali, soluzioni tecnologiche e profili giuridici in un insieme entro cui operare in maniera strutturata.

In particolare, al centro di politiche e programmi europei sono attualmente i processi di digitalizzazione, generativi di nuovi modelli di espressione, conservazione e diffusione del patrimonio e della sua  crescente rilevanza dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. I cambiamenti cui le organizzazioni culturali sono chiamate a rispondere in termini di adeguamento degli standard di studio, conservazione, valorizzazione e comunicazione, la costruzione di profili di competenze innovativi e trasversali coerenti con i modelli di occupabilità giovanile e l’adozione di infrastrutture digitali in grado di interoperare con altre infrastrutture nazionali, europee ed internazionali.

Per i luoghi della cultura, una sostanziale ridefinizione dei servizi resi attraverso tali processi e attraverso il ricorso a tecnologie avanzate (3D, intelligenza artificiale, apprendimento automatico, cloud computing, tecnologie dei dati, realtà virtuale ed aumentata, etc.), tesi ad ampliare accessibilità e inclusività sociale e a promuovere lo sviluppo dei valori culturali espressi dalla collettività e garantiti dallo Stato – rappresenta oggi una delle esigenze più rilevanti.

A livello italiano, a fronte di una generale disomogeneità di un approccio teorico-sistemico al digitale e del ritardo storicamente accumulato dal Paese nell’affrontarne le sfide, gli ultimi anni hanno visto una serie di interventi quali il Piano di digitalizzazione nazionale del patrimonio culturale (2017)[2] che sta contribuendo all’affermazione, soprattutto a livello istituzionale,  di una vera e propria ‘cultura digitale’ applicata al patrimonio, all’interno della quale dematerializzazione, digitalizzazione e soluzioni infrastrutturali (hardware, software e di governance) sono andate ad impattare su una pluralità di settori riguardanti tutela e gestione del patrimonio e dei territori.

Diverse le questioni legate alla trasformazione: dalla reperibilità delle risorse digitali disponibili all’accessibilità dei contenuti, tramite metadati strutturati allineati a standard internazionali, per il riutilizzo a fini didattici e di ricerca; dall’uso dei  Linked Open Data (LOD) per l’interoperabilità agli strumenti di monitoraggio, conservazione e restauro; dalla gestione degli aspetti organizzativi, sociali, manageriali e creativi ai loro impatti nell’istruzione/formazione, territorio/turismo.  

Un vero e proprio ecosistema cui, ancora di recente, ha contribuito – più in generale, in linea con la stessa centralità attribuita dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza approvato nel 2021 dall’Italia per rilanciarne l’economia dopo la pandemia di COVID-19, al fine di permettere lo sviluppo verde e digitale del Paese. Nonché dai relativi investimenti al processo di transizione digitale di tutta la Pubblica Amministrazione al fine di efficientarne e renderne sempre più accessibili i servizi in grado di supportarne l’adozione di modelli relazionali aperti con cittadini e imprese.

Per un approfondimento  del Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale si veda l’intervista all’Arch. Laura Moro, direttore della  Digital Library[3].

Gli importanti investimenti in Italia e in ogni parte del mondo sul digitale e sulle tecnologie ad esso correlate ha e sta fortemente condizionando il settore della cultura,  tra cui gli stessi modelli tradizionali di conservazione e valorizzazione dei patrimoni culturali, modificando profondamente le catene del valore, ivi compresi i nuovi modelli commerciali. Parallelamente, almeno in Europa, a seguito di tali investimenti ne è derivato un impulso di rilievo per il settore creativo che ha fortemente contribuito allo sviluppo sia del PIL dell’Unione Europea (attestatosi sui 3-4%) sia per l’occupazione, attestatasi in termini percentuali anch’essa sugli stessi valori, con oltre 8 milioni di persone occupate dalle industrie culturali e creative, attraverso circa 1.2 milioni di imprese, il 99,9 % delle quali sono Piccole e Medie Imprese.

Tutto ciò per sottolineare come la digitalizzazione del patrimonio e un accesso più ampio alle risorse culturali hanno aperto anche rilevanti opportunità economiche, costituendo una condizione essenziale per sviluppare ulteriormente le capacità culturali e creative  anche ai fini dello sviluppo di imprese culturali e creative, tanto che Jeremy Rifkin, nel saggio del 2014 “A costo marginale Zero. L’ internet delle cose, Ascesa del Commons Collaborativo e l’eclissi del capitalismo”, sottolinea che la cultura digitale ci sta portando verso una “Terza Rivoluzione Industriale”, conseguente la trasformazione del nostro sistema economico e sociale in una nuova realtà dei beni comuni collaborativi. Più recentemente, il filosofo dell’informazione, Luciano Floridi, nel suo libro sull’Infosfera, parla di quarta rivoluzione dell’essere, legata al ruolo del digitale e della tecnologia nella nostra vita. Un cambiamento radicale che investe il nostro modo di pensare la natura dell’universo e del nostro posto in esso. Che sia la “terza” o la “quarta” rivoluzione industriale, certamente ci sta mettendo di fronte a sfide etiche e filosofiche nuove e complesse, come il ruolo degli agenti artificiali nella nostra vita quotidiana, la protezione della privacy e la responsabilità sociale delle tecnologie dell’informazione.

Senza voler entrare nel merito in questa sede sulle rilevanti politiche, anche di investimento, che in varie parti del mondo attengono  alla pianificazione e il monitoraggio della digitalizzazione di libri, riviste scientifiche, giornali, fotografie, oggetti museali, documenti d’archivio, materiali sonori e audiovisivi, monumenti e siti archeologici, oggetti e artefatti per le generazioni future ecc. ecc. , anche ai fini di migliorare l’accesso e la fruizione di tali materiali culturali digitalizzati, certamente il patrimonio culturale si sta evolvendo rapidamente grazie alle tecnologie digitali.

Gli investimenti sopra accennati, stanno offrendo opportunità senza precedenti. I musei virtuali, i luoghi della cultura offrono ai visitatori la possibilità di vedere opere d’arte nel contesto e sperimentare oggetti o siti inaccessibili al pubblico. La trasformazione del settore si traduce in un più facile accesso online al materiale culturale per tutti.

Il passaggio al digitale ha portato con sé nuovi modi di vivere la Cultura e il mondo che ci circonda. Possiamo accedere alle notizie ovunque e in qualsiasi momento e abbiamo un ampio assortimento di fonti e piattaforme tra cui scegliere. Le nuove tecnologie ci permettono di esplorare più facilmente le nostre culture passate e presenti, visitando siti del patrimonio culturale e musei senza muoverci da casa. Per non parlare della varietà di film e di spettacoli televisivi e radiofonici prodotti nel mondo a cui abbiamo tutti accesso.

Tuttavia, in queste nuove realtà e prospettive “digitali”, dovremo anche far fronte a sfide nuove nel settore dei media e della cultura digitale: la disinformazione si diffonde online più rapidamente di quanto non abbia mai fatto nel mondo offline, con dannose ripercussioni; la lotta per garantire la libertà dei media e proteggere i giornalisti è tuttora in corso; e, mentre il mondo online ci avvicina, dobbiamo comunque mantenere la nostra diversità e identità culturale nel mondo.

Il pensiero sopra ricordato di Rifkin che traguarda verso una nuova rivoluzione industriale, in realtà sottolinea che la Cultura Digitale non significa fornire wi-fi e banda larga migliori o tecnologie più performanti, riguarda invece qualcosa di molto più profondo: la trasformazione del nostro sistema economico e sociale in una nuova realtà dei “beni comuni collaborativi

Una trasformazione della società, legata al ruolo del digitale e della tecnologia nella nostra vita, che da oltre un decennio rappresenta un cambiamento radicale nel nostro modo di pensare la natura, l’universo e del nostro posto in esso, che ci sta, peraltro, pocanzi accennato, mettendo di fronte anche a sfide etiche e filosofiche nuove e complesse.

Cultura, Patrimonio Culturale, Cultura Digitale, Patrimonio Culturale Digitale

Nello scenario e nelle le prospettive assunte dal ruolo che il digitale ha portato con sé nei nuovi modi di vivere la Cultura e il Patrimonio culturale e il mondo che ci circonda, la nuova “Cultura Digitale”, e il nuovo Patrimonio Culturale Digitale come si rapportano?

Certamente la nuova “Cultura Digitale” rappresenta una precondizione abilitante che deve essere diffusa per orientare processi complessi di trasformazione digitale ivi compresi i processi di digitalizzazione e valorizzazione del Patrimonio culturale e della Cultura. Ma anche per “garantire a tutte e tutti le competenze chiave per affrontare i cambiamenti e le sfide del presente, per proiettare la società civile al meglio nel futuro, per far in modo di avere cittadine e cittadini attivi e consapevoli, capaci di condividere valori comuni e di confrontarsi positivamente con l’altro”.

Per il  Patrimonio Culturale digitale, ci viene in aiuto il Consiglio dell’Unione Europea quando nel 2014[4] che ha incluso tra le forme del patrimonio culturale, oltre ai beni materiali e immateriali, anche le risorse digitali, nella duplice accezione di “digitale nativo” e di prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione. Si tratta di un passaggio importante, perché supera la funzione ancillare del bene digitale come replica o copia dell’originale fisico e afferma la legittimità di un percorso di conoscenza autonomo, peculiare, connotato da originalità. Originalità che non discende dall’oggetto, ma dalla relazione intellettuale da cui il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati.

Un inquadramento questo ripreso integralmente e ulteriormente articolato nella successiva Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 settembre 2015 verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa (2014/2149(INI)[5] e nella Decisione di nominare il 2018, Anno Europeo del Patrimonio Culturale da parte del Consiglio del 17 maggio 2017[6], con l’evidente intento di dare continuità e nuovo stimolo alle riflessioni avviate nel 2014.

In questo senso il Patrimonio Culturale Digitale rappresenta il presupposto costituito da oggetti, la cui natura può essere definita sulla base delle relazioni informative che sono in grado di generare e, anche quando collegati ai beni culturali fisici, possiedono un’autonomia ontologica, come ormai attestato da un’ampia letteratura. Nelle società contemporanee, rappresenta un elemento strategico perché crea le condizioni per la costruzione di un dialogo tra beni (materiali o immateriali), luoghi e persone e ambisce a saldare tradizione, storia e memoria secondo formule variabili, determinate dall’intenzione creatrice o dalle successive interpolazioni favorite dai processi di co-creazione.

In questa prospettiva, il digitale non rappresenta più un mero strumento di comunicazione, ma l’espressione di un più ampio mutamento che coinvolge gli individui, i processi e la nozione di cultura, influendo così sull’immaginario collettivo, evolvendo da una rappresentazione limitata alla fruizione passiva tipica delle piattaforme, a quella correlata al potenziamento delle capacità culturali, di apprendimento e creative degli individui, delle comunità e della collettività.

Sempre di più l’ambiente digitale rappresenta un elemento abilitante per creare nuovi percorsi di conoscenza e di senso del patrimonio culturale attraverso l’elaborazione, anche simbolica, dell’informazione e in molti casi, la ricostruzione del contesto storico-culturale, critico e sociale diventa uno degli elementi salienti dello stesso Patrimonio Culturale Digitale.

In questa complessa visione del Patrimonio Culturale, che tradizionalmente si valorizza nel tempo attraverso le interpretazioni che di esso vengono offerte, nello spazio digitale accoglie diversi modelli interpretativi e nuovi pubblici ed è quindi in grado di produrre contenuti ulteriori. Il patrimonio culturale digitale diventa così un attivatore d’interesse perché sedimenta e trasferisce alle generazioni future i dati della conoscenza e le interazioni che le comunità hanno intrattenuto con essi nelle epoche pregresse.

Il recente Convegno Educare al e con il patrimonio culturale digitale[7], promosso e organizzato da dall’Associazione internazionale #DiCultHer nell’ambito della nona Settimana delle Culture digitali Antonio Ruberti (8-13 maggio 2023)[8] ha messo in evidenza la ricchezza di esperienze nel settore dell’Educazione al e con il Patrimonio maturate sia in ambito accademico, scolastico e di ricerca, sia in ambito dei servizi educativi di Biblioteche, Archivi, Musei, Parchi e comunque nei luoghi di cultura.

Ben oltre quindi il semplice utilizzo delle mere tecnologie digitali in funzione abilitante ai fini della valorizzazione, ovvero come strumenti atti a favorire processi di semplice aggiornamento e digitalizzazione dell’esistente, il ‘sapere’ digitale sta offrendo occasioni di ri-configurazione complessiva delle entità e dei luoghi culturali come ‘eredità comuni’.

In questo senso, il digitale sta assumendo valenza metodologica ed epistemologica, strutturale e di contesto per una nuova ermeneutica della Cultura e del Patrimonio culturale per favorire ulteriormente l’emergere di occasioni strategiche di riorganizzazione dei saperi, di apertura alle entità e ai contenuti, di una nuova governance del patrimonio e dei territori e di accesso alle forme stesse del contemporaneo.

Ambiti questi che l’Associazione #DiCultHer sperimenta dal 2015 per veicolare l’uso e la consapevolezza del valore delle tecnologie digitali per la salvaguardia, rappresentazione e valorizzazione e gestione dei patrimoni culturali in attuazione della Conferenza di Faro[9], con progetti e sfide proposte ai docenti per la conoscenza, e per i necessari approfondimenti per la restituzione dei saperi e delle emozioni relative ai patrimoni culturali, come ad esempio le varie edizioni di #HackCultura[10], l’Hackathon delle studentesse e degli studenti per la “Titolarità Culturale”.

Qualificare la “domanda di cultura”

Uno degli aspetti fortemente richiamati dalle varie organizzazioni culturali che si occupano di misurare l’impatto della Cultura nella società, evidenziato tra l’altro  nella Relazione sugli ostacoli strutturali e finanziari nell’accesso alla cultura[11] della Commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento europeo (14 maggio 2018) è rappresentato dalla sempre più marcata mancata partecipazione agli eventi culturali nell’UE. Tra le motivazioni una mancanza di interesse da parte dei cittadini e dei giovani in particolare e considera il livello di istruzione uno dei fattori più importanti che influiscono sul grado, ma anche e soprattutto sulla qualità, della partecipazione alle attività culturali dei singoli Stati membri dell’UE.

Tra le sfide emerge il ruolo chiave del digitale, delle istituzioni scolastiche e delle Istituzioni e dei luoghi della cultura, come opportunità per qualificare la “domanda di cultura”, per superare le barriere all’accesso e nella partecipazione alle attività culturali a fronte dei preoccupanti dati statistici sul fenomeno. Ma anche per garantire a tutti i cittadini la piena titolarietà dei diritti all’accesso ai saperi, alla cultura, all’istruzione e all’innovazione.

La Strategia di Lisbona (2000)[12], pilastro delle future azione europee, prefigurava una società basata sulla conoscenza e per quanto riguarda le «competenze chiave», indispensabili al cittadino europeo per adattarsi in modo flessibile ad un mondo in rapido mutamento e caratterizzato da una forte interconnessione, proposte, tra le 8 skills indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi della strategia stessa, un ruolo fondamentale quella relativa alla «competenza digitale» congiuntamente a quelle più prettamente informatiche, quelle culturali e quelle legate alla conoscenza delle lingue straniere.

Elementi essenziali: l’accessibilità e la partecipazione. L’accessibilità ai beni culturali, diritto essenziale del cittadino e fondamentale per l’esistenza stessa del patrimonio, viene intesa come una caratteristica fisica, socio – economica, sensoriale, cognitiva, anche verso un modello di comunicazione che non si fonda più sulla trasmissione unidirezionale di conoscenze, da una fonte autorevole a un interlocutore generico e passivo, ma presuppone l’attiva partecipazione degli individui alla costruzione e alla rappresentazione di significati.

La Convenzione di Faro[13]

Questa importante Convenzione, ratificata in Italia con la Legge n. 133 del 1° ottobre 2020,  ha innescato oltre che una profonda rivisitazione del concetto di Eredità Culturale legandola indissolubilmente alle comunità, ha assunto un ruolo cruciale laddove auspica un uso critico e consapevole dei canali e delle forme di espressività offerte dalle tecnologie digitali come veicolo di inclusione ampia di componenti sociali e culturali diverse, come opportunità concreta di partecipazione di tutte le diverse componenti sociali, culturali, generazionali alla definizione di una identità che le rappresenti, come strumento di autorappresentazione e definizione negli spazi pubblici del patrimonio culturale condiviso.

Le metodologie e tecnologie digitali, infatti, offrono la possibilità di raccogliere, condividere e archiviare/conservare forme espressive dei diversi gruppi, realizzando con ciò l’obiettivo sia di empowerment e presa di coscienza delle entità condivise, sia di selezionare, porre in valore, discutere criticamente ciò che ci rappresenta e fonda il patto comunitario di convivenza esteso alla comunità più ampia, digitale e per ciò stesso inclusiva. Favorire e costruire condizioni perché queste capacità critiche e abilità siano conseguite nello spazio formativo e educativo che scandisce i tempi più importanti dei nostri cicli di vita significa contribuire fattivamente alla definizione di una titolarità culturale del patrimonio e a una sua gestione condivisa e consapevole, che concorrono alla piena realizzazione di una cittadinanza democratica.

La Convenzione di Faro, che non solo ha innescato una importante rivisitazione del concetto di Patrimonio Culturale, sta  assumendo, anche grazie alle attività promosse dalle Scuole che collaborano con #DiCultHer, sempre di più un ruolo rilevante nel sistema educativo nazionale in quanto auspica non solo un uso critico e consapevole dei canali e delle forme di espressività offerte dalle tecnologie digitali, ma anche e, soprattutto, una forte opportunità di partecipazione di tutte le componenti sociali, culturali dei territori ed in primis della componente scolastica, fortemente impegnata a contribuire alla definizione di quella “titolarità culturale” del patrimonio e la sua gestione condivisa e consapevole che, in definitiva, concorre alla piena realizzazione della cittadinanza attiva dei nostri ragazzi, ribadendo il ruolo della scuola come luogo primario in cui si pongono le basi per una piena cittadinanza, alle cui fondamenta c’è l’accesso alla cultura, l’accesso ai saperi,  l’accesso all’innovazione.

La Convenzione di Faro, ci sta indicando la strada da percorrere, facendo emergere con tutta la forza la necessità di sostenere il pieno coinvolgimento delle nostre studentesse e dei nostri studenti e dei loro docenti ​nei processi di costruzione identitaria e di cittadinanza attiva partendo proprio dal Patrimonio culturale e dal riconoscimento del valore della “Cultura Digitale” per sviluppare la piena consapevolezza nella Comunità educante tutta, dei propri ruoli nei processi di sviluppo dei territori identitari e dei territori.

Ma anche per promuovere quellaTitolarità’ Culturale[14]” esercitata con diritto e la ‘presa in carico’ di una responsabilità comune e condivisa rispetto al bene comune, che ereditiamo dal passato (o che prendiamo in prestito dal futuro), e che abbiamo la possibilità di progettare e co-creare oggi nell’ambito degli ecosistemi culturali in cui viviamo, sperimentiamo ed esercitiamo, con la prospettiva di lasciare a nostra volta questa eredità a chi verrà dopo di noi.

              Queste prospettive non solo rappresentano l’ambito culturale dell’agire della Scuola, intesa come “comunità patrimoniale”, sensu Faro, ma l’occasione per sperimentare gli assunti e i dettami della Convenzione di Faro stessa attraverso una contestualizzazione del concetto di Patrimonio Culturale alle comunità scolastiche territoriali di appartenenza, soprattutto per la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici presenti nei territori di riferimento delle Scuole per un protagonismo consapevole delle Comunità educanti dei territori stessi.

Un protagonismo delle nostre Scuole per l’esercizio del proprio diritto alla cultura, del diritto all’istruzione, del diritto all’innovazione e, soprattutto, quale irrinunciabile azione per una “appropriazione culturale” dei territori e della “formazione alla cittadinanza”.

Convenzione di Faro come opportunità quindi per promuovere azioni mirate alla sperimentazione di azioni pilota trasversali alle discipline per la presa in carico e il coinvolgimento delle studentesse e degli studenti nei percorsi didattici, nella progettazione di ecosistemi digitali innovativi a disposizione delle studentesse, degli studenti, delle docenti, dei docenti, nonché la progettazione e messa a disposizione, in un’ottica di co-creazione, della strumentazione digitale per la progettazione e la realizzazione di risorse educative a disposizione di tutti.

La Convenzione di Faro insiste, infatti, sul diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale agganciandolo direttamente alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e, per ciò stesso, rivendicando il valore di diritto fondamentale e inalienabile dei soggetti e delle comunità, quale elemento di sviluppo sostenibile e culturale e quale strumento basilare di democrazia oltre che di empowerment comunitario.

Il patrimonio, con riferimento alla Convenzione di Faro, deve farsi trama identitaria di una partecipazione sociale che attraversa le pratiche educative, i processi creativi ed espressivi, la vita di comunità e la cittadinanza democratica.

In uno scenario in continua trasformazione, dove la connessione digitale può farsi vettore virtuoso delle ricchezze culturali, è necessario ed opportuno favorire la ricerca per immaginare, da un lato di architetture e ambienti culturali accessibili e aperti all’eterogeneità sociale, in una tensione produttiva della relazione tra patrimonio e comunità territoriale, anche come premessa della tutela. Dall’altro, l’educazione al e con il Patrimonio culturale per sostenere il protagonismo delle comunità patrimoniali affinché vengano posti al centro di un processo di apprendimento e riapprendimento inclusivo e partecipativo mirato a colmare i divari culturali, sociali, territoriali, per sostenere una trasformazione sociale verso una società dell’inclusione.

Le piattaforme digitali ad alto livello di accessibilità, attraverso format innovativi e ambienti transmediali per i contenuti culturali, permettono lo sviluppo di una maggiore partecipazione, generando una nuova interpretazione e una diversa vitalità del patrimonio, in quanto bene relazionale, sociale, comunicativo e condiviso.

La cura, l’educazione, la formazione e la verifica della qualità delle diverse forme di approccio partecipativo delle Heritage communitiese dei processi di digitalizzazione diviene quindi passaggio cruciale al fine di realizzare efficaci strumenti narrativi, il cui impatto assume valore sia per valorizzare strumenti tecnologici per l’approccio partecipativo al patrimonio, sia per qualificare il ruolo delle piattaforme stesse a sostegno delle Heritage communities.

Il concetto di ‘titolarità culturale’ si pone in quest’ottica, come esito di un percorso di ricerca di una dimensione interpretativa dei fenomeni, libera da schemi vincolati a categorie precostituite.

Il cittadino è chiamato ad essere soggetto attivo nei confronti dell’eredità culturale alla quale appartiene e che gli appartiene.

La ‘presa in carico’, spesso auspicata, lo colloca nella posizione di chi ha cura del patrimonio culturale, in grado, grazie anche al digitale, di connettere il patrimonio stesso con il proprio sistema di conoscenze e con quello della rete di relazioni in cui è immerso, organizzandolo per conoscerlo e comprenderlo meglio.

Manifesto Ventotene Digitale

Per #DiCultHer, le considerazioni espresse in precedenza trovano riferimento sia nell’edizione 2017 del Manifesto Ventotene digitale[15], redatto quale contributo all’anno europeo del patrimonio culturale (2018), sia nella sua revisione nel 2021 sul valore culturale delle nuove entità computazionali prodotte nell’Era Digitale contemporanea volte a dare un’identità al nuovo Digital Cultural Heritage definito dall’UE nell’Art. 2 delle Conclusioni del Consiglio del 21 maggio 2014 relative al patrimonio culturale come risorsa strategica per un’Europa sostenibile (2014/C 183/08).

Tali riflessioni hanno dato vita nel corso di questi ultimi anni, ed in particolare dal 2019, anno in cui Matera fu dichiarata Capitale europea della cultura, nonché ad una serie di attività volte a restituire, in particolare, ai giovani la consapevolezza di quanto sia importante riappropriarsi della titolarità culturale partendo proprio dal riconoscimento del valore della cultura digitale.

Riflessione che portarono anzitutto all’elaborazione del Manifesto Ventotene digitale (ed. 2017) e successivamente riprese nell’aggiornamento dello stesso Manifesto nel 2021, per “garantire ai giovani le competenze chiave per affrontare i cambiamenti e le sfide del loro presente, per proiettarsi al meglio nel futuro, per diventare cittadine e cittadini attivi e consapevoli, capaci di condividere valori comuni e di confrontarsi positivamente con l’altro” (C. Marinucci, M. Rak, Manifesto Ventotene digitale, 2021).

In questo senso, già l’elaborazione del “Manifesto Ventotene Digitale, redatto nel 2017, segnò un momento rilevante di valutazione sui temi del Digital Cultural Heritage, sintetizzati nelle sfide e le azioni sopra richiamate sul ruolo della Cultura per lo sviluppo. La revisione del Manifesto (ed. 2021) parte da queste valutazioni, nell’anniversario degli ottanta anni dal Progetto di Manifesto “Per un’Europa libera e unita” di Spinelli-Rossi, ed è stata una rilevante occasione per riprendere in mano il testo del 2017 del Manifesto, perché, ancorché quel testo fosse fortemente orientato a contribuire all’anno europeo del 2018, conteneva in nuce tutta una serie di orientamenti, resi poi palesi da un lato con la ratifica in Italia nel 2020 della Convenzione di Faro, dall’altro dalle  rilevanti riflessioni in atto innescate in ambito europeo dalla presidente della Commissione europea per un nuovo Bauhaus europeo.

La revisione del Manifesto sottolinea il ruolo del digitale nello sviluppo dell’Unione e il Manifesto rappresenta il contributo della rete DiCultHer e dei suoi partner alla nuova Europa.

Ha rappresentato e rappresenta un’occasione per far emergere le iniziative in materia di definizione e riconoscimento delle Culture Digitali come campi e identità cognitive nella convinzione che il lavoro creativo della Cultura Digitale rafforza la coesione sociale e promuove la condivisione dei valori. Il sistema della cultura europea comprende il patrimonio culturale digitale, esito dei processi di trasformazione delle società, e il patrimonio culturale digitalizzato, applicazione del digitale alla conservazione, sostenibilità, salvaguardia, valorizzazione, accessibilità dei beni.

Il patrimonio digitale rappresenta un’ulteriore occasione per consolidare la diffusione di una cultura omogenea e condivisa, fondata sulla conoscenza di questo strumento e delle sue criticità, adatta a restituire ai cittadini nella fase di formazione e di educazione permanente la consapevolezza della titolarità del proprio patrimonio.

In questi scenari, lo sviluppo del ‘sapere’ digitale e del Digital Cultural Heritage in particolare, sono state le linee guida che hanno orientato l’Associazione #DiCultHer nella progettazione e sperimentazione di nuovi modelli di apprendimento e di insegnamento, in una prospettiva di condivisione delle risorse intellettuali e delle relative competenze, evidenziando il ruolo della Formazione e dell’Educazione come principali protagonisti del cambiamento che si stanno realizzando nella società contemporanea.

Attività queste promosse nella piena consapevolezza che il coinvolgimento consapevole dei giovani e dei loro docenti sia prioritario per renderli protagonisti nei processi di costruzione identitaria e di cittadinanza attiva, nonché per sostenere una “Cultura Digitale” ampia ed omogenea, attraverso una costante attenzione all’innovazione, ai temi dell’inclusione sociale, dell’interculturalità, della sostenibilità e  del contrasto dei pregiudizi verso le differenze di ogni genere, di cultura, di età, di provenienza, di abilità, di colore della pelle: l’Educazione al e con il Patrimonio culturale digitale diventa oggi componente indispensabile delle conoscenze e competenze di cittadinanza globale e, avendo la sua valorizzazione nell’eredità materiale, immateriale e digitale, è per sua natura multi-, trans- e interdisciplinare, fondata su metodologie condivise attive e partecipative che richiedono forti sinergie tra i territori e le loro entità educative attraverso un reale coinvolgimento sia degli attori del sistema formativo istituzionale (scuola, università), sia di coloro che operano negli ambiti dell’apprendimento informale e della valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale e della promozione della Cultura Digitale.

In questo senso, il patrimonio culturale è inteso come un sistema aperto comprendente molteplici forme – materiale e immateriale, immobile e mobile, paesaggistico, digitale e digitalizzato – rappresenta una irriducibile diversità ed ha la caratteristica di essere riconosciuto in forma non selettiva ma estensiva e in forte relazione con i territori e i distretti culturali e tecnologici.

CENTRALITÀ DELL’ISTRUZIONE E DELLA FORMAZIONE

La raccomandazione del Consiglio europeo nel lontano 2018 si esprimeva in questi termini: “La competenza digitale implica l’uso sicuro, critico e responsabile delle tecnologie digitali e il loro impiego nell’apprendimento, nel lavoro e nella partecipazione alla società. Comprende l’alfabetizzazione all’informazione e ai dati, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione ai media, la creazione di contenuti digitali (compresa la programmazione), la sicurezza (compreso il benessere digitale e le competenze relative alla sicurezza informatica), le questioni relative alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico.” (Council Recommendation on Key Competences for Life-long Learning, 22 maggio 2018, ST 9009 2018 INIT).

Indicazioni di scenario queste “Per realizzare la transizione digitale ed ecologica in modo che sia socialmente equa, inclusiva e giusta”, nel contesto del Digital Competence Framework for Citizen’s (DigComp 2.2)[16], che negli anni ha rappresentato, e rappresenta, in Europa, il documento di riferimento per la formazione delle competenze nel settore.

Sono questi presupposti irrinunciabili per il raggiungimento degli obiettivi sottesi al Quadro di Riferimento europeo delle competenze digitali dei docenti e dei formatori (DigCompEdu)[17] e diviene imperante favorire e costruire condizioni ed opportunità, affinché queste capacità e abilità siano conseguite nello spazio formativo scolastico, contribuendo concretamente alla definizione di una titolarità culturaledel patrimonio e una titolarità culturale della formazione.

L’innovazione del processo mediante cui l’innovazione tecnologica impatta nel mondo dell’educazione in relazione ai nuovi linguaggi mediati dalla tecnologia, di fatto stanno modificando gli aspetti epistemologici tipici di ogni percorso di apprendimento: consapevolezza, intelligenza, percezione, intuizione, pensiero, memoria, attenzione, riconoscimento, conoscenza, abilità, comprensione.

Allo stesso tempo, queste prospettive stanno facendo emergere l’opportunità, nonché la necessità, di affrontare la creazione di contenuti digitali sui quali si sperimenta il raggiungimento di tali obiettivi.

E questo, in primo luogo, per superare il concetto stesso di digital transformation e digital divide, per passare dalla “confidenza tecnologica” alla “consapevolezza tecnologica” (Dominici, 2015, 405)[18]; in secondo luogo, per affrontare le questioni legate alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi legati alla sicurezza,  il pensiero “critico”; in terzo luogo, per avere consapevolezza “di cosa cerchiamo, come cercarlo, come valutarlo e come utilizzarlo”.

L’obiettivo è fare in modo che le nostre studentesse e i nostri studenti si mettano in gioco con le loro identità, producano contenuti, pratichino il multitasking o task-switching, affrontando, a volte inconsapevolmente, questioni relative a privacy, sicurezza, proprietà intellettuale e anche qualità e veridicità dell’informazione.


[1] https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

[2] Nel 2017 il Piano di digitalizzazione nazionale del patrimonio culturale(D.M. 23 gennaio 2017) redatto dall’ Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero della Cultura, per le politiche e le strategie di digitalizzazione che i diversi Istituti del Ministero della Cultura erano chiamati ad attuare nell’ambito delle proprie attivitànel 2018 l’adozione dei Livelli uniformi di qualità per musei, monumenti e siti archeologici, alla base dell’istituzione del Sistema Museale Nazionale, in cui si riconosce il ruolo strategico della rete e della comunicazione online per facilitare l’accesso al museo, i suoi servizi e alle attività aggiuntive; nel 2019 il Piano Triennale per la Digitalizzazione e l’Innovazione dei Musei avente l’obiettivo di fornire a tutti i musei italiani un quadro di riferimento coerente “in grado di indirizzare l’adozione di soluzioni digitali” e di migliorare la capacità di tutti i musei aderenti al Sistema Museale Nazionale di gestire il patrimonio.

[3] https://www.diculther.it/rivista/intervista-allarch-laura-moro-direttore-generale-dellistituto-centrale-per-la-digitalizzazione-del-patrimonio-culturale-del-ministero-della-cultura/

[4] “Cultural heritage consists of the resources inherited from the past in all forms and aspects – tangible, intangible and digital (born digital and digitized), including monuments, sites, landscapes, skills, practices, knowledge and expressions of human creativity, as well as collections conserved and managed by public and private bodies such as museums, libraries and archives. It originates from the interaction between people and places through time and it is constantly evolving.  

[5] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2015-0293_IT.html

[6] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32017D0864

[7] https://www.diculther.it/convegno-educare-al-e-con-il-patrimonio-culturale-digitale-10-e-11-maggio-2023/

[8] https://www.diculther.it/ottava-edizione-della-settimana-delle-culture-digitali-antonio-ruberti-scud2023-8-13-maggio-2023/

[9] (https://www.coe.int/en/web/venice/faro-convention)

[10] #HackCultura,  l’hackathon delle studentesse e degli studenti per la titolarità culturale,  giunto in questo anno scolastico 2023-24 alla sua sesta edizione, rappresenta l’Hackathon finalizzato alla promozione della Cultura digitale attraverso lo sviluppo di progetti digitali da parte delle studentesse e degli studenti delle scuole italiane ed europee e si colloca in un contesto di proposte progettuali di metodologie innovative per la promozione della Cultura digitale e la valorizzazione del patrimonio – tangibile, intangibile e digitale – centrate sull’engagement delle fasce giovanili della popolazione, chiamate, in una logica di esercizio di cittadinanza e di progettazione partecipata, a “prendersi in carico” il proprio patrimonio come complesso di risorse di cui aver cura a livello individuale e come comunità, nata garantire contesto e sviluppi attuativi al «diritto di ogni cittadino ad essere educato alla conoscenza e all’uso responsabile del digitale per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale e dei luoghi della cultura “, e per il superamento del concetto di FRUIZIONE legato al valore d’uso a favore del concetto di ‘PARTECIPAZIONE’ dei processi di tutela attraverso la piena consapevolezza della ’titolarità culturale’ del patrimonio esercitata con diritto e la sua “presa in carico” dell’eredità culturale che ricevono dal passato. (https://www.diculther.it/hackcultura24-lhackathon-delle-studentesse-e-degli-studenti-per-la-titolarita-culturale/ )

[11] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2018-0169_IT.html

[12] https://www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm

[13] The Convention was adopted by the Committee of Ministers of the Council of Europe on 13 October 2005, and opened for signature to member States in Faro (Portugal) on 27 October of the same year. It entered into force on 1 June 2011. (https://www.coe.int/en/web/venice/faro-convention)

[14] Per #DiCultHer, la “titolarità culturale”, su cui è basata tutta le attività dell’Associazione, definisce il processo, e la condizione che ne deriva, in cui individui e comunità acquisiscono una progressiva consapevolezza dell’eredità culturale che ricevono dal passato. Tale processo mira a far acquisire e far riconoscere ‘titolo’ agli individui e alle comunità ad essere pienamente responsabili dell’eredità culturale che ricevono dal passato, a sentirsene ‘parte’, a sentirla ‘propria’ e a esercitare, superando la posizione di ‘fruitori’ del patrimonio, il ruolo di attori della promozione della sua tutela e della sua valorizzazione.

[15] https://www.diculther.it/wp-content/uploads/2021/09/MANIFESTO-Ventotene-Digitale-REV1-2021-07-09.pdf

[16] La Commissione avvia i lavori per l’Anno europeo delle competenze – Occupazione, affari sociali e inclusione – Commissione europea (europa.eu)

[17] DigCompEdu_ITA_FINAL_CNR-ITD copy

[18] In “Insegnare nell’era digitale” di F. Alcamesi https://www.diculther.it/rivista/insegnare-nellera-digitale/