Patrimonio e Patrimonializzazione Culturale della Moda. Prospettive di un progetto di ricerca.

Per Dino Buzzetti

Daniela Calanca, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Presidente Associazione DiCultHer-Faro-Moda

Key words: Patrimonio, Patrimonializzazione, Moda, Entanglement, Knowledge base

Abstract

The essay delves into the relationship between fashion and cultural heritage, focusing on the process of patrimonialization. It examines the distinction between heritage, understood as a defined and safeguarded entity, and patrimonialization, conceived as an inclusive and dynamic process. This approach considers the Faro Convention, which advocates for community participation in cultural heritage, and challenges the rigid definitions set by the 2004 Cultural Heritage Code.

The essay proposes a relational paradigm that integrates fashion as an object and patrimonialization within the historical, social, and cultural context of Italy, leveraging digital technologies to enhance access, inclusivity, and knowledge. Through the application of semantic technologies, such as linked open data and the Wikibase infrastructure, it outlines the foundations for creating a knowledge base dedicated to fashion and its cultural heritage. This platform aims to transform documentary data into interactive knowledge, fostering new modes of historical research and analysis.

The concept of entanglement is employed to describe the cultural and social interconnections in the relationship between fashion and heritage, highlighting the complexity and interplay of seemingly distinct elements. In conclusion, the essay presents an innovative methodology to valorize the cultural heritage of fashion through advanced technologies and interdisciplinary approaches.

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È un tema complesso Moda e Patrimonio Culturale, dal momento che non costituisce l’oggetto di una disciplina, bensì un campo di studi multidisciplinare, caratterizzato da diversi approcci analitici e da molteplici prospettive di ricerca[1].

Di fatto, è un tema caratterizzato da una serie di questioni significative, soprattutto a partire dalla differenza sostanziale che intercorre, in generale, tra patrimonio e patrimonializzazione: “La radice è la medesima, ma il significato è assai diverso. Il patrimonio individua le “cose” già finite nel perimetro della tutela/conservazione/valorizzazione; la patrimonializzazione, è il processo inclusivo, integrativo che amplia la sfera del patrimonio. In che direzione? Con quali finalità? Una lettura univoca manca”[2].

Su questa via, i titolari del patrimonio sono le istituzioni – nazionali e locali o privati, ma  è cresciuta la domanda di patrimonializzazione, soprattutto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, ossia la richiesta di valorizzare oggetti, comportamenti, tradizioni ecc…[3] I titolari della domanda sono gruppi, comunità, associazioni, appassionati, reti di collezionisti, talvolta singoli individui, portatori di una larga e assai variegata richiesta “dal basso”, che non decidono certamente sul piano istituzionale, giuridico, ma rivendicano una politica del patrimonio che renda la patrimonializzazione un processo più ampio, più collettivo, più condiviso, più sociale.

E in questo la domanda individua la sua base giuridico-istituzionale nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (Convention on the Value of Culturale Heritage for Society), siglata a Faro, in Portogallo nel 2005, sottoscritta dall’Italia nel 2013 e ratificata con la legge 1 ottobre 2020, n. 133[4]. Una Convenzione che, a ben vedere, sancisce l’esatto opposto di quanto prevede il Codice dei Beni Culturali del 2004, e di quanto stabilisce la stessa struttura amministrativa del Ministero, istituito nella temperie del 1974-1975, con i suoi funzionari, i suoi esperti, i suoi saperi tecnici[5].

E dunque, come operare nell’ambito dei Beni Culturali?

Tralasciando le implicazioni giuridiche istituzionali, a parere di chi scrive da questa dialettica deriva il forte impulso a individuare, in primis, nuove forme sostanziali di integrazione tra il concetto di patrimonio culturale (Codice 2004)[6], di Eredità Culturale (Faro)[7], e di patrimonializzazione.

In questa direzione, è possibile considerare, in primo luogo, il patrimonio nei termini di un chiasmo, in cui, per dirla con M. Merleau-Ponty, “ciò che comincia come cosa finisce come coscienza di cosa, ciò che comincia come ‘stato di coscienza’ finisce come cosa”[8]; in secondo luogo, considerare in che modo il patrimonio, così concepito, sia stato trasmesso da una generazione all’altra, cioè nello spazio e nel tempo; in terzo luogo, integrare il medesimo processo di patrimonializzazione nel suo divenire. Inoltre, considerare il digitale per procedere oltre il “piano del servizio” – come osservava Dino Buzzetti – quale mezzo che può produrre nuova conoscenza e “favorire tutti quegli aspetti valoriali della Convenzione di Faro: l’accesso, l’inclusività, la partecipazione alle comunità, al patrimonio culturale”[9].

Su queste basi, tradotto nei termini di moda e patrimonio, appare evidente la necessità di elaborare una nuova conoscenza, un paradigma di relazioni, che contempli in primis certamente l’oggetto moda, ma soprattutto che integri anche il processo della sua patrimonializzazione, colto nello spazio e nel tempo. D’altro canto, storicamente, la moda italiana, per esempio, all’inizio dell’Ottocento, quando è ancora solo immaginata, affonda le sue radici nel patrimonio storico-artistico italiano stesso, ossia in ciò che veniva considerato italiano in quel momento. E viceversa, sempre all’inizio dell’Ottocento, si diffonde la prassi di raccogliere costumi tradizionali e tessuti antichi quali testimonianze culturali, oltre a promuovere il recupero delle produzioni locali di qualità (come ad esempio la seta a Como), la cui promozione non era solo di natura commerciale, ma aveva anche e soprattutto lo scopo di celebrare la capacità artigianale italiana quale elemento distintivo della cultura nazionale.

Pertanto, in questo quadro, appare idoneo un paradigma che descriva e analizzi le interconnessioni tra le diverse componenti all’interno del discorso moda e patrimonio, evidenziando in che modo queste si influenzino reciprocamente, includendo il processo stesso della patrimonializzazione della moda.

Oltre a ciò, ricostruire di fatto il processo di patrimonializzazione della moda, significa comprendere, al di là delle notifiche statali, in che modo essa sia da sempre un bene culturale, la cui conoscenza avvalora quel significato fondante di civiltà assegnato agli oggetti del patrimonio culturale stesso.

Non solo. In questa prospettiva, significa anche procedere oltre la frammentarietà e la prevedibilità (per non dire la banalità e pure l’ovvietà) delle definizioni e delle analisi sul patrimoniale della moda.

Va da sé in che modo la ricostruzione storica del rapporto moda italiana e patrimonio culturale da un lato, e  dall’altro la ricostruzione del processo della sua patrimonializzazione necessiti lo studio e la consultazione di notevoli complessi documentali eterogenei tra loro che, seppure in parte presenti sul web, non producono nuove conoscenze. Ossia, non sono applicate tecnologie semantiche, che offrono adeguatamente l’opportunità di cambiare radicalmente le modalità di accesso ai contenuti documentali e di potenziarne le modalità di interpretazione.

E’ quanto appare se si considerano, a titolo esemplificativo, i principali data set sull’opera di Rosa Genoni (1867-1954), sarta e pubblicista, alla quale risale la prima fenomenologia del rapporto tra moda italiana e patrimonio culturale in età contemporanea.

I principali data set a disposizione, nel panorama italiano, quali per esempio:

  • Rosa Genoni, in AMS Historica, “la collezione digitali delle opere di pregio dell’Università di Bologna” ® articoli, monografie, raccolte fotografiche[10];
  • Catalogo dei Beni Culturali[11]
  • San Sistema Archivistico Nazionale[12]

producono una conoscenza già diffusa, che ricalca in generale la bibliografia descrittiva, tutt’altro che analitica, relativa a Rosa Genoni stessa.

E dunque, le tecnologie, nate dalla visione del web semantico concepito da Tim Berners-Lee, per espandere il web tradizionale, da lui inventato, rendono l’informazione digitale non solo leggibile, ma anche interpretabile in maniera automatica. Tale visione si è concretizzata nei linked open data, un tipo di tecnologia digitale che consente di trasformare contenuti testuali in dati strutturati e interconnessi attraverso relazioni semantiche. Tale processo consente di creare knowledge base da interrogare o visualizzare attraverso network interattivi.

Con questa tecnologia, si fa largo, quindi, la possibilità di creare una nuova conoscenza sul tema moda e patrimonio culturale da un lato, e dall’altro sul tema della patrimonializzazione della moda, da condividere in forme di uso aperte e da espandere in maniera progressiva.

La natura aperta dei linked data, infatti, rende possibile mettere in relazione informazioni provenienti da fonti eterogenee e disparate, superando i limiti dei database tradizionali. Il meccanismo stesso dell’interlinking ha una ingente portata euristica, in quanto consente di rappresentare connessioni spesso inedite e di suggerire nuovi percorsi di ricerca.

Tuttavia, se l’interlinking è fondante in ambiente web, appare altrettanto fondante, ancor prima di tale ambiente, individuare  – del processo gnoseologico in questione- le categorie fondanti di base, le cui relazioni epistemologiche funzionano metaforicamente come l’entanglement quantistico o correlazione quantistica, in cui le particelle si influenzano reciprocamente anche se poste a distanza[13].

Tradotto in termini di scienza del patrimonio culturale della moda, ciò significa che le relazioni delle categorie per esempio antico/moderno, pubblico/privato, economico/culturale, tangibile/intangibile fanno parte di un unico sistema, di un unico entanglement.

Peculiarmente, entanglement e paradigma di relazioni denotano due concetti che, pur provenendo da campi diversi, quali meccanica quantistica e scienze teoriche, condividono alcuni aspetti fondamentali, come per esempio l’interconnessione e la reciproca influenza.

Indagare in che modo questi concetti possano interagire o essere correlati appare rilevante, in quanto entrambi descrivono dinamiche di relazione tra entità interconnesse.

Il concetto di entanglement quantistico descrive essenzialmente il legame indissolubile di interconnessioni, per esempio culturali e sociali.

Sotto questo profilo, appare, di conseguenza, plausibile utilizzare insieme i due concetti (entanglement e paradigma di relazioni) pur appartenendo a discipline diverse, allo scopo di esplorare in che modo fenomeni apparentemente separati siano spesso interconnessi.

Rispetto a ciò, la formazione della moda italiana nell’Ottocento è inesorabilmente intrecciata nel suo divenire allo stesso patrimonio culturale, come già rilevato. Riflettendo la complessità delle reti sociali economiche, tecnologiche e politiche, si può affermare che il rapporto tra moda italiana e patrimonio culturale, colto nella sua stessa patrimonializzazione,  denoti una forma sostanziale di “entanglement culturale”.

In definitiva, entro tali coordinate, si sta progettando la creazione di un knowledge base sul patrimonio culturale della moda e della sua patrimonializzazione, inteso a dimostrarne le potenzialità per la ricerca storica e per la consultazione in generale.

Lungo questa linea, in primo luogo, partendo da un campione di documenti digitalizzati e selezionati in base a criteri di diversità tipologica e contenutistica, ci si propone di definire una metodologia di applicazione della tecnologia linked data. Tale metodologia verrà consolidata sul campione stesso.

In secondo luogo, questa metodologia verrà applicata a specifiche collezioni d’archivio.

In tal senso, la metodologia qui considerata include un ciclo completo di attività. E ciò a partire dalla

creazione di un modello di dati o ontologia. E di qui, a sua volta, il modello stesso rappresenterà la spina dorsale del knowledge base. Seguiranno, in maniera sequenziale, l’estrazione automatica e manuale di dati dai testi documentali del campione, la normalizzazione dei dati per eliminare ambiguità semantiche e l’assegnazione di identificativi unici necessari per convertire tali dati in unità linked data o triple. Infine, attraverso un processo programmatico, le triple andranno a popolare il knowledge base.

Per l’implementazione del progetto pilota, ci si avvale dell’infrastruttura open-source chiamata Wikibase[14].


[1] Calanca, 2014; Calanca, Capalbo, 2018

[2] Balzani http://rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it/xw-201803/xw-201803-a0015

[3] Ivi

[4] https://www.journalchc.com/wp-content/uploads/2020/08/Convenzione-di-Faro.pdf

[5] Balzani cit.

[6] Codice dei Beni Culturali: “Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici: “Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.

“Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’articolo 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge”.

[7] Faro: “a) l’eredità culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato del l’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi; b. una comunità di eredità è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”.

[8] M. Merleau-Ponty, 19993, 229

[9]  Dino Buzzetti, 9/10/2020 https://www.youtube.com/watch?v=e2hzgGBvL8I

[10] https://historica.unibo.it/cris/fonds/fonds02039

[11] https://catalogo.beniculturali.it/search?query=rosa+genoni

[12] https://san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-oggetto-digitale?p_p_id=dgtobjportlet_WAR_prjsanportlet_INSTANCE_qT7R&p_p_lifecycle=0&p_p_state=normal&p_p_mode=view&p_p_col_id=box_contenuto&p_p_col_count=1&_dgtobjportlet_WAR_prjsanportlet_INSTANCE_qT7R__spage=%2Fportlet_action%2Fsan%2Fdgtobj%3Ffolder%3Dinit%26pid%3Dsan.dl.SAN%3ATXT-

[13] Cf. per es M. M. Wilde, 2017

[14] https://www.mediawiki.org/wiki/Wikibase/DataModel

POSSIBILI IMMAGINI PER KNOWLEDGE BASE

POSSIBILE IMMAGINE PER KNOWLEDGE BASE E WIKIBASE

POSSIBILI IMMAGINI PER PARADIGMA DI RELAZIONI E ENTANGLEMENT QUANTISTICO

Nota bibliografica

Balzani, R. http://rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it/xw-201803/xw-201803-a0015

Calanca, D. (2014), Storia sociale della moda contemporanea, Bologna, Bononia University Press

Calanca, D. (2016), Moda e immaginari sociali in età contemporanea, Milano, B. Mondadori

Calanca, D. (2018), The Fashion Palace, in The Culture, Fashion, and Society Notebook, Milano, Bruno Mondadori, 3-25

Calanca, D., Capalbo C. (2018)  (a cura di) Moda e Patrimonio Culturale, ZMJ Unibo

Calanca, D. (2019) Calanca, Daniela. ‘Moda e Patrimonio Cultural entre Imaginarios  Sociais e Praticas Coletivas na Contemporaneidade’, in  Revista De Historia, 178,  2019, 1-28

Calanca, D. (2020) Fashion and Costume in the National Heritage, in The Culture, Fashion, and Society Notebook, Milano, Bruno Mondadori, 3-24

Merleau-Ponty, M. (19993 trad.it), Il visibile e l’invisibile, Bompiani

Poulot,  D. (1997), Musée nation patrimoine, Paris, Éditions Gallimard

Poulot, D. (1998), Patrimoine et Modernité,  L’Harmattan

Poulot, D. (2006), Une histoire du patrimoine en Occident, XVIIIe-XXIe siècle: Du monument aux valeurs, Paris, Press Universitaire de France