Pamela Giorgi
Dopo che s’è fatta tutta questa fatica, seguendo regole che valgono per tutti, si trova sempre l’intellettuale cretino che sentenzia: questa lettera ha uno stile ‘personalissimo’
da Lettera a una professoressa
“La grande scrittura. Mille mani per una storia” è il titolo della recentemente premiata Sfida #HackCultura2021 n. 7, un Hackathon degli studenti per la “titolarità culturale”, un percorso didattico che si è svolto sotto la presidenza dello scrittore Paolo Vanacore.
La Sfida in questione affronta un tema educativamente cruciale: quello della scrittura collaborativa, in linea con le pratiche di produzione open source e wiki che, in svariati ambiti, stanno segnando le nuove frontiere della conoscenza e dell’innovazione, le quali però è d’uopo ricollocare nel solco della lunga tradizione pedagogica di marca attivistica.
Questo approccio di tipo storico ci racconta di ribaltamenti prospettici di forte marca ‘politica’, in cui si sottoposero a critica i modelli di apprendimento-insegnamento tradizionali tentando di rendere la scuola autenticamente palestra democratica, in cui le figure ‘gerarchiche’ assumevano un ruolo di accompagnamento, che, permettesse di superare la logica della didattica trasmissiva per fare degli studenti, in prima battuta, dei protagonisti responsabili e attivi del processo educativo e, in seconda, dei cittadini altrettanto responsabili e attivi.
La premiazione dei vincitori, avvenuta al Salone del libro di Torino lo scorso 18 ottobre 2021 ripone lo sguardo su questa storia, mettendo in risalto il potere educativo del lavoro di gruppo, che, sebbene guidato dall’esperienza dei docenti e dello scrittore professionista, favorisce il prendere la parola su di sé e per sé da parte degli studenti. Così, come accennavo, parlare di un progetto di narrazione condivisa in classe, conduce necessariamente a ripensare a cosa, in un percorso storico che conduce fino all’oggi, abbia connotato le visioni educative, le motivazioni e il senso di portare in classe un metodo capace, non solo di accogliere la naturale propensione narrativa di ogni ragazzo, ma anche di enfatizzare il ruolo della dimensione di gruppo.
Mettere i ragazzi nella condizione di scrivere presuppone, certo, primariamente il valorizzare la loro capacità creativa, insegnando a contestualizzarla in alcune strutture (per esempio condividendo una serie di regole definite con il gruppo degli studenti/co-autori), dando, quindi, libertà ma al contempo chiedendo di riflettere, di fare delle scelte espressive il più possibile consapevoli. C’è poi un secondo aspetto che assume peso centrale: ovvero come, alla base di un percorso di scrittura cooperativa, sia fondamentale un’esperienza forte di reciproco ascolto tra chi scrive, perché solo così potrà prendere davvero forma il racconto. Si inizia dalla ricerca dialogata delle idee, ci si confronta su queste, si passa a pianificare la struttura della storia, le caratteristiche dei protagonisti, i valori in gioco, infine si rilette assieme sullo stile. L’ultima parte del lavoro sarà quella più propriamente tecnico-editoriale, di correzione delle bozze, e anch’essa avverrà di concerto.
Organizzare un testo condiviso significa dunque attuare una didattica disciplinare in un vero e proprio attivo laboratorio di scrittura e, al contempo, una didattica fortemente orientata verso competenze ulteriori di socialità e di dialogo, o meglio competenze di cittadinanza. Si tratta, in estrema sintesi, di utilizzare lo scrivere per crescere anche nelle capacità di ascolto, di dialogo, di relazione, di percezione del gruppo: per implementare il sapere dei singoli in quanto singoli e quello dei singoli in quanto appartenenti ad una comunità che si struttura imparando a cooperare.
In tale contesto, viene naturale richiamare quel celebre incontro sul tema che ebbero Mario Lodi e don Lorenzo Milani. Incontro che determinò per il secondo dei due, dopo il confronto con il primo, lo strutturarsi del metodo della scrittura collettiva proposto ai suoi alunni e che poi ebbe i fortunati esiti della composizione di Lettera a una professoressa. Entrambi, seppur maestri e pedagogisti per alcuni aspetti diversi tra loro, si ritrovarono nella comune consapevolezza del valore del gruppo nell’apprendimento dell’arte della scrittura e del valore della scrittura collettiva nell’apprendimento dell’arte del vivere in gruppo.
Nell’estate del 1963 Mario Lodi si recava a Barbiana a conoscere il priore, si trattò di un incontro breve di due soli giorni, ma foriero di importanti sviluppi, fatti di reciproche sinergie e di una svolta nell’impostazione metodologica di Milani centratasi radicalmente sullo scrivere condiviso.
Non stona, circa il nostro appena premiato Hackathon, il rileggere alcune delle preziose osservazioni sullo scrivere, a firma del priore, contenute in un testo che accompagnava la prima delle svariate missive del carteggio svoltosi tra i ragazzi di Barbiana e gli alunni di Lodi: “Caro Maestro, la ringrazio d’averci proposto quest’idea perché me ne son trovato bene. Non avevo mai avuto in tanti anni di scuola una così completa e profonda occasione per studiare coi ragazzi l’arte dello scrivere … Il lavoro di questi ultimi tre giorni è stato entusiasmante per me e per i ragazzi. Straordinaria la possibilità, in questa fase, dei più piccoli di trovare qualche volta soluzioni migliori dei grandi. Pochissima incertezza: in genere la soluzione migliore s’impone molto evidentemente alla preferenza di tutti … si possono studiare insieme tutti i problemi dell’arte dello scrivere … eliminare le ripetizioni, le cacofonie, gli attributi e le relative, i periodi troppo lunghi”.
Quella scrittura collettiva, divenuta elemento connotativo della didattica milaniana e della quale egli sottolineava le potenzialità: “L’arte dello scrivere consiste nel riuscire a esprimere compiutamente quello che siamo e che pensiamo, non nel mascherarci in migliori di noi stessi”.