Barbara Faedda, Columbia University
Abstract:
Fashion, Cultural Heritage, and Digital Trends
This article examines the intricate relationship between fashion, cultural heritage, and digital trends, emphasizing their interdisciplinary nature and the evolving role of technology. Fashion, an intersection of culture, identity, art, and innovation, is both a creative endeavor and a reflection of societal transformations. Traditional techniques and practices from various cultures, recognized by UNESCO, demonstrate fashion’s historical and cultural richness.
The integration of digital technology, from wearable tech to 3D-printed garments, has redefined creative processes, reshaped interactions between individuals and fashion, and expanded the accessibility and preservation of fashion heritage. Iconic collaborations, such as IBM Watson’s cognitive dress or Google’s Jacquard project, highlight the transformative impact of technology on the industry. Exhibitions like the Met’s Sleeping Beauties underscore how digital tools revive historical fashion pieces, enhancing the sensory experience and making them relevant to contemporary audiences.
The article calls for a multidisciplinary approach to studying fashion heritage, recognizing its dynamic narrative as a testament to human creativity within specific cultural and historical contexts. By leveraging digital resources and fostering collaboration, the fashion industry can preserve and reinterpret its legacy while addressing challenges related to sustainability, globalization, and ethical practices.
Let me know if additional refinements are needed!
******
Negli elenchi del patrimonio immateriale – tra i riconoscimenti UNESCO all’interno dei beni culturali internazionali – si trovano tessuti, merletti, decorazioni, stampe, tinture, miniature, telai, innumerevoli tecniche tradizionali e pratiche sofisticate di ogni angolo del pianeta. Dalla tessitura a telaio a mano della piña di Aklan nelle Filippine, al merletto a tombolo della Slovenia; dal Poncho Para’í de 60 Listas de Piribebuy del Paraguay, alla lavorazione ad intarsio della madreperla dell’Azerbaijan; dall’arte delle perle di vetro di Italia e Francia, ai tappeti di Chiprovtsi; dal broccato Yunjin di Nanchino, all’arte del ricamo in stile turkmeno; dalla tecnica Yuki-tsumugi di produzione del tessuto di seta in Giappone, alla sericoltura e artigianato della seta in Cina. La lista e’ lunga e assolutamente affascinante[1]. La prima reazione e’ quella di immaginare quante siano le voci mancanti, quante altre tradizioni, manifatture e tecniche di simile rilevanza caratterizzino culture, villaggi, paesi e citta’ in tutto il mondo. Solida e’ la convinzione che abiti, stoffe, monili, ornamenti e oggetti legati al vestire quotidiano, cerimoniale o spirituale siano inequivocabilmente un’espressione preziosa – spesso complessa e dalle mille sfaccettature – di diverse specificita’ culturali[2].
Esistono mille definizioni e descrizioni di cosa sia la moda: moda e’ certamente cultura, identita’, arte, creativita’, ma anche politica, filosofia o religione; e’ innegabilmente tradizione ma anche innovazione, e’ protesta o conformismo. Moda e’ ovviamente business e sfocia talvolta nel consumismo indiscriminato o in forme incontrollabili di inquinamento ambientale e sfruttamento dei lavoratori. La moda puo’ avere una notevole ricaduta all’interno dell’industria del turismo ed anche una importante funzione terapeutica[3]. La moda e’ tutto cio’ e molto di piu’ e rappresenta per scienziati e studiosi un’area di studio e ricerca complessa ed articolata.
E’ innegabile che la storia della moda e’ anche storia di un complesso percorso umano caratterizzato da innovazione e utilizzo della tecnologia, dallo sviluppo di tecniche peculiari, da puntigliose pratiche che richiedono tempo, attenzione ed esperienza, dalla passione per la cultura creativa, artistica e manifatturiera che attraversa generazioni. La tecnologia e’ da sempre, indubbiamente, una componente essenziale della moda; piu’ recentemente – grazie all’avvento del digitale – essa ha prodotto nuove trasformazioni particolarmente significative. L’approccio digitale ha non solo ridefinito le modalita’ di creazione, produzione, commercializzazione e consumo, ma ha anche profondamente influito sui processi e sulle pratiche culturali e sulle varie modalita’ di conservazione, trasmissione e accessibilita’ del fashion heritage[4].
Fin dalla preistoria le tecnologie sviluppate dagli esseri umani nella produzione di abiti, ornamenti e accessori sono state incredibilmente creative e sofisticate. Attraverso l’esplorazione e la sperimentazione di materiali e tecniche e’ stata accumulata una ricca varieta’ di espressioni che comprende tessiture, ricami, plissettature, tinture, tagli, cuciture e filature, solo per citarne alcune[5]. I nuovi strumenti digitali – uniti a quelli sviluppati attraverso i secoli – influenzano quotidianamente il processo creativo e artistico, nonché l’esperienza personale e collettiva. Smart fabrics, wearable technology e gli abiti in 3D cambiano la percezione e le emozioni umane e modificano l’interazione tra il corpo vestito e abbigliato e il mondo che lo circonda. Gli stilisti di oggi ricercano nuove soluzioni nel loro processo creativo e negli ultimi anni molto e’ successo in questo campo.
Nel 2016, IBM Watson sviluppo’ un “Cognitive Dress” in collaborazione con la casa di moda Marchesa[6]. Durante la presentazione al Met gala, ogni fiore applicato sull’abito – contenente una luce LED – cambiava colore in base alle emozioni comunicate dal pubblico, in tempo reale, via Twitter[7]. Piu’ o meno nello stesso periodo, superfici interattive, filati conduttivi e abiti connessi furono il risultato dell’iniziativa di Google chiamata Project Jacquard[8]. In collaborazione con il marchio di jeans Levi’s, la tecnologia Jacquard fu utilizzata per produrre la Levi’s Commuter Trucker Jacket, una “giacca intelligente” che si collegava in modalità wireless ad un telefono iOS o Android per svolgere diverse funzioni mentre si camminava, si andava in bicicletta, o si guidava un’automobile. Un altro abito high-tech fu prodotto dallo stilista americano Zac Posen: l’abito era stato cucito a mano e realizzato con organza e fibre ottiche – collegate a un interruttore all’interno – in modo che si illuminasse al buio. L’abito era stato creato utilizzando un tessuto Gossamer su misura ed erano state necessarie circa 600 ore di lavoro. Zac Posen spiego’ di essere interessato a quello spazio dove si incontrano il passato e il futuro, la fantasia e la tecnologia[9].
All’anno precedente risaliva un altro “abito intelligente”, il ‘Butterfly Dress’, progettato dalle designer turche Ezra e Tuba Cetin e alimentato dal modulo di calcolo Edison di Intel. L’abito, realizzato con un lussuoso jacquard intrecciato con fibre di Lurex metallico, era dotato di quaranta farfalle in grado di rilevare la presenza di una persona grazie a un sensore di prossimità che faceva reagire le farfalle agli stimoli esterni. Più una persona si avvicinava, più le farfalle si agitavano velocemente, fino a volare via dall’abito[10]. Le due stiliste dichiararono che giocare con i tessuti, i colori e il movimento non e’ solo sperimentazione e divertimento ma che, per essere parte del cambiamento e delle trasformazioni nel mondo della moda, la tecnologia e’ semplicemente necessaria.
La collaborazione tra mano e tecnologia fu celebrata platealmente nel 2016, quando il Costume Institute del Met presento’ la mostra “Manus Ex Machina. Fashion in an Age of Technology”[11]. La parola ‘dicotomia’ era ricorrente in tutta la mostra, con riferimento a quella costante tensione che per molti ha avuto origine nell’ottocento, dopo l’invenzione della macchina da cucire. Il curatore della mostra, Andrew Bolton, spiego’ che mano e macchina non dovrebbero essere considerati strumenti discordanti ma fruttuosa confluenza nello stesso processo creativo, come dimostrava l’abito da sposa haute couture disegnato da Karl Lagerfeld per Chanel nel 2014, scelto quale emblema dell’esibizione. Tale abito rappresentava e incarnava alla perfezione tale confluenza, grazie alle caratteristiche elencate da Bolton: il disegno fatto a mano e poi elaborato dal computer per conferirgli un motivo barocco pixelato; utilizzo a mano di pigmento metallico dorato e poi stampa a macchina con strass; ricamo a mano con perle e pietre preziose e impiego della maglia scuba[12]; tessuto modellato anziché cucito. Solo lo strascico aveva richiesto ben 450 ore di lavoro. La mostra guidava i visitatori attraverso molteplici esempi di tecniche manuali tradizionali e sofisticate combinate con le tecnologie meccaniche[13]. Tra le decine di creazioni che andavano dall’inizio del XX secolo ad oggi, non sorprendentemente ve ne erano ben sette della stilista olandese Iris van Herpen, che rimane ancora oggi senza dubbio uno dei nomi più importanti nel mondo della tecnologia applicabile alla moda. van Herpen ha iniziato a produrre i suoi primi abiti stampati in 3D nel 2010, combinando produzione e tecniche tradizionali con le tecnologie più avanzate, e perseguendo collaborazioni interdisciplinari tra diverse aree creative, dalla danza all’architettura[14]. Van Herpen non è stata solo una pioniera nell’uso della stampa 3D come tecnica di moda, ma è anche appassionata promotrice della collaborazione tra mano e macchina, sostenendo che la mano e la macchina sono per lei uguali all’interno del processo di design e sono totalmente integrate: “le macchine sono strumenti, esattamente come le mani”[15].
Merita particolare menzione la recente mostra Sleeping Beauties: Reawakening Fashion, inaugurata al Costume Institute del Met nella primavera 2024. Gia’ nella descrizione introduttiva si coglie l’importanza assoluta e cruciale della tecnologia[16]:
The Costume Institute’s Spring 2024 exhibition, Sleeping Beauties: Reawakening Fashion, reactivates the sensory capacities of masterworks in the Museum’s collection through first-hand research, conservation analysis, and diverse technologies—from cutting-edge tools of artificial intelligence and computer-generated imagery to traditional formats of x-rays, video animation, light projection, and soundscapes.
Al visitatore viene inoltre promessa un’esperienza unica perche’ l’abito – che normalmente diventa un oggetto statico e ‘morto’ una volta che entra in un museo – ora viene ‘riportato in vita’, viene ‘rianimato’, offrendo le stesse emozioni e sensazioni originali, attraverso una esposizione che copre ben quattro secoli:
When an item of clothing enters the Costume Institute collection, its status is changed forever. What was once a vital part of a person’s life is now a motionless ‘artwork’ that can no longer be worn or heard, touched, or smelled. This exhibition reanimates these objects, helping us experience them as they were originally intended—with vibrancy, dynamism, and life.
Nell’era digitale l’interazione tra moda, corpo e societa’ all’interno della dimensione del cultural heritage si collega ad uno spazio nuovo, in continua evoluzione e dagli sviluppi spesso inattesi. Tale spazio puo’ essere fisico o virtuale (o ambedue) e in rapporto a questa duplice possibilita’ si possono avanzare diverse analisi e considerazioni. Musei, passerelle e archivi della moda in origine sono stati spazi fisici concepiti e curati per una esperienza specifica, con un obiettivo particolare e con una offerta ben precisa; con la digitalizzazione, le possibilita’ si sono moltiplicate e certi confini si sono espansi. Di certo e’ che l’esperienza sensoriale e’ al centro dell’interesse e di una certa costante preoccupazione dei maggiori attori del mondo della moda. La mostra del Met Sleeping Beauties: Reawakening Fashion ne e’ un chiaro esempio; l’accento viene posto soprattutto sull’aver saputo ricreare un complesso di emozioni e sensazioni ‘originali’, un set di profumi e suoni che ricalcano cio’ che era uno, due, o tre secoli fa. L’abito – talvolta talmente delicato e consumato da non poter neanche essere toccato se non da mano esperta – dormira’ per sempre nel museo, ma le sensazioni che ci legano ad esso possono essere ricreate grazie al saggio utilizzo della piu’ moderna tecnologia[17].
Archivi, musei, biblioteche e fondazioni rappresentano un ricco bacino per ricerche, analisi e approfondimenti cruciali del patrimonio culturale della moda. Se oggi abbiamo un’idea piuttosto chiara delle problematiche relative alla conservazione, preservazione e restauro dell’oggetto fisico, maggiore attenzione puo’ essere indirizzata verso le competenze, le tecniche, la ritualita’ e le ricadute culturali – anche a livello di comunita’ – della creazione e dell’utilizzo di tale oggetto. E’ bene quindi che la risorsa digitale non rimanga ancorata e limitata a certi aspetti creativi, produttivi e commerciali, ma che entri a pieno diritto nella sfera dell’informazione e della ricerca culturale e scientifica piu’ ampie, con un occhio sempre aperto su questioni fondamentali relative a diversita’, minoranze, colonialismo e postcolonialismo, globalizzazione, e diritti umani.
In tale direzione, nel 2019 l’Italian Academy ha organizzato – all’interno del suo International Observatory for Cultural Heritage[18] – il workshop dal titolo Cultural Heritage Practices & Critical Fashion Theory. How Does (High) Fashion Interpret Cultural Heritage?, durante il quale storici, antropologi e filosofi hanno discusso varie esperienze e prospettive sulla creatività della moda in relazione all’idea di patrimonio[19]. Numerosi sono stati i quesiti e le questioni affrontati ed analizzati, tra cui il prestigio dei grandi marchi e la loro relazione con la narrativa identitaria nazionale, il ruolo delle citta’ come poli di eleganza su scala globale, lo stimolo proveniente dall’arte contemporanea, i molti modi in cui le aziende di moda interpretano e sono parte del patrimonio culturale, a diversi livelli (creativo, filantropico e promozionale). Come noto, diverse case di moda svolgono oramai un ruolo importante nel preservare, conservare e promuovere le arti: alcune gestiscono archivi e fondazioni, altre collaborano con musei della moda e del tessile o si impegnano in operazioni di mecenatismo nel rinnovare, conservare e riportare al loro antico splendore capolavori archeologici, artistici e architettonici. Si e’ parlato quindi delle varie modalita’ attraverso le quali i designer piu’ celebri si appropriano e (re)interpretano la storia e l’archeologia, e si impegnano in operazioni filantropiche per preservare edifici e collezioni di cui le istituzioni statali hanno spesso difficoltà a farsi carico. Centrale al dibattito il ruolo dell’industria della moda quale componente importante dell’identità di un paese; nel caso dell’Italia, la narrativa sviluppata intorno al sistema moda si e’ nel tempo radicata nella straordinaria effervescenza creativa del Rinascimento italiano, nonostante l’Italia sia riuscita ad affermarsi come paese della moda solo relativamente tardi, negli anni Sessanta del Novecento[20]. Similmente si e’ analizzata la narrativa sviluppatasi intorno alla citta’ di Parigi quale capitale storica indiscussa della moda e cruciale snodo di narrativa identitaria nazionale.
All’interno del fashion cultural heritage la varieta’ e diversità degli oggetti, delle tecniche e delle competenze richiedono necessariamente una ricerca interdisciplinare; senza una conversazione multidirezionale con e tra le varie aree di ricerca ed espertise diventa altrimenti assai complicato cogliere la complessita’ e l’ampiezza delle questioni, delle problematiche e delle specificita’. Il settore fashion continua ad evolvere e negli anni è diventato sempre più ampio, rimandando ad un ricco assortimento di questioni che richiede non solo approcci e metodi diversi, ma anche analisi ed interpretazioni innovative. Innegabile che il patrimonio della moda non e’ statico ma piuttosto una vivace narrazione ed una acuta intepretazione della creativita’ umana in relazione ad uno specifico ambiente naturale e artificiale e a particolari vicende storiche e sociali. È con lo studio interdisciplinare di tale narrazione – declinata attraverso tessuti, ornamenti e accessori, cosi’ come attraverso pratiche e processi culturali – che si coglie il suo valore piu’ profondo e si procede quindi alla sua valorizzazione, conservazione e potenziamento e – soprattutto – al migliore utilizzo per le generazioni presenti e future. New York, 19 agosto 20
[1] UNESCO Intangible Cultural Heritage, Browse the Lists of Intangible Cultural Heritage and the Register of good safeguarding practices, https://ich.unesco.org/en/lists.
[2] Il doveroso riconoscimento e la celebrazione delle tradizioni legate alla moda, alla decorazione e agli ornamenti sono diversi pero’ dall’appropriazione, dall’irrispettoso attingere a simboli e pratiche – spesso spirituali, filosofiche, storiche o religiose – che talvolta caratterizza l’industria moderna della moda. Cultural appropriation e’ infatti una delle questioni piu’ scottanti al momento e spesso coinvolge la sfera legale. La letteratura in questo campo e’ oramai assai ricca. Qui alcune letture di riferimento: Friedman V., “Is It Possible to Wear Clothes from Other Cultures Without Appropriation? A reader who is not Asian wonders whether it’s possible to participate respectfully in Asian sartorial traditions”, The New York Times, 13 febbraio 2023; Shand P., “Scenes from the Colonial Catwalk: Cultural Appropriation, Intellectual Property Rights, and Fashion”, Cultural Analysis, University of California, 2002, pp. 47-88; Lee S., “Cultural Appropriation in Contemporary Fashion”, Archives of Design Research, 2019, pp. 137-15.
[3] Basti pensare ai programmi specifici disegnati per migliorare l’immagine corporea e l’autostima grazie alle terapie cognitivo-comportamentali. Tra le molteplici ricerche si segnalano, quali esempi: Lee, S. E., Lee, Y., & Yoo, J.- J. (2020). Understanding the fashion therapy (FT) experience through the cognitive behavioral perspective on body image. International Journal of Costume and Fashion, 20(2), 1-10; Slepian, M.L., Ferber, S.N., Gold J.M., Rutchick, A.M., “The Cognitive Consequences of Formal Clothing”, Social Psychological and Personality Science, 31 March 2015; Adam, H. and Galinsky, D. “Enclothed cognition”, Journal of Experimental Social Psychology, Vol 48, Issue 4, July 2012, 918-925.
[4] Consapevole di operare in un ambiente internazionale fortemente competitivo, l’industria della moda e’ costantemente all’inseguimento di suggestioni creative, svolte innovative, materiali rivoluzionari, modalita’ produttive sempre piu’ efficienti e, ovviamente, anche di una auspicabile e significativa riduzione dei costi.
[5] Tortora. Phyllis G., (2015) Dress, Fashion and Technology. From Prehistory to the Present, Bloomsbury Academic.
[6] “Marchesa. Marchesa teams up with IBM Watson, to design their first cognitive dress”, AI for fashion, https://cognitivefashion.github.io/portfolio/couture_marchesa/.
[7] Stinson L., IBM’s Watson Helped Design Karolina Kurkova’s Light-Up Dress for the Met Gala, 3 maggio 2016, Wired, https://www.wired.com/2016/05/ibms-watson-helped-design-karolina-kurkovas-light-dress-met-gala/.
[8] Levi Strauss & Co., “Heritage. The Story Behind the Levi’s® Jacquard Jacket”, 18 gennaio 2018, https://www.levistrauss.com/2018/01/18/story-behind-levis-jacquard-jacket/.
[9] Marie Claire team (2016) “You’ll Never Guess How Long It Took To Make Clare Danes’ Dress”, Marie Claire Magazine, May 10, https://www.marieclaire.com.au/zac-posen-reveals-details-of-clare-danes-dress.
[10] https://www.ezratuba.com/butterfly-dress-intel.
[11] https://www.metmuseum.org/exhibitions/listings/2016/manus-x-machina.
[12] Scuba e’ un termine comunemente usato per indicare il neoprene, un tipo particolare di tessuto sintetico appartenente alla famiglia delle gomme sintetiche, la cui invenzione risale agli anni trenta.
[13] Per ulteriore approfondimento si veda anche: Faedda B., “Fashion and Technology. Hand and Machine in (High-End) Fashion Design”, in Companion to Fashion Studies, Paulicelli E., Manlow V., and Wissinger E. eds., Routledge, 2021.
[14] https://www.irisvanherpen.com/about/the-maison.
[15] R. Mead, “Iris van Herpen’s Hi-Tech Couture. The designer combines 3-D printing and hand stitching to reimagine the possibilities of the human body”, The NewYorker, 18 settembre 2017.
[16] Metropolitan Museum of Art, Costume Institute, Overview, Exhibition, Sleeping Beauties: Reawakening Fashion, https://www.metmuseum.org/exhibitions/sleeping-beauties-reawakening-fashion.
[17] Cio’ che la studiosa M. Riegels Melchior definisce ‘digital memories of fashion’, in “Digital fashion heritage: Understanding europeanafashion.eu and the Google Cultural Institute’s We Wear Culture”, Critical Studies in Fashion & Beauty, Vol. 10, No. 1, 2019.
[18] https://italianacademy.columbia.edu/content/international-observatory-cultural-heritage.
[19] https://italianacademy.columbia.edu/events/cultural-heritage-practices-critical-fashion-theory.
[20] Nel richiamare e nel rendere omaggio al patrimonio culturale dell’Italia – ai suoi paesaggi, monumenti, storia e bellezza – i concetti di armonia, equilibrio e attenzione alla qualità dei materiali e della manifattura continuano a essere fonte di ispirazione e strumento onnipresente delle strategie creative e commerciali di molteplici case di moda.