La cultura maker per l’innovazione digitale

Patrizia Marti e Annamaria Recupero

Abstract (IT)

L’articolo traccia una visione del futuro delle tecnologie digitali poste di fronte ad una sfida di sviluppo e innovazione, quella di fondere il mondo dell’immateriale proprio della produzione digitale, con la materia fisica, integrando da un lato intelligenza e capacità computazionali negli oggetti di uso quotidiano, dall’altro utilizzando tecnologie digitali per la fabbricazione stessa di artefatti. Questa visione è promossa dal movimento Fab Lab, la rete mondiale di intelligenze e tecnologie che ha incarnato la cosiddetta terza rivoluzione digitale, quella della fabbricazione digitale. In ciò che segue ripercorreremo i momenti salienti della storia del movimento, nato al Center for Bits and Atoms del MIT, e fotograferemo la realtà italiana, con particolare riferimento al Fab Lab del Santa Chiara Fab Lab, il centro per l’innovazione interdisciplinare dell’Università di Siena. Questo laboratorio è una moderna bottega di design a servizio della ricerca, della formazione e della terza missione, dove la fabbricazione digitale si innesta su progetti che affrontano in modo fortemente interdisciplinare i temi dell’inclusione sociale, dell’accessibilità, della salute, dell’innovazione nei beni culturali e della sostenibilità.

Abstract (ENG)

The article provides a vision of the future of digital technologies which address an innovation challenge to merge the immaterial world of the digital production with the physical world, by integrating intelligence and computational capacity into everyday objects, as well as by using digital technologies to produce such artefacts. This vision is promoted by the Fab Lab movement, the international network of intelligences and technologies which embodies the so-called third digital revolution, namely the digital fabrication revolution. In what follows, we retrace the highlights of the movement’s history, that was born at the MIT’s Center for Bits and Atoms, and then we focus on the Italian context with references to the Santa Chiara Fab Lab, the centre for interdisciplinary innovation of the University of Siena. This lab is a modern design workshop that supports academic research, training and third mission. The digital fabrication is fully integrated in these activities to address the challenges of social inclusion, accessibility, health, cultural heritage and sustainability.

Parole chiave: design, fabbricazione digitale, formazione, ricerca, Fab Lab, innovazione, sostenibilità, patrimonio culturale


1. Introduzione

La cultura digitale si arricchisce sempre più di strumenti, pratiche e comunità di persone che affrontano le sfide del mondo contemporaneo per un’innovazione più equa, responsabile e sostenibile. E ciò avviene anche grazie alla “terza rivoluzione digitale” che ha reso accessibili gli strumenti e le tecniche per creare artefatti fisici e digitali in autonomia e a basso costo.

Dalla metà del secolo scorso infatti si sono verificate due rivoluzioni digitali che hanno profondamente modificato il mondo in cui viviamo (Gershenfeld et al., 2017). La prima rivoluzione digitale si è verificata nella comunicazione con la nascita di Internet. La seconda rivoluzione digitale si è avuta nella computazione e nella potenza di calcolo, con la diffusione dei personal computer, degli smartphone e la conseguente proliferazione di servizi digitali in mobilità. Insieme queste due rivoluzioni hanno cambiato radicalmente il mondo. Da allora lo sviluppo tecnologico ha continuato ad avanzare a un ritmo esponenziale, ma spesso individui, organizzazioni e istituzioni hanno fatto fatica a tenere il passo. Più queste tecnologie penetrano nella società, maggiore è il rischio che queste creino disparità di accesso e uso alle nuove opportunità che il digitale offre.

Nel libro intitolato “Designing reality: how to survive and thrive in the third digital revolution”, Gershenfeld e altri (2017) sostengono che le rivoluzioni nella comunicazione digitale e nella capacità di calcolo hanno consentito una produttività senza precedenti, generando enormi ricchezze, catalizzando profondi cambiamenti nella vita di tutti i giorni, ma molte persone/comunità sono state lasciate indietro. Si pensi che ancora oggi più della metà del pianeta non ha ancora accesso ad Internet, e miliardi di persone hanno un accesso limitato o inaffidabile. Aver privilegiato per decenni lo sviluppo tecnologico senza dare priorità ad uno sviluppo più armonico in cui individui, organizzazioni e istituzioni potessero co-evolvere con la tecnologia, ci ha fatto perdere una grande opportunità di creare valore in modo proattivo e mitigare i danni del digital divide. Secondo Gershenfeld la terza rivoluzione digitale può offrire l’opportunità di colmare il divario che le prime due rivoluzioni hanno creato. 

La terza rivoluzione digitale completa le prime due portando la capacità di programmazione del mondo virtuale dei bit nel mondo fisico degli atomi. Questa terza rivoluzione digitale, quella della personal digital fabrication, consente di manipolare sia bit che atomi offrendo nuove opportunità di fabbricazione di oggetti a portata di ogni persona. Proprio come le comunicazioni e il calcolo sono passati dall’analogico al digitale, la digitalizzazione nella fabbricazione personale consente agli individui e alle comunità di produrre e condividere prodotti ovunque e in qualsiasi momento. Come i primi computer mainframe, la maggior parte della manifattura oggi viene eseguita con enormi macchine gestite da operatori altamente formati presso grandi aziende. Tuttavia la potenza che risiede in queste grandi macchine sta diventando accessibile a chiunque, proprio come il personal computer o lo smartphone che hanno attualmente la potenza di calcolo di quello che una volta era un computer mainframe. E’ possibile dunque trasformare i dati in cose e le cose in dati e condividere queste informazioni attraverso un Internet che non è fatto solo di bit ma anche di atomi.

Questa potente visione della terza rivoluzione digitale ha radici relativamente recenti. Dal 1998, anno in cui il Prof. Gershenfeld tenne il primo corso intitolato “How to make almost anything” presso il Massachusetts Institute of Technology (Boston, USA), la fabbricazione digitale si è diffusa come una nuova pratica, un nuovo campo di ricerca e sperimentazione, e un movimento sociale che permette a chiunque, anche senza specifiche competenze tecnico-scientifiche, di realizzare un progetto in autonomia, realizzando tutto il processo che va dall’idea alla realizzazione/prototipazione della soluzione finale.

Si pensi che i primi Fab Lab, laboratori di fabbricazione digitale (digital Fabrication Laboratory) sono nati in zone rurali e in Paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di offrire strumenti di fabbricazione a basso costo e facili da utilizzare, per risolvere criticità concrete della popolazione e realizzare progetti di innovazione “dal basso”. Nel 2004, Gershenfeld, con il supporto della National Science Foundation, ha creato un Fab Lab in Ghana, in Africa, là dove le comunità avevano bisogno di tecnologie, ma anche di oggetti, di suppellettili e di conoscenze per fabbricarli autonomamente. La tecnologia diventa dunque un modo per rispondere immediatamente a un bisogno di conoscenza, di riscatto sociale, più che di oggetti. Ciò che i Fab Lab fanno è portare sul territorio le conoscenze necessarie per utilizzare le macchine che si usano per creare oggetti; trasportano dati e competenze, più che merci e cose. Dal 2004 ad oggi i Fab Lab si sono diffusi in tutto il mondo e sono collegati in rete: ognuno dei nodi della rete ha una sua declinazione particolare proprio perché ascolta le necessità della comunità in cui è collocato. In pratica ogni Fab Lab pur essendo dotato delle stesse attrezzature che tutti i Fab Lab hanno, sviluppa progetti che sono nella sostanza molto diversi tra loro perché caratterizzati a livello locale.

Attualmente la rete conta più di 2000 laboratori, in più di 120 paesi nel mondo (fonte Fab Foundation). I Fab Lab rappresentano degli avamposti in ascolto delle comunità e a servizio delle comunità, per progettare insieme delle soluzioni a problemi concreti in grado di migliorare la qualità di vita, e per formare le persone a produrre in autonomia ciò di cui hanno bisogno.

Il successo della fabbricazione digitale, e quindi la diffusione dei Fab Lab, deriva dalla possibilità di creare artefatti fisici e digitali con tecniche additive (come la stampa 3D) e sottrattive (come il taglio laser), e dalla possibilità di produrre oggetti e nuove tecnologie in modo autonomo ed in ascolto dei bisogni delle comunità.

A supporto dell’autonomia e delle iniziative bottom-up di innovazione, i Fab Lab condividono e mettono in rete non solo gli strumenti, le conoscenze e le competenze, ma anche idee e progetti open source che possono essere replicati e adattati ad altri contesti.

Uno dei progetti più sfidanti e su larga scala attualmente in corso, che mira allo sviluppo sostenibile e circolare dal basso delle comunità, è Fab City (Fab City Global Initiative, 2018), una rete di 38 città collegate in tutto il mondo che hanno programmato di passare ad un’economia completamente circolare entro il 2054, abbandonando quindi il modello cosiddetto product-in/trash-out — ovvero quello che facciamo adesso, compriamo e buttiamo via —, ad un modello data-in-data-out, per cui ciò che viene trasferito sono dati e conoscenze, che consentono la produzione a livello locale grazie al fatto che i Fab Lab possiedono le stesse tecnologie e macchinari di fabbricazione. Il modello che propone Fab City è molto interessante: una delle città hub più avanzate di questo network è Barcellona perché ha una sua sottorete di Fab Lab, quindi ciò che viene progettato in un nodo della rete può essere riprodotto in qualsiasi parte del mondo.

2. Dal tecnocentrismo al co-design

I Fab Lab sono spazi di progettualità collaborativa con enti di ricerca, aziende, associazioni del terzo settore e cittadini, che partono da bisogni specifici, piccole e grandi sfide di progettazione che richiedono un approccio all’innovazione partecipata, etica e sostenibile.

Tuttavia, questo concetto di partecipazione, ovvero il fatto che in teoria chiunque può andare, collaborare, aiutare, insegnare, se ha le conoscenze, in un Fab Lab può estrinsecarsi in vari modi. Alcuni Fab Lab sono aperti a chiunque abbia un interesse specifico nel “making”, oppure perché vuole produrre in autonomia qualcosa di cui ha bisogno. Questa connotazione di cultura “aperta” è una caratteristica tipica della filosofia Fab Lab ma non porta necessariamente ad avere una cultura del progetto, da designer, che significa cercare di definire un problema, comprenderlo a fondo, empatizzare con i bisogni della persona con la quale o per la quale si progetta. Molti Fab Lab hanno una visione ancora tecnocentrica delle attività, per cui si va in laboratorio per il piacere di usare le tecnologie, per il piacere di fare le cose, come farebbe un artigiano, o per passare il tempo. Questa modalità del fare per il piacere personale coesiste con un altro modello di progettazione che è quello del co-design, e cioè un processo di co-creazione, prototipazione, trasformazione che va molto al di là della semplice partecipazione. Nel co-design, la generazione di conoscenza e la prototipazione degli artefatti avvengono con il coinvolgimento attivo delle persone che sono destinatarie delle soluzioni progettuali. Fare co-design vuol dire innanzitutto comprendere le esigenze, i punti di vista, i significati e i valori culturali dei diversi attori coinvolti; vuol dire definire insieme i problemi da affrontare e stabilire obiettivi condivisi; vuol dire stimolare i processi di ideazione creativa e dare forma alle idee attraverso i prototipi, che poi vengono testati e migliorati in modo iterativo e incrementale.

Questo è il modello adottato dal Santa Chiara Fab Lab, nato nel 2016 come progetto strategico dell’Università di Siena per perseguire tre macro obiettivi: la ricerca scientifica, la formazione per le competenze digitali, e la Terza Missione per il dialogo e la collaborazione con imprese, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni non profit e comunità locali per lo sviluppo di progetti di ricerca, attività di formazione e trasferimento tecnologico.

Il Santa Chiara Fab Lab si avvale di un team multidisciplinare dove collaborano designer, esperti di comunicazione, informatici, ingegneri, psicologi che hanno sviluppato specifiche competenze nel co-design.

Uno dei progetti più rilevanti sviluppati negli ultimi anni ha coinvolto la comunità locale dei sordi di Siena che ha una storia importante ed una vita culturale molto attiva. Il team del Fab Lab è stato in costante ascolto di questa comunità, organizzando workshop per progettare degli ausili che fossero utili ai sordi per orientarsi in un mondo che è fatto di sonorità e di tecnologie che impiegano suoni, escludendo così i sordi dalla possibilità di usufruire di molti servizi digitali. Nel processo di co-progettazione sono emerse le storie e le paure dei sordi che, per citare solo alcuni esempi, non prendono volentieri l’ascensore se l’unico modo di segnalare un’emergenza è un pulsante che ti chiede di parlare con qualcuno, o che sono in tensione sui treni perché hanno timore di non accorgersi di avvisi sonori su ritardi o cambi di treni in coincidenza.

Il lavoro di co-design è consistito nel cercare di empatizzare con queste persone, nell’avvicinarsi alla loro comunità con l’atteggiamento di chi impara. Questa attività di ascolto ha rivelato una serie di bisogni delle persone sorde che vanno da esigenze funzionali come il poter essere consapevoli di suoni significativi (ad es. il pianto di un neonato, il proprio cane che abbaia, il campanello di casa, essere chiamati per nome, ecc.); il poter ricevere notifiche pubbliche (ad es. ritardo del treno); la sicurezza in situazioni di pericolo o emergenza (ad es. allarmi, annunci di sicurezza in spazi pubblici, clacson dell’auto ecc.); fino ad esigenze più personali come la possibilità di esprimere il proprio stile nell’accessoriare il corpo; l’essere curiosi rispetto alle qualità dei suoni e avere la possibilità di sperimentarle attraverso altri sensi come la vista o il tatto.

E’ inoltre emerso che attualmente il design di ausili acustici è incentrato sugli aspetti funzionali dell’udire e sull’idea di sviluppare soluzioni che possano sopperire alla limitazione percettiva. Questo approccio trascura altri aspetti dell’esperienza, quali l’estetica degli ausili e le dimensioni psicologico-sociali che sono causa di disagio e stigmatizzazione. Questo modo di affrontare la sordità si ispira al modello medico che concepisce la disabilità come un deficit (una mancanza, una perdita di abilità) che deve essere colmato. Il focus di questo modello è sulle abilità dell’individuo e sugli aspetti biomedici del funzionamento individuale. Il design di apparecchi acustici e impianti cocleari tende a trascurare fattori fondamentali nel determinare la loro adozione o rifiuto, quali la dimensione estetica, lo stile personale che ognuno ha nell’abbigliare il proprio corpo, le preferenze di genere, il significato che attribuiamo al vestire, lo stigma sociale associato con l’uso di protesi e ausili medicali.

A partire da questi bisogni, è stata avviata un’intensa attività di co-design in cui funzionalità, estetica e componenti esperienziali sono integrate nella creazione di tecnologie indossabili per un futuro etico e sostenibile a supporto delle persone sorde (Marti et al., 2018; Marti & Recupero, 2019; Marti & Recupero, 2020).

Il progetto è stato realizzato da un team multidisciplinare coinvolgendo un gruppo di persone sorde di diverse età e background, interpreti di Lingua dei Segni Italiana, designer e tecnologi, l’associazione Mason Perkins Deafness Fund Onlus e l’azienda Technology for All (T4All).

Il processo di co-design ha portato allo sviluppo di un sistema modulare di gioielli interattivi (collane, bracciali, spille) che riconoscono alcuni suoni ambientali e li trasformano in stimoli visivi (luci, cambiamenti di forma) e tattili (vibrazioni) (Fig.1). Un’ app integra il sistema dei gioielli e permette di registrare suoni di interesse (es. il campanello di casa, allarmi, la voce di chi ci chiama per nome), di riconoscerli e di notificarli ogni volta che vengono riconosciuti nell’ambiente.

I gioielli sono stati interamente realizzati al Fab Lab, impiegando le tecnologie della fabbricazione digitale come stampa 3D, taglio laser, sviluppo e integrazione delle componenti elettroniche (Fig.2), mentre lo sviluppo dell’app è realizzato da T4All, una start up partner del progetto.

Fig. 1: prototipo di una collana smart.
Fig. 2: componenti elettroniche presenti all’interno della collana.

Il progetto ha avuto un notevole successo proprio per la sua capacità di coinvolgere i portatori di interesse nel progetto di ideazione e realizzazione delle soluzioni, come ripreso da un articolo pubblicato recentemente da Financial Times (2020).

Tra le attività del Santa Chiara Fab Lab, il tema dell’accessibilità si affianca a quello della salute.

SuperPowerMe è un altro progetto di co-design realizzato dal Fab Lab in collaborazione con ortodontisti, pazienti e famiglie, con l’obiettivo di realizzare una maschera facciale personalizzata per il trattamento della malocclusione di III Classe nei bambini.

Il progetto ha evidenziato una serie di problemi derivanti dall’uso delle maschere facciali attualmente in commercio, che limitano la collaborazione dei pazienti e di conseguenza compromettono il successo della terapia. Le maschere risultano poco ergonomiche perché i bambini lamentano problemi relativi all’ingombro e all’instabilità, e si manifestano spesso irritazioni cutanee e decubiti sulla fronte e sul mento. Le maschere hanno un’estetica da dispositivo medico e i bambini provano vergogna e disagio ad indossarle.

Come per i gioielli smart, anche in questo caso la progettazione ha tenuto conto non solo degli aspetti funzionali della terapia ma anche di quelli più esperienziali legati all’uso del dispositivo.

Il progetto ha trasformato in maniera creativa la terapia agendo su diversi livelli: a) producendo modelli 3D di mascherine personalizzate sull’anatomia del volto del bambino, stampati successivamente  con una stampante 3D utilizzando materiali biocompatibili, per massimizzare il comfort e ridurre le irritazioni; b) la personalizzazione estetica del dispositivo con decorazioni in tessuto per trasformarla in una maschera da supereroe; c) la sensorizzazione della maschera per il monitoraggio della terapia; d) il collegamento della maschera ad un videogioco in cui 4 supereroi virtuali collaborano con il supereroe bambino per superare le sfide di gioco, con l’obiettivo di migliorare l’aderenza alla terapia.

La maschera personalizzata e sensorizzata è stata sviluppata grazie ad un processo iterativo e incrementale, con diversi prototipi (Fig. 3) che sono stati creati e testati coinvolgendo gli ortodontisti, i piccoli pazienti e i loro familiari. La maschera di SuperPowerMe è attualmente in fase di sperimentazione clinica presso l’ospedale Careggi di Firenze.

Fig. 3: Maschera di Petit commerciale (sinistra) e vari prototipi creati durante il progetto (destra).

3. Formazione delle competenze digitali

La formazione è la seconda missione che il Santa Chiara Fab Lab persegue: oltre al supporto alla didattica universitaria attraverso tirocini formativi e progetti di tesi di laurea, il Fab Lab offre corsi di formazione destinati a studenti e professionisti, incentrati sui metodi e gli strumenti della fabbricazione digitale.

Ciò permette di integrare la formazione curriculare con le competenze del XXI secolo, 21st century skills (Ananiadou & Claro, 2009; UNESCO, 2016), richieste dal mercato del lavoro che è in continua evoluzione: non solo competenze tecniche e altamente specialistiche, ma anche capacità di problem solving, di gestione del progetto e dei tempi di realizzazione, nonché conoscenze sulla protezione della proprietà intellettuale.

In linea con l’obiettivo di rendere le tecnologie e il processo di produzione accessibili a tutti, ogni anno il Santa Chiara Fab Lab insieme ad altri 70/80 Fab Lab in tutto il mondo partecipa alla Fab Academy: un corso intensivo di 6 mesi sulla fabbricazione digitale diretto dal Prof. Neil Gershenfeld del Center of Bits and Atoms (Massachusetts Institute of Technology, Boston, USA). Fab Academy è un’esperienza di apprendimento pratico, hands-on, in cui gli studenti imparano diverse tecniche per la prototipazione rapida pianificando ed eseguendo un nuovo progetto ogni settimana, fino a realizzare a fine corso un vero e proprio portfolio personale.

Insieme al portfolio personale, gli studenti sviluppano un progetto finale in cui applicano le competenze acquisite per realizzare un prodotto o un servizio in grado di rispondere a dei bisogni concreti. Durante Fab Academy, gli studenti del Santa Chiara Fab Lab si sono confrontati con sfide di design in diversi ambiti. Citiamo di seguito alcuni esempi:

  • sostenibilità ed economia circolare, ad esempio per sperimentare il riuso di materiali organici di scarto (es. la vinaccia) per creare bioplastiche con cui prototipare oggetti di uso quotidiano, oppure per progettare un dispenser intelligente per l’acquisto di prodotti alimentari secchi (es. legumi, cereali) finalizzato a ridurre l’utilizzo di plastiche e packaging monouso;
  • patrimonio culturale accessibile, per prototipare un sistema di orientamento indoor per persone cieche e ipovedenti, oppure una riproduzione multisensoriale (con stimoli tattili, visivi, uditivi, olfattivi) di un’opera pittorica per offrire un’esperienza inclusiva a persone con diversi bisogni.

I progetti finali realizzati dagli studenti sono rilasciati su licenza Creative Commons, documentati e aperti in modo tale da poter essere adattati, migliorati e applicati da altri laboratori in altri contesti, nell’ottica dell’innovazione open e distribuita.

4. Terza Missione

Il terzo obiettivo che il Santa Chiara Fab Lab persegue include il trasferimento tecnologico di conoscenze e nuove pratiche, la ricerca per conto terzi e i rapporti di scambio e sviluppo reciproco tra università e realtà produttive. A tal fine, il Fab Lab si propone come uno spazio aperto, che offre strumenti e competenze multidisciplinari, in cui attivare processi di collaborazione e scambio con diversi stakeholder.

Riportiamo di seguito alcune iniziative nel settore dei beni culturali.

4.1 Riproduzione di un’opera scultorea

Il progetto è stato realizzato in collaborazione con l’Opera della Metropolitana di Siena e nasce dalla necessità di conservare e allo stesso tempo di esporre un’opera scultorea che secondo la storica dell’arte Valentina Manganaro potrebbe essere attribuibile a Nicola Pisano (1223 – 1281), scultore e architetto italiano tra i principali maestri della scultura gotica a livello europeo.

L’opera scultorea in marmo consiste in un volto femminile coronato da una fascia decorata da piccole losanghe che fa intravedere una corona di alloro, sotto la quale fuoriescono i capelli raccolti da un nastro. La scultura era collocata sulla facciata meridionale del Duomo di Siena e con il passare dei secoli gli agenti atmosferici hanno prodotto un serio deterioramento. Per questo vi era la necessità di conservare la scultura negli spazi museali e di sostituirla sulla facciata del Duomo con una sua copia.

Il Fab Lab ha riprodotto una copia fedele all’originale: con un processo di fotogrammetria e scansione 3D (Fig. 4), il modello della scultura è stato acquisito e in seguito stampato in 3D (Fig. 5). Ciò ha richiesto uno studio sui materiali per poter scegliere quello più adatto in termini di resistenza agli agenti atmosferici. La copia è stata poi sottoposta ad un processo di post-produzione svolto dai restauratori, per riprodurre la colorazione dell’originale (Fig. 6).

Fig. 4: processo di scansione 3D con scanner ottico.
Fig. 5: scultura originale (sinistra) e sua riproduzione 3D prima della post-produzione (destra).
Fig. 6: scultura originale (destra) e sua riproduzione 3D dopo la post-produzione (sinistra).

Oltre alla funzione di conservazione del patrimonio, la stampa 3D nell’ambito dei beni culturali è sempre più diffusa per riprodurre copie fedeli degli artefatti per offrire un’esperienza tattile che può integrare o sostituire l’esperienza visiva dell’opera d’arte. L’accessibilità e il basso costo degli strumenti di fabbricazione digitale permettono di utilizzare la fabbricazione digitale anche in percorsi didattici per le scuole primarie e secondarie. È questo il caso del progetto realizzato dal Liceo Scientifico Cavour di Roma, che ha sperimentato le potenzialità didattiche di un Fab Lab scolastico per creare dei kit tattili per i musei (Carlini & d’Agostino, 2020).

4.2 Riproduzione di uno scavo archeologico

Questo progetto è realizzato al Santa Chiara Lab su richiesta di un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena, in occasione dell’inaugurazione della mostra multimediale “MedIT 98-18. Venti anni di archeologia italo-marocchina” (Il Messaggero, 2018).

A partire dal modello 3D del sito archeologico di Zilil nel Nord del Marocco, che è stato acquisito tramite fotogrammetria aerea, è stata realizzata una riproduzione in scala del sito: il modello digitale è stato fresato su blocchi di polistirene espanso, con la rifinitura di alcuni dettagli in stucco. La superficie è stata poi trattata con vernice acrilica per darle una colorazione uniforme e più adatta alle operazioni di video mapping a cui il modello è stato sottoposto durante l’inaugurazione della mostra.

In questo modo, la riproduzione 3D dello scavo diventa la superficie sulla quale proiettare immagini digitali per offrire allo spettatore un’esperienza di realtà aumentata e per far rivivere l’antico splendore della colonia romano-berbera.

Queste tecnologie svolgono quindi una duplice funzione: sono di supporto agli studi archeologici, per analizzare e pianificare i futuri scavi, e permettono di valorizzare il patrimonio offrendo nuove modalità di fruizione.

5. Reti di Fab Lab e comunità distribuite

Il crescente movimento dei maker e la diffusione dei Fab Lab in tutto il mondo ha portato alla creazione di reti, iniziative globali e comunità distribuite che si sono riunite intorno ad obiettivi ambiziosi e condivisi.

L’Italia è uno dei primi Paesi al mondo per numero di Fab Lab e makerspace con oltre 100 laboratori distribuiti sul territorio nazionale.

Nel 2020 è nata la rete U-FAB che coinvolge i Fab Lab e makerspace universitari italiani, che si caratterizzano per il fatto di operare all’interno di enti pubblici votati alla didattica, alla ricerca scientifica e alla Terza missione. La rete U-FAB nasce proprio per sviluppare le specificità di questi laboratori, per riconoscere il loro valore scientifico, culturale e sociale e per promuovere le loro attività sperimentali e progettuali presso le imprese e le organizzazioni che si occupano di innovazione.

La rete consta attualmente di 10 Fab Lab universitari, coordinati da Polifactory (Politecnico di Milano) e Santa Chiara Fab Lab (Università di Siena) e include: Sapienza Design Factory (Università di Roma La Sapienza), FabLab Poliba (Politecnico di Bari), BITZ (Libera Università di Bolzano), Saadlab (Università di Camerino), Fab Lab dell’Università di Genova, AlmaLabor (Università di Bologna), Fab Lab dell’Università di Trento, Fab Lab dell’Università Federico II di Napoli. La rete è aperta alla collaborazione di tutti i Fab Lab e maker spaces universitari italiani.

La rete U-FAB intende studiare l’evoluzione dei Fablab e dei makerspace universitari e dei relativi modelli organizzativi ed ecosistemi locali, sviluppare forme di progettualità di rete che aggregano i laboratori attorno a sfide rilevanti di ricerca e didattica, stimolare una cultura della progettualità collaborativa e sperimentale in Italia coinvolgendo laboratori, imprese, cittadini, istituzioni e territori.

6. Conclusioni

Il movimento dei Fab Lab è nato per rendere le persone, indipendentemente dalle loro competenze, in grado di progettare e realizzare ciò di cui hanno bisogno: che sia la personalizzazione di un dispositivo medico, un kit per il riciclo, la riproduzione di un’opera d’arte o un accessorio indossabile, gli strumenti e le tecniche della fabbricazione digitale permettono di ideare e prototipare questi oggetti in autonomia e in condivisione. Questa autonomia è possibile grazie ad un repertorio condiviso, distribuito e aperto di conoscenze, informazioni, pratiche e spazi di collaborazione dei Fab Lab presenti in tutto il mondo.

L’esperienza del Santa Chiara Fab Lab testimonia che coinvolgere i portatori di interesse nel processo di progettazione e realizzazione delle soluzioni facilita non solo la produzione di soluzioni innovative ma anche l’emergere di bisogni non espressi. Questo ci ha portato a progettare gioielli per persone sorde Marti (Marti & Recupero, 2019), un telaio accessibile a persone con disabilità percettive e cognitive (Recupero et al., 2021), un videogioco per la terapia ortodontica nei bambini (Marti et al., 2021). La pratica della prototipazione rapida per definire lo spazio del problema e sperimentare soluzioni è un prezioso strumento in grado di abilitare creatività e serendipità, essenziali per ogni processo di innovazione, e di combinarli con il rigore dei metodi di sperimentazione e valutazione propri della disciplina del design.

Riconoscimenti

Il progetto Quietude è stato realizzato in collaborazione con Mason Perkins Deafness Fund Onlus, Technology for All srl, Siena Art Institute, University of Southern Denmark. Il progetto ha ricevuto parte del finanziamento dal Programma Horizon 2020 WEAR Sustain.

Il progetto SuperPowerMe è coperto da brevetto con numero di concessione 102018000002713; inventori: Prof. Cecilia Goracci, Prof. Patrizia Marti, Prof. Lorenzo Franchi, Ing. Matteo Sirizzotti, Prof. Alessandro Vichi. Il progetto ha ricevuto parte del finanziamento da Intesa Sanpaolo SpA e dal Programma POCARNO di MISE-Invitalia.

Gli autori ringraziano tutti gli studenti e i collaboratori che hanno contribuito alla realizzazione dei progetti.

Bibliografia

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Carlini, A., & d’Agostino, T. (2020). Kit tattili con la stampante 3D. IUL Research, 1(2), 118-132.

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Marti, P., Goracci, C., Lampus, F., & Franchi, L. (2020). 18. Children as Superheroes: Designing Playful 3D-Printed Facemasks for Maxillofacial Disorders. Ergonomia&Design, 198.

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Biografia degli autori

Patrizia Marti è Professore Associato del Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena. Insegna Interazione Uomo-Macchina, Interaction Design ed Experience Design in corsi di laurea triennale e magistrale, e in programmi di dottorato internazionale. Dirige il Santa Chiara Fab Lab e ha una lunga esperienza di ricerca nel design di tecnologie interattive in vari settori, dalla salute, agli allestimenti museali, e studia l’impatto sociale dell’uso di tali tecnologie.

Annamaria Recupero, PhD in Psicologia Sociale e Processi Educativi, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Sociali Politiche e Cognitive dell’Università di Siena. Si occupa di ricerca sui processi psico-sociali alla base dell’interazione con le tecnologie e di progettazione dell’User Experience applicando i metodi del design thinking. Collabora con il Santa Chiara Fab Lab in progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito del patrimonio culturale, della salute e dell’accessibilità.