Il tempo futuro della Cultura Digitale/The future tense of the Digital Culture.

Di Ernesto Santini, vicepresidente, Smart Buildings Alliance for Smart Cities Italia.

Abstract:
IT

L’avvento del mondo digitale come occasione per rilanciare il concetto di cultura come progettualità e dovere sociale.

EN
The advent of the digital world as an opportunity to relaunch the concept of culture as planning and social duty.

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Il termine ‘cultura’ è probabilmente uno dei meno facili da definire, proprio per il suo legame con l’evoluzione costante dell’essere umano. Il termine viene dal participio futuro del verbo colo, coltivare, ma anche agire o praticare, venerare. Per i Romani, dunque, era una pulsione attiva, qualcosa che, partendo dall’attitudine del singolo essere umano, aveva comunque il suo obiettivo nella realizzazione pratica e anche sacrale di qualcosa che si colloca nel futuro. Sono le cose che si devono, o si vogliono fare.

Ciò è lontano, quindi, dal concetto attuale prevalente di cultura, che riguarda invece le esperienze, le nozioni o le tradizioni accumulate come singolo o come gruppo sociale, e che pertanto è rivolto principalmente al passato. Oggi, pur usando il termine latino, abbiamo mediato invece da una mentalità più conservatrice come quella greca, attribuendo al termine cultura il significato di paideia, cioè educazione.

Altri significati del termine cultura si sono cumulati nel tempo. Per Antonio Gramsci, ad esempio, come ben spiega nei “Quaderni del carcere”, la cultura è uno strumento di lotta politica, con il quale le avanguardie esercitano la loro egemonia sulle masse, in contrapposizione alla cultura capitalista.

Per Theodor Adorno la cultura è sempre uno strumento di dominio, ma questa volta è essa stessa un prodotto specificatamente progettato per un consumo di massa, capace di generare altissimi profitti.

Quindi è un oggetto triviale che addirittura distoglie l’essere umano da una sua crescita morale e spirituale. Quanto questa definizione sia verosimile l’abbiamo ben presente tutti, senza bisogno di essere specialisti, dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, notoriamente monodirezionali, almeno fino all’avvento di internet.

Questa premessa serve a chiederci di quale cultura stiamo parlando, quando aggiungiamo l’aggettivo “digitale”. La domanda, come vedremo, è tutt’altro che banale.

Anche il termine “digitale” merita una precisazione. Per sé, significa un’aritmetica a valori discreti, la più comune delle quali è quella binaria, operata dai computer più diffusi. Nel gergo quotidiano, digitale viene invece usato come sinonimo di elettronico o tecnologico, con particolare riferimento al software o alle comunicazioni; quindi, nel seguito faremo riferimento a questa accezione. Per affermare che, genericamente parlando, siamo dei grandi ignoranti.

Nel medioevo un numero relativamente elevato di persone era in grado di leggere, come dimostra la mai cessata scrittura lapidaria pubblica, difatti nessuno scrive nel marmo se nessuno legge. E i testi da leggere erano disponibili per tutti. La scrittura era tutto un altro paio di maniche: essa richiedeva abilità specifiche, manualità, strumenti adeguati, come le penne da tagliare in modo opportuno, i raschietti; inchiostri da preparare accuratamente; pelli di pecora costosissime, spesso per un solo libro occorreva sacrificare un gregge di animali. Cose da specialisti.

Alla stessa stregua oggi tutti siamo in grado di usare i programmi software, le app, mentre relativamente in pochi sappiamo programmare. È pur vero che si possono usare i programmi in maniera creativa, ma ciò ha poco a che fare con la cultura digitale. Molti sanno adoperare il computer, ma pochi sono in grado di descriverne il funzionamento interno, e pochissimi sono in grado di progettarlo o di manipolarlo. L’analogia con il semi-analfabetismo del medioevo è evidente: se vogliamo che l’uomo sia agente del proprio futuro, dobbiamo recuperare la visione romana della cultura come determinazione e padronanza delle proprie azioni.

Quanto detto sembrerebbe portare a giustificare chi è a favore di una formazione tecnologica precoce, ma io non credo che sia un bene. Prima si forma, moralmente, intellettualmente e spiritualmente, l’essere umano, e poi si curano le sue nozioni di carattere tecnologico. La formazione classica non si chiama umanistica per nulla, ma perché forma per prima cosa l’uomo. Il tecnologo viene dopo. Un ingegnere romano, pur con quello che i Romani hanno fatto e inventato, non sarebbe stato considerato un cittadino colto e responsabile, se non istruito precedentemente nelle arti del trivio (retorica, grammatica e logica) e del quadrivio (geometria, aritmetica, musica e astronomia). Se non sai parlare e scrivere, se non sai far di conto e non sai qual è il tuo posto nell’universo, a che ti serve una cultura solamente digitale?

Per abilitare questa benedetta cultura digitale, sono però necessarie alcune condizioni di contorno di base, come una efficiente connessione digitale dell’individuo e del suo ambiente circostante, come la casa, senza la quale il singolo subisce una disparità di accesso e un divario di opportunità con gli altri.

Coloro che hanno accesso limitato o nessun accesso a una connessione digitale possono essere svantaggiati in termini di possibilità educative, professionali e di partecipazione sociale. L’obiettivo del Digital Compass Europeo è di garantire che tutti i cittadini europei abbiano accesso a connessioni ad alta velocità e a infrastrutture digitali affidabili, promuovendo l’inclusione digitale in tutta l’Unione Europea.

L’Italia è in spaventoso ritardo rispetto agli obiettivi di collegare tutte le case e i cittadini almeno a 1Gigabit entro il 2030, e avere la connessione wireless 5G estesa a tutti. La legge 164 del 2014, in vigore dal 1° luglio 2015, raccolta poi nel Testo Unico dell’edilizia all’articolo 135bis, impone in tutti i progetti nuovi, sia di edifici nuovi che ristrutturati, l’installazione di un impianto in fibra ottica passiva multiservizio BUL, a disposizione sia per i servizi attuali, ad esempio il controllo dell’energia o la sicurezza, sia per quelli ancora da sviluppare o ideare a favore del cittadino e della società. Tale legge viene ampiamente disattesa, nell’indifferenza generale o per interessi di parte, condannando l’Italia all’arretratezza digitale e a posizioni subalterne e non competitive in ambito europeo e globale.

La cultura digitale non può trovare il suo terreno di sviluppo che nella legalità e nell’investimento nelle migliori opportunità, anche tecnologiche, che un Paese civile può offrire ai propri cittadini.


Ernesto Santini, Ingegnere, esperto di domotica ed elettronica per l’installazione.

Nato nel 1955, si è diplomato presso il liceo classico Carlo Alberto di Novara e si è laureato in ingegneria elettronica presso il politecnico di Milano. Ha lavorato per Honeywell Information Systems a Pregnana Milanese e, dal 1990, per Bticino. Ha costituito il polo elettronico del gruppo presso lo stabilimento di Erba, diventando responsabile dello sviluppo prodotti, della produzione e quindi dell’intero sito. Ha ideato e sviluppato numerose innovazioni dell’installazione elettrica, tra cui il bus SCS e MyHome.

Nel 2007 è diventato responsabile dello sviluppo elettronico del gruppo Legrand, di cui Bticino fa parte, e quindi Direttore dell’Innovazione per l’intero Gruppo.

È inventore di più di 75 brevetti.

Ha partecipato a numerosi comitati normatori italiani e internazionali, tra cui il Cenelec TC205 WG2, ed è stato consigliere del KNX Italia. Ritiratosi da Legrand nell’ottobre 2019, è attualmente vicepresidente della Smart Buildings Alliance Italia e ambassador della Smart Buildings Alliance International