a cura di Alessandro Mauriello, ricercatore in Storia economica e sindacale presso la Fondazione Buozzi
su gentile concessione della piattaforma EuroEconomie
Attorno al dibattito delle idee su transizione ecologica e sostenibilità vi sono alcune domande più specifiche che ineriscono l’impatto di questi profondi cambiamenti di sistema sulle vite dei cittadini, e sul sistema produttivo. Premessa di tale mutamento sarà un cambio di paradigma delle culture di impresa, proiettate nel ripensare i propri modelli produttivi, i propri modelli di partecipazione, i sistemi organizzativi sempre più creativi e digitali. Imprese sempre più glocal, innestate nei tessuti produttivi che riscoprono la dimensione di luogo, e della comunità nella tradizione Olivettiana, strategia improntata alla dimensione locale e alla bellezza di fabbrica. Strumenti di questo processo attivo nel conflitto e nella crisi pandemica, sono gli archivi di impresa che custodiscono la memoria, il genius loci delle imprese che vogliono costruire il dna sostenibile per uno sviluppo economico, sociale e ambientale meno diseguale.
Ci introdurrà in questo viaggio attorno all’impresa 4.0 il presidente di Museimpresa, Antonio Calabrò, giornalista e saggista, vicepresidente dell’Unione Industriale di Torino, attualmente responsabile per gli Affari istituzionali di Pirelli, presso la stessa impresa è direttore della Fondazione.
AM
Gentile presidente, in esordio di questa breve intervista le domando cultura e sostenibilità saranno concetti per far ripartire davvero il sistema Italia, in Europa?
Prima di risponderle, mi consenta una digressione per inquadrare i due concetto forza, da lei richiamati.
Il nostro sistema di imprese, con le caratteristiche peculiari a secondo del territorio in cui si trovano e con i loro modelli produttivi, sono soggetti attivi della cultura del territorio e del locale.
Essi esprimono una cultura politecnica che si lega strettamente ai saperi umanistici con le conoscenze scientifiche, che poi è la nostra storia economia e sociale del Rinascimento, dell’Umanesimo, dell’Illuminismo milanese che si declina con il buon governo e la ragione di impresa, e nella tradizione napoletana nel lavoro di Antonio Genovesi dell’Economia civile.
Si guardi alle prime esperienze industriali del primo 800 e alla Civiltà delle Macchine del primo 900, in ultimo sempre nella direzione di una cultura di impresa comunitaria, la lezione di imprenditori illuminati come Olivetti, Pirelli. Imprese che divengono attori sociali, che guardano alla complessità del sistema mondo e cercano di abitarlo, protagoniste dello sviluppo sostenibile, della qualità dei prodotti, dell’artigianalità, dell’inclusione.
Un legame forte tra bellezza, letteratura, poesia, lavoro che diviene umanesimo industriale di relazioni non solo economiche, ma che indica un progetto e una identità che sono il valore aggiunto del nostro patrimonio industriale, come ci ha insegnato il prof. Carlo Cipolla con “fare cose belle che piacciono al mondo”, storico dell’economia tra i più autorevoli in Europa.
Un progetto culturale che ha indicato innovazione industriale e sociale anche al percorso di costruzione europea, in cui necessariamente un soggetto sociale ed economico come l’impresa deve innestarsi e vivere, orientato alla definizione degli obiettivi di sostenibilità di Agenda 2030, e a un nuovo modello di sviluppo.
Presidente, ci può esplicare che cosa è Museimpresa, e la sua mission?
MuseImpresa è una rete di archivi e musei di impresa nata da Assolombarda e Confindustria, scopo della stessa è quella di dare valore e diffondere la cultura delle imprese italiane, con il loro plus in termini di storia, di artigianalità, di originalità, di sapienza industriale, e di umanesimo industriale.
Crescono le adesioni istituzionali alla nostra Associazione, poiché le imprese sempre più vogliono dare contesto ai processi identitari, al nesso tra radici e futuro, tra memoria e innovazione.
Tale approccio ancor di più valido nella società dell’incertezza di oggi, come mostra il quadro internazionale con la crisi pandemica e la guerra in Ucraina.
Le imprese oggi vogliono lasciare effetto sociale responsabile sui territori ove operano contro la finanza speculativa, esse vogliono con il loro patrimonio valoriale ritornare all’economia reale, alla “morale del tornio”, all’innovazione sociale, ai cambiamenti organizzativi che debbono diventare creativi e partecipativi, nell’ottica della cooperazione con i vari stakeholder.
Presidente in molti suoi lavori, lei racconta questo rapporto tra cultura e impresa, può darci più ragguagli ?
A fianco alla mia attività in azienda ho sempre cercato di raccontare con “Orgoglio industriale “ del 2009, con “La morale del Tornio” del 2015, Impresa Riformista del 2019, “Oltre le fragilità” del 2020 e oggi con il mio ultimo libro “L’avvenire della Memoria” questo percorso di innovazione che trasforma il nostro sistema industriale, considerando la sostenibilità un asset di crescita.
Guardiamo ai report sulle imprese verdi che Symbola, con il suo presidente Ermete Realacci ogni anno stila e dimostra che l’orizzonte cui guardare è quello di un capitalismo inclusivo, attento a conciliare libertà economiche e giustizia sociale, nella cornice della democrazia liberale, tenendo presente che la centralità della cultura di impresa come sistema di valori in grado di legare produttività, inclusione sociale, competitività, e sostenibilità.
Come Fondazione Pirelli stiamo incontrando scuole, stiamo lavorando all’esperienza delle Fabbriche aperte, stimolando relazioni tra associazioni di imprese e giovani generazioni per descrivere questo spirito politecnico, con la dimensione culturale delle imprese come luogo di innovazione, conoscenza, poesia, esperienze formative ed educative.