Di Giulia Banfi, esperta Comunicazione PA Social e PA Digital Communication Specialist and Content Writer
Indice
1. Contesto sociale e sviluppo delle comunità sociali 2.0. 4
1.1 Dal contesto sociale 2.0 all’Intelligenza Artificiale. 9
2. La comunicazione delle organizzazioni pubbliche nell’Era della digitalizzazione. 13
2.1 Strumenti digitali per la comunicazione pubblica. 15
3. Intelligenza Artificiale Generativa: sfide e opportunità per le organizzazioni pubbliche. 20
3.1 ChatGPT come primo modello pubblico di AI generativa. 22
Quando pensiamo al progresso tecnologico che ha interessato e continua tuttora a interessare la società, visualizziamo nella nostra mente strumenti recenti come la stampa, la radio, la televisione, il telefono, il computer, Internet, l’intelligenza artificiale. Se andiamo ancora più indietro con gli anni possiamo ricordare il fuoco, la ruota, la scrittura, innovazioni che oggi diamo per scontate, ma che hanno profondamente cambiato l’esperienza quotidiana delle individualità e delle comunità. Un’esperienza caratterizzata da un’interazione costante all’interno di un contesto sociale che negli anni si è evoluto permettendo agli individui di interagire attraverso diverse modalità: in presenza, online, nel metaverso. L’interazione si è evoluta, integrando a quella face-to-face, ovvero non mediata da alcun mezzo tecnologico, un’interazione agevolata da mezzi di comunicazione tecnologici come il telefono, il computer, la televisione, la radio, fino ad arrivare agli spazi virtuali accessibili tramite avatar. Da reti sociali vissute in ambienti semplici, si è passati ad ambienti sociali altamente tecnologici e complessi che hanno richiesto l’acquisizione di nuove competenze da parte degli individui per comprendere gli strumenti tecnologici con cui vivere la propria quotidianità.
Le comunità hanno acquisito un nuovo modo di vivere la socialità: hanno conosciuto la nuova socialità virtuale, caratterizzata da un annullamento delle barriere spazio-temporali e da una conseguente modifica degli atteggiamenti e delle implicazioni sentimentali. Come afferma Giovanni Boccia Artieri:
Le virtualità del sociale mettono in rilievo il processo di generalizzazione in atto dei vissuti soggettivi. Processo che si vincola alla contingenza della deriva tecnologica producendo nella comunicazione nuove possibilità combinatorie, nuove occasioni evolutive. È in tal quadro che il legame sociale, tradizionalmente inteso, subisce modificazioni rilevanti venendo a caratterizzarsi per uno statuto di virtualità [Boccia Artieri, 1998][1].
La virtualizzazione dei rapporti umani, resa possibile dai nuovi strumenti tecnologici e dalle piattaforme accessibili tramite connessione Internet, da un lato ha reso più facili gli scambi comunicativi, riducendo il tempo di comunicazione e annullando completamente la distanza; dall’altro lato, però, è venuta meno l’autenticità dei rapporti umani coperta ora da una maschera. È ancora Boccia Artieri [1998] a sostenere nel suo studio che «la comunicazione perde insomma di spessore materiale, fisico, tipico di una comunicazione di vicinanza faccia a faccia […]». Perché, dunque, la comunicazione mediata risulta più fredda? Gli individui in assenza di compresenza e quindi di una relazione face-to-face, non condividono gli stessi indizi simbolici dati dalla condivisione di tutti e cinque i sensi (vista, udito, olfatto più importanti in una comunicazione e i secondari gusto e tatto), bensì sono limitati nella comprensione dell’interazione che potrebbe arrivare a produrre incomprensione e ambiguità [Thompson, 1995][2]. Il sociologo britannico, a tal proposito, riconosce con l’introduzione dei media un terzo modello di interazione che si differenzia sia dall’interazione faccia a faccia sia da quella mediata: è la “quasi-interazione mediata” tipica dei media di massa come giornali, televisione o radio. In questo terzo modello, Thompson afferma che quello che cambia sono in primo luogo i riceventi potenzialmente infiniti e il tipo di comunicazione che nei primi due casi può essere dialogica, mentre nel terzo è spesso sotto forma di monologo, quindi unidirezionale. Rimane, però, un’interazione poiché crea una determinata situazione sociale che coinvolge un produttore e un ricevente in uno scambio simbolico [Thompson, 1995]. Cambia, certamente, anche la concezione dello spazio come quella del tempo: nasce così il concetto di immediatezza che riduce il mondo ad un “villaggio globale”, termine introdotto da Marshall McLuhan [1964][3] per descrivere il grande cambiamento portato dai mezzi di comunicazione di massa che hanno annullato le barriere di tempo e spazio della comunicazione.
Contesto sociale e sviluppo delle comunità sociali 2.0
Il contesto sociale che si è sviluppato a partire dalla Prima Rivoluzione Industriale, con la nascita delle città industriali, fino allo sviluppo delle grandi metropoli, si è presentato come un terreno fertile per le nuove tecnologie digitali che hanno così offerto all’individuo nuove possibilità e nuovi stili di vita. Dal comunicare per via scritta si è passati ai messaggi istantanei attraverso, ad esempio, applicazioni di messaggistica come Whatsapp, grazie alle quali i messaggi e le informazioni viaggiano nella rete in tempo reale: non esiste più il tempo d’attesa, ma solo un’esperienza, come sottolinea Valeria Giordano [2013][4], che si esaurisce in uno choc capace di racchiudere tutto il significato:
La metropoli consente di conoscere attraverso un tempo legato all’immediatezza, alla sensazione che in un attimo sembra esaurirsi e che si ripete in incontri successivi e ravvicinati rinnovandosi eternamente. Baudelaire ha saputo descrivere – nel sonetto A un passante – l’unica possibilità che viene offerta all’abitante della grande città, quella di essere catturato dall’immagine di “una gamba statuaria”, di subire uno choc nel quale ha racchiuso tutto ciò che è consentito conoscere, l’improvvisa apparizione di una donna che passa e che forse non si rivedrà mai più, l’immagine di una possibilità che sfugge alla presa e che lascia intatto il desiderio impedendogli di essere consumato […] [Giordano, 2013].
Tra gli alti palazzi e il caos della città, l’individuo è secondario al contesto che rimane in prima linea per rumore e complessità: il tempo, la puntualità diventano la dimensione centrale del vivere urbano, tanto da far teorizzare a George Simmel [1903][5] un parallelo con la dimensione economica che influenzerebbe anche le relazioni e i “contenuti della vita”. Il processo di urbanizzazione e lo sviluppo tecnologico, con la conseguente digitalizzazione, hanno cambiato anche il modo di concepire il concetto di comunità distinto come nello studio di Ferdinand Tönnies da quello di società. Il sociologo tedesco distingue, infatti, la comunità (Gemeinschaft) dalla società (Gesellschaft): la prima caratterizzata da valori, tradizioni e ideali legati ad uno specifico territorio che accomunano gli individui, uniti da un senso di appartenenza. Differente è la seconda caratterizzata da una razionalità e da rapporti impersonali, simili a quelli di un contratto [Tönnies, 1887][6]. Con le nuove tecnologie alcuni sociologi introducono, però, un nuovo tipo di associazionismo che riconoscono nelle comunità virtuali. Tra questi Sherry Turkle che inizialmente riconosce un uso costruttivo del mezzo Internet da parte degli individui che si ritrovano online, ma in seguito ribalta la sua teoria affermando che l’uso del web e successivamente dei social network portano il soggetto a cambiare identità rimanendo solo, ma insieme nella comunità virtuale [Turkle, 2011][7].
La metafora del “villaggio globale” utilizzata da Marshall McLuhan per indicare la nuova rivoluzione portata dai mezzi di comunicazione è probabilmente non a caso quella del villaggio, un termine che richiama ad uno stile di vita opposto a quello moderno prodotto dai media. Nel villaggio le relazioni sono prevalentemente face-to-face e non mediate: la società è caratterizzata da un’economia agricola e il livello di urbanizzazione non è sviluppato, così come il livello tecnologico. Con l’introduzione dei new media e lo sviluppo urbano, i piccoli villaggi sono andati diminuendo rispetto alle città industriali, nelle quali si sono sviluppati i grandi spazi pubblici che vedono transitare solo una folla confusa. Marc Augé li definisce “non luoghi” (1992) distinguendoli dai “luoghi” (spazi caldi e familiari) e dai “luoghi virtuali” (caratterizzati da relazioni promesse) e Zygmunt Bauman [2000][8] riprendendo l’idea del non-luogo afferma che
[…] I non luoghi accettano l’inevitabilità di una loro frequentazione (e a volte anche di un prolungato soggiorno) da parte di elementi estranei e, dunque, fanno tutto il possibile per rendere la propria presenza «meramente fisica», vale a dire del tutto irrilevante da un punto di vista sociale; cancellare, azzerare, rendere nulle le soggettività idiosincratiche dei loro «passeggeri» [Bauman, 2000].
I mezzi di comunicazione, però, paradossalmente hanno riportato gli individui a vivere l’esperienza del villaggio, ma con nuove dinamiche: si ha, infatti, la possibilità di sentire una persona lontana, come se vivesse nella casa vicina, ma non attraverso una comunicazione faccia a faccia, bensì mediata dal mezzo. Avviene, così, la prima esperienza del passaggio dal reale a quel mondo mediato che richiede un impegno diverso al soggetto: dietro lo schermo è possibile narrare un’identità diversa, come nel 1993 rappresentava Peter Steiner con la vignetta pubblicata sul The New Yorker “On the Internet, nobody knows you’re a dog”.
Differente è, invece, l’interazione face-to-face che richiede un’autenticità all’individuo: un impegno in prima persona che avviene in diretta, come la prima a teatro, dove non c’è possibilità di errore, poiché questo costerebbe caro all’individuo. Ancora Sherry Turkle nel TED2 del 2012 racconta:
Quando chiedo alla gente: “Cos’ha di sbagliato fare una conversazione?” la gente dice: “Ora le dico cosa c’è di sbagliato in una conversazione. È in tempo reale e non puoi controllare quello che verrà detto.” Ecco il succo. Messaggiare, mandare e-mail, postare, tutte queste cose ci consentono di presentarci come vogliamo essere. Possiamo modificare, e ciò significa che possiamo cancellare, e significa che possiamo ritoccare, il viso, la voce, la carne, il corpo — non troppo, non troppo poco, al punto giusto [Turkle, 2012][9]
La differenza che si viene a determinare richiama la distinzione tra “ribalta” e “retroscena” teorizzata da Erving Goffman [1959][10], per la quale l’individuo assume un atteggiamento più formale al momento della ribalta e, al contrario, informale nel retroscena. Ad aggiungere un’integrazione a tale teoria è lo statunitense Joshua Meyrowitz [1985][11] che non si sofferma solo sulla situazione definita da Goffman, bensì afferma che i nuovi mezzi di comunicazione portano la società “Oltre il senso del luogo”, annullato automaticamente proprio dai media che permettono all’individuo di vivere esperienze anche senza la sua presenza fisica. Quello che cambia, afferma Meyrowitz [1985], non è solo l’accesso ad un luogo, bensì le caratteristiche dei luoghi stessi, che una volta integrati con i media elettronici rivoluzionano ruoli, attività specifiche, codici (come ad esempio quello dell’abbigliamento). Con la crescente urbanizzazione e modernizzazione la società si è avviata verso un futuro sempre più tecnologico e intelligente che ha riguardato tutta la società globale, sebbene a vari livelli di realizzazione. Il superamento dei confini e la conseguente conquista di uno spazio più ampio con le città post-industriali hanno offerto nuove opportunità all’individuo che può ora vagare nei grandi spazi urbani globali. Ma la complessità e gli eccessivi stimoli che la metropoli propone portano l’individuo a rimanere immobile di fronte ad un contesto che consente solo un tipo di razionalità abbandonandosi completamente alla sfera emotiva. A descrivere questo atteggiamento è Simmel che racchiude tutto in un unico termine, blasé:
Forse non esiste alcun fenomeno psichico così irriducibilmente riservato alla metropoli come l’essere blasé. Innanzitutto, questo carattere è conseguenza di quella rapida successione e di quella fitta concentrazione di stimoli nervosi contradditori, dai quali ci è sembrato derivare anche l’aumento dell’intellettualismo metropolitano […] Così come la smoderatezza nei piaceri rende blasé perché sollecita costantemente i nervi a reazioni così forti che questi alla fine smettono di reagire […] [Simmel, 1903, cap. 1].
Non solo la rivoluzione spaziale è, però, quella determinante per un cambiamento quasi radicale degli stili di vita del soggetto, ma anche la rivoluzione tecnologica che a partire dalla fine degli Anni Novanta del Novecento, periodo in cui Internet si è diffuso al di fuori della comunità scientifica, ha registrato il boom che continua fino ad oggi: grazie alla tecnologia del “medium” agli individui è stato possibile superare i vincoli della comunicazione faccia a faccia (Riva, 2010). In continuità con il dibattito sui mezzi di comunicazione di massa, già avviato nella metà del XX secolo, anche il nuovo medium Internet continua a dividere gli esperti tra i benefici che il nuovo mezzo sta portando nella società, ad esempio nell’ambito lavorativo, e, al contrario, le conseguenze negative che ne sono derivate dalla sua diffusione, come dipendenze, cyberbullismo, FOMO, sfide virtuali che si trasformano in tragedie[12]. Distinzione che già Umberto Eco [1964][13] sottolineava descrivendo da un lato gli studiosi “apocalittici” che vedevano con i media di massa un futuro oscuro e di involuzione, dall’altro, invece, gli “integrati”, ovvero quel gruppo di studiosi che promuovevano il progresso come positivo per la società. L’ulteriore passo in avanti fatto dalla tecnologia con il passaggio ad un sistema di tipo digitale, che ha investito ogni campo della comunicazione, ha dato vita ad una trasformazione del modo di vivere non solo tra le mura domestiche, ma anche fuori. Dalle televisioni, ai telefoni, ai computer, insieme con un’altra importante integrazione, quella della tecnologia mobile, l’individuo è progressivamente passato ad un contatto continuo con gli strumenti tecnologici e con la società esterna. La televisione, prima del telefono cellulare, aveva suscitato polemiche per il modo invasivo con cui era entrata nelle case: Karl Popper [1994][14] la definì a tal proposito una “cattiva maestra” paragonandola a quella del Grande Fratello di George Orwell [1984] che non promuoveva più la civiltà e l’educazione. Ma dall’introduzione sul mercato del telefono mobile, che ha avuto il suo boom negli Anni Duemila, molti studi si sono concentrati sull’influenza di questo nuovo apparecchio sulla quotidianità degli individui. Se il televisore rimane ad oggi chiuso in casa, il nuovo smartphone, ma ancora prima il walkman, possono essere portati con sé ovunque si vada, avendo così la possibilità di un utilizzo continuo che va oltre il semplice tempo libero. Lo smartphone integrato della connessione Internet sviluppa, inoltre, un’ulteriore modalità di fare esperienza nel contesto urbano, ovvero quella di una persistente connessione che immerge l’individuo in una comunicazione continua con interlocutori e per contenuti potenzialmente infiniti. Il paradosso che si viene a determinare è quello di un individuo che attraverso l’overload di contenuti cerca di fuggire dall’isolamento reale che prova nel suo contesto di riferimento, sia che viva in un contesto urbano sia che abiti in uno rurale, ma che allo stesso tempo si rende conto di sentirsi ugualmente solo sulla rete [Mazzucchelli, 2014][15]. Se il soggetto flâneur descritto da Charles Baudelaire, ripreso negli scritti da Walter Benjamin [1982][16], camminava perso nelle vie della città senza curarsi degli stimoli e dei ritmi metropolitani, l’individuo del nuovo secolo cammina per le strade con la testa bassa sul cellulare, vivendo nel frattempo altre situazioni attraverso le chat e i social network, in un continuo sovraccarico di stimoli. Così si sviluppa la metropoli 2.0 iperconnessa.
Dal contesto sociale 2.0 all’intelligenza artificiale
Con l’avvento sulla scena urbana del web 2.0, termine coniato da Tim O’Reilly nel 2004, e dei social network, l’esperienza della città sembra cambiare: l’individuo, perso nel caos metropolitano, si ritrova attraverso un profilo sul social network come in una vetrina sul mondo. Lo stesso avviene per l’utente connesso in contesti non urbanizzati, che dopo aver conquistato l’accesso alle nuove tecnologie ricerca stimoli, assenti nel suo contesto di riferimento, sulle piattaforme social e più in generale sul web. La creazione di un proprio account e la personalizzazione del profilo con foto e descrizione di interessi personali proiettano l’individuo nello spazio non solo virtuale, ma anche globale, che certifica il passaggio da offline a online: dal retroscena alla ribalta [Goffman, 1956]. La partecipazione alla rete dei social network presuppone dunque un aggiornamento costante del proprio profilo che automaticamente sposta il soggetto da una condizione puramente locale, ovvero chiusa nei confini della vita reale. L’individuo, diventato utente, è portato a compiere quel processo di vetrinizzazione teorizzato da Vanni Codeluppi:
«Vetrinizzarsi» non è un semplice mostrarsi, che comporta la possibilità di trattenere qualcosa per sé, di difendere la propria dimensione interiore. L’individuo che si mette in vetrina si espone allo sguardo dell’altro e non può sottrarsi a tale sguardo, tutto dev’essere esposto e non è possibile lasciare nascosti sentimenti, emozioni o desideri. Va considerato, inoltre, che il modello di comunicazione che caratterizza la vetrina produce un effetto di vera e propria dipendenza psicologica. L’attenzione delle persone per ciò che viene messo in vetrina si consuma rapidamente ed è necessario iniettare dosi sempre più elevate di spettacolarità. Una volta avviata, dunque, la vetrinizzazione sembra trasformarsi inevitabilmente per chiunque in un obbligo sociale che non può essere evitato [Codeluppi, 2012][17].
L’arrivo nei primi anni del Duemila di YouTube, Facebook (il primo nel 2004 ad arrivare in ordine cronologico), Twitter, Instagram e simili si presenta come l’ennesima opportunità per il soggetto di cambiare la sua quotidianità oltre l’informazione, che ora circola in tempo reale. La vera novità che porta il web 2.0 è la possibilità per l’individuo di essere parte attiva del processo comunicativo, non semplicemente spegnendo lo smartphone se non si ha più voglia di utilizzarlo come si poteva fare con la televisione, ma creando contenuti – funzione prima riservata agli esperti. In aggiunta alla creazione e conseguente pubblicazione sul proprio profilo di foto, video e post, l’utente può entrare in rete e interagire con altri utenti, dando vita alla funzione sociale dei nuovi media che sarà al centro di ogni nuovo aggiornamento da qui in avanti. Come afferma Geert Lovink (2011, p.8) descrivendo proprio la storia del web 2.0 «Il “social” ha perso ogni potenziale energia misteriosa per scoppiare improvvisamente nelle strade e conquistare il potere.» Si innesca, dunque, una frenesia comunicativa che porta l’individuo al desiderio di continua iper-connessione, nonché allo stato di ansia da aggiornamento. Sempre Lovink, riprendendo le riflessioni di Franco Berardi, sottolinea a tal proposito:
Berardi sostiene che non viviamo nell’economia dell’attenzione, concetto basato sull’idea della scelta e preferito dalle vecchie generazioni di stampo sia liberal che conservatore. Come se non esistesse nessun’altra scelta che far parte di Facebook e Twitter e avere il telefono cellulare accesso 24 ore al giorno. Per la Generation X seguita ai baby boomers, cresciuta sotto il realismo capitalista, semplicemente le cose non stanno così. Berardi: «Il problema non è la tecnologia. Occorre farsene una ragione. L’elemento distruttivo è la combinazione tra lo stress da informazione e la competizione. Dobbiamo vincere, essere i primi. […]» [Lovink, 2011].
Con i social network sembrerebbe risolto il problema della solitudine del soggetto sia in una metropoli che non è fatta a sua misura che in contesti rurali dove le giovani generazioni si sentono isolate rispetto allo sviluppo tecnologico che caratterizza il contesto urbano. Se da un lato il caos metropolitano rende l’individuo un numero in una folla e i social network possono essere un’occasione per recuperare la sua personalità, dall’altro per le zone rurali possono essere un’opportunità per uscire dall’isolamento della vita bucolica. Ma alcuni studi rivelano che il soggetto, nonostante la continua socialità e gli scambi comunicativi sulle piattaforme, si sente sempre più solo poiché le relazioni che coltiva sul social network e nelle chat online non sono autentiche come quelle che vive al di fuori dello schermo. Inoltre, la continua connessione e i continui scambi comunicativi online non sono sinonimo di un’effettiva socialità intesa come tale nella realtà concreta, bensì un’apparente idea del non stare mai soli che produce, però, una frustrazione interna nell’individuo. A sintetizzare questa riflessione è stato il sociologo Zygmunt Bauman che in un’intervista rilasciata al magazine online OggiScienza[18] ha dichiarato:
Le nostre vite sono divise, spaccate, tra due universi: l’universo online e l’universo offline. E questi due universi sono mondi regolati e disciplinati da regole estremamente diverse. Trascorriamo la nostra vita a cercare di riconciliare le esigenze contraddittorie che caratterizzano questi due mondi. […] c’è una cosa che l’online può garantire e che invece l’offline non può fare: cioè garantire la sicurezza che non si è mai da soli. La solitudine, ovviamente, è un problema sentito a livello generalizzato. Noi tutti abbiamo paura di restare da soli. E nelle società moderne, che sono diventate sempre più individualizzate, il tempo che trascorriamo da soli è diventato esponenzialmente maggiore [Bauman, 2014].
Solitudine e interconnessione sono apparentemente due opposti che si intersecano più comunemente di quanto si possa pensare. A rivoluzionare l’esperienza sociale dell’individuo è arrivato, nella società civile, proprio il digitale e in questi ultimi anni l’intelligenza artificiale. Se come definisce Floridi [2022][19]: «il digitale non è semplicemente qualcosa che potenzia o aumenta una realtà, ma qualcosa che la trasforma radicalmente, perché crea nuovi ambienti che abitiamo e nuove forme di agire con cui interagiamo», dobbiamo iniziarci a porre l’interrogativo su quali spazi e dimensioni creerà o ha già creato l’intelligenza artificiale. Questo, al fine di analizzarli, comprenderli, sfruttarli per agevolare la quotidianità, prima che sia un’innovazione “calata dall’alto”, senza possibilità di inclusione.
Come si può, dunque, definire il contesto urbano alla luce delle radicali trasformazioni indotte dalla transizione digitale?
La comunicazione delle organizzazioni pubbliche nell’Era della digitalizzazione
Nel contesto sociale un ruolo fondamentale è affidato alle organizzazioni pubbliche e più nello specifico alle istituzioni e alla pubblica amministrazione. Il ruolo di riferimento che la PA ha nei confronti dei cittadini e delle tematiche di interesse pubblico che rappresenta è riassunto in quattro funzioni individuate dal sociologo Gregorio Arena [2004][20] nei suoi studi:
- Comunicazione di certezza (es. le certificazioni, le verbalizzazioni, le notificazioni, le pubblicazioni, le affissioni ad albi) ovvero quel tipo di comunicazione che permette all’ente di essere un punto di riferimento ufficiale per i cittadini per procedure amministrative, aggiornamenti, informazioni di servizio;
- Comunicazione di servizio (es. informazioni rivolte agli utenti sul funzionamento degli uffici, sulla normativa applicata, le prestazioni offerte) ovvero quel tipo di comunicazione che spiega i servizi offerti dall’ente;
- Comunicazione di innovazione (es. attività di ascolto dei cittadini) ovvero quel tipo di comunicazione rivolta al cittadino, utile per migliorare i servizi offerti;
- Comunicazione di cittadinanza, che mira a modificare i comportamenti dei soggetti a cui si rivolge per aumentare il senso di responsabilità e coltivare il principio di cittadinanza.
La comunicazione è diventata negli anni un elemento chiave per gli enti della pubblica amministrazione. Sono cambiati gli strumenti, il dialogo si è in parte spostato online e la PA si è avviata verso una lenta digitalizzazione delle procedure. Ad oggi, però, in molti casi strumenti come i social network site o i siti web sono ancora utilizzati dalle PA solo come una vetrina per la promozione di eventi e attività, ma il cittadino dall’altra parte dello schermo richiede una maggiore interazione e una maggiore efficacia dello scambio comunicativo. In un panorama internazionale che investe nell’innovazione, nella digitalizzazione e nella semplificazione dei processi pubblici, è quanto più necessario avviare ragionamenti sull’impatto della digitalizzazione nelle pratiche di Citizen engagement e sullo sviluppo di comunità sempre più digitali. La costruzione di una comunicazione di servizio digitale deve considerare le potenzialità di un’integrazione tra i nuovi media e quelli tradizionali per sviluppare un’innovazione quanto più inclusiva basata su una solida cultura digitale.
La generazione di nuovi diritti e doveri introdotti nella società a partire dalla nascita della Repubblica in avanti ha permesso al contesto sociale di evolversi attraverso una nuova considerazione dei cittadini. Termini come:
- Diritto di accesso
- Diritto di informazione
- Diritto di partecipazione
- Trasparenza amministrativa
Hanno permesso ai cittadini di acquisire maggior consapevolezza e di sentirsi parte di un processo amministrativo non più calato solo dall’alto. Il termine “comunicazione”, che presuppone anche a livello giuridico, l’esistenza di un rapporto tra due parti attive, trova un nuovo aggettivo volto a racchiudere le attività di informazione e comunicazione di interesse pubblico. Da qui lo sviluppo di una comunicazione pubblica convenuta nei primi studi [Faccioli, Rovinetti, Marsocci, 2000][21] come le «attività che ha ad oggetto il complesso di informazioni rilevanti per la convivenza e la corretta interazione tra gli appartenenti alla comunità statale». In questo macro-ambito gli studiosi individuano tre aree di riferimento in cui si delineano le attività di comunicazione pubblica:
- La comunicazione istituzionale
Utilizzata principalmente da enti pubblici come ministeri, comuni, regioni, aziende sanitarie e ospedaliere per comunicare attività svolte dall’ente e dal vertice; nuovi servizi e informazioni di interesse per i cittadini; informazioni di carattere emergenziale (come allerte meteo o calamità). Lo scopo di questa comunicazione è quella di fornire un servizio al cittadino e di trasmettere la legittimità dell’ente.
- La comunicazione politica
Utilizzata principalmente da partiti, leader, movimenti politici che cercano di coinvolgere il proprio elettorato su temi di interesse pubblico-politico, secondo valori e ideali specifici del partito. La comunicazione politica si differenzia dalla comunicazione istituzionale perché ha carattere più soggettivo e si rivolge ad uno specifico elettorato, con il principale scopo di ottenere consensi.
- La comunicazione sociale
Tipica delle organizzazioni no profit, associazioni, fondazioni volta alla risoluzione di problemi di interesse generale che richiedono l’attivazione di strutture, fondi e competenze per risolverli. Sono problemi di interesse generali ad esempio la tutela dell’ambiente, la sicurezza, la salute, l’istruzione.
Le tre aree per contenuti e scopi si differenziano tra di loro, ma in alcuni punti si ibridano rendendo difficile distinguerle in modo così netto [Lovari, Ducci, 2022][22].
Strumenti digitali per la comunicazione pubblica
Ogni organizzazione nelle sue attività di comunicazione si rivolge ad un target specifico, definendo degli obiettivi chiari prima di implementare le proprie strategie di comunicazione. Spesso l’obiettivo comunicativo si deduce, in una prima fase, dalla mission stessa dell’organizzazione, per poi declinarsi in tanti micro-obiettivi volti al raggiungimento del macro-obiettivo. Le istituzioni, in particolare, hanno un ruolo cruciale nella creazione e nel consolidamento di comunità coese, solidali e innovative. Questo ruolo si dovrebbe rispecchiare negli obiettivi comunicativi dell’ente, che in tal senso declina le sue attività di comunicazione al fine di mantenerlo vivo. Le istituzioni fungono, infatti, da pilastri su cui si basano non solo le leggi e i regolamenti, ma anche le norme sociali e i valori che definiscono una società. Quando il rapporto fiduciario tra istituzioni e cittadini è ben saldo, le istituzioni hanno la capacità di instillare un forte senso di identità, sottolineando ciò che i membri di una comunità hanno in comune piuttosto che le differenze. Attraverso politiche pubbliche, programmi educativi e iniziative culturali, esse possono promuovere l’interazione, la comprensione reciproca e sviluppare un sentito senso di appartenenza tra i cittadini e il loro territorio. Ad esempio, le scuole, come istituzioni educative, non sono solo luoghi di apprendimento, ma anche spazi dove i giovani di diverse origini possono condividere esperienze e crescere con una consapevolezza collettiva. Le istituzioni possono anche agire come mediatrici, facilitando il dialogo e la cooperazione tra gruppi potenzialmente in conflitto. Tuttavia, è essenziale che le istituzioni agiscano con integrità, trasparenza e in modo inclusivo, strutturando le proprie attività su basi solide come i diritti acquisiti nel tempo dalla nostra società: trasparenza, partecipazione, informazione, accessibilità. La loro efficacia dipende anche dalla capacità di ascolto e risposta alle esigenze di tutti i membri della comunità, che interagiscono con le istituzioni attraverso diversi canali e per differenti motivazioni. La capacità di feedback da parte delle istituzioni è ciò che principalmente influenza la percezione e le aspettative dei cittadini e ciò che più in generale struttura l’immagine esterna delle organizzazioni. L’etichetta di una “PA lente e burocratica” si è determinata nel tempo, trovando solide conferme nell’operato della PA e delle amministrazioni. Ciò ha portato conseguenze negative come l’allontanamento dei giovani dalle opportunità lavorative nella PA, la generazione di una sfiducia profonda da parte dei cittadini, la frammentazione della coscienza collettiva [Durkheim, 1983][23] e del senso di appartenenza.
La comunicazione gioca un ruolo fondamentale in questo processo di recupero della fiducia e di generazione di una rinnovata immagine delle organizzazioni pubbliche. Nel tempo, sono cambiati i formati, i linguaggi comunicativi hanno subito una frammentazione e i canali si sono moltiplicati. Questo ha richiesto uno sforzo organizzativo e di aggiornamento delle competenze alla PA per arrivare a «stare dove stanno i cittadini» [Di Costanzo, 2017][24]. In un’era in cui l’informazione è immediatamente accessibile e diffusa, è essenziale infatti che la PA comunichi in modo chiaro, trasparente e tempestivo. Questa trasparenza non solo informa i cittadini sulle decisioni, i processi e le azioni dell’ente pubblico, ma li fa anche sentire coinvolti e parte integrante delle decisioni che influenzano la loro vita quotidiana. Quando la comunicazione è efficace, può dissipare equivoci, prevenire disinformazione e contrastare sentimenti di alienazione o diffidenza. Al contrario, una comunicazione carente o distorta può alimentare sospetti e dare origine a percezioni negative o errate. Pertanto, la capacità della PA di stabilire canali di comunicazione aperti ed efficaci rappresenta un pilastro essenziale nella costruzione di una relazione solida e di lungo termine con i cittadini, basata sulla fiducia e sulla collaborazione. Quali sono, però, ad oggi gli strumenti a disposizione delle organizzazioni per sviluppare una comunicazione pubblica efficace?
Siti web, chat, social network sono i canali digitali che nel tempo si sono aggiunti ai media tradizionali (come stampa, televisioni e radio). Questo ha comportato un inevitabile aggiornamento delle competenze, una riorganizzazione delle strutture e l’adozione di un nuovo approccio dei team di comunicazione. Tra le principali conseguenze si è verificata la costruzione di un nuovo paradigma volto a non vedere più solo la pubblica amministrazione al centro delle comunicazioni, ma a rivolgere le comunicazioni anche verso tutti i cittadini e destinatari esterni alle PA. Un esempio determinante è stato il periodo di emergenza legato al virus Covid-19, in cui è risultato evidente a tutti l’aiuto concreto che il digitale ha dato per non interrompere le attività quotidiane. Servizi al cittadino, palestre, ristorazione, visite mediche, lezioni, riunioni, è stato improvvisamente reinventato tutto online, secondo diverse modalità che hanno visto l’uso di nuove applicazioni, dirette streaming, piattaforme di videoconferenze, social network e applicazioni di messaggistica istantanea. In particolare, nei primi mesi di lockdown, marzo-aprile 2020, il mondo si è trasformato in un «villaggio globale» [McLuhan, 1964] completamente iper-connesso. A confermarlo sono i dati dell’indagine Eurostat che ha rilevato un aumento nell’uso dei social network e più in generale di Internet, con «l’80% degli adulti nell’UE che nel 2020 utilizzava Internet quotidianamente». Non solo Internet è stato, però, il mezzo utilizzato per informarsi: secondo l’indagine Censis (2021)[25], tra le fonti più utilizzate dagli italiani troviamo i media tradizionali (stampa, televisione, radio) (37,9 mln); i siti Internet di fonti ufficiali (es. Ministero della Salute, Protezione Civile, Asl) (26 mln); e a seguire i social media (es. Facebook, Twitter, Instagram) (15 mln). Appare evidente come il quadro delineato non esclude i media tradizionali dal consumo mediale degli italiani, bensì sono i nuovi media a integrarsi proponendo una diversa fruizione dei contenuti. Proprio durante il periodo più frenetico della pandemia è sorta un’iniziale esigenza di contenere oltre al Covid-19 il «diluvio informativo» [Centorrino, 2020][26] che ha generato una vera e propria infodemia, così come definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 13° Rapporto sul “nuovo coronavirus”. Non solo le fake news legate a diverse teorie complottiste e negazioniste erano il centro del problema, ma l’emergenza a cui istituzioni ed enti sanitari hanno dovuto far fronte è stata proprio la gestione della comunicazione e dell’informazione verso il cittadino: una questione fino ad allora più volte rimandata. In assenza di un chiaro indirizzo di comunicazione congiunta tra gli enti pubblici, soprattutto nella prima fase di lockdown, ciò che si è verificato è stato un overload informativo caratterizzato da una disconnessione tra l’informazione giornalistica da un lato e la comunicazione di servizio [Arena, 2004] dall’altro. Dopo una prima falsa partenza comunicativa, che ha visto una personalizzazione delle dirette social con alcuni sindaci evidentemente poco preparati all’uso dello strumento [Legnante; Splendore, 2021][27]; comunicati stampa e Dpcm copiati e incollati sui profili social degli enti; notizie disgiunte e confuse rispetto alle informazioni ufficiali; si è optato per calmare i toni e rispondere alla necessità sollevata dai cittadini di comprendere la gravità della situazione attraverso numeri chiari e informazioni precise sulle regole da rispettare. Da questo momento in poi, sono iniziate ad emergere le buone pratiche di enti che alla pandemia erano già arrivati preparati con un team di comunicazione ben strutturato, un uso professionale degli strumenti digitali e uno scambio reciproco di competenze e consigli. È il caso del Ministero della Salute che ha adottato strumenti digitali come infografiche, dirette social, bollettini per divulgare in modo semplice informazioni di servizio utili al cittadino e smentire fake news. O il caso del Ministero dell’Istruzione che attraverso l’uso di card social ha trasmesso informazioni puntali agli studenti e alle loro famiglie. Semplificazione e chiarezza sono le parole chiave che hanno caratterizzato questa seconda fase in cui è stata «enfatizzata la centralità della comunicazione pubblica nei processi di riconnessione del tessuto sociale [Boccia Artieri, Marinelli 2018][28]». Nel momento del bisogno, seppur in alcuni casi con «un’altalenante dimestichezza» [Boccia Artieri, Marinelli 2018], la comunicazione pubblica digitale è stata fondamentale per non perdere la relazione con il cittadino, limitata dall’impossibilità di recarsi fisicamente agli sportelli di servizio, e per affrontare i momenti più delicati della pandemia.
Anche le chat, come Telegram, Whatsapp, Messenger hanno avuto un ruolo importamente. Chat che appartengono al più ampio campo di studio del Citizen Relationship Management. Le chat, a differenza dei social network, permettono infatti uno scambio one-to-one tra ente e cittadino, per richieste e un servizio di assistenza personalizzato. I vantaggi di questi strumenti sono:
- Digitalizzazione dell’assistenza: le chat one-to-one sono un ottimo servizio per il cittadino che in pochi click potrebbe risolvere una pratica, senza doversi recare necessariamente allo sportello fisico;
- Generazione di valore pubblico e fiducia: fornire un servizio di qualità, immediato e dettaglio al cittadino permette di combattere lo stereotipo dell’inefficienza della PA e riduce la distanza tra PA e cittadino.
- Semplificazione e riduzione della complessità: grazie ad un’assistenza one-to-one, una maggior comunicazione di servizio e un’elevata accessibilità.
L’obiettivo della chat one-to-one non è quello di fornire un semplice link di rimando al sito al cittadino, ma accompagnarlo nel percorso di risoluzione del suo bisogno (ad esempio richieste relative al rinnovo della carta d’identità, prenotazioni di visite mediche online, orari chiari di un evento culturale). Le stesse chat possono essere utilizzate anche per fornire un tipo di servizio broadcast, ovvero l’invio di una comunicazione da uno (l’ente) a molti (i cittadini). Questo tipo di servizio garantisce rapidità e predilige la logica mobile first[29]. È importante, in questa modalità, prevedere un’attenta strategia di comunicazione, per evitare allarmismi, soprattutto in situazioni di emergenza, e per evitare il sovraccarico informativo, con troppe notifiche non utili al cittadino, che attraverso questo servizio può solo leggere e non rispondere. Sempre le chat possono trasformarsi in community di discussione che incentivano il senso di appartenenza e confronto delle comunità sociali. Questa scelta richiede, però, un’attenta valutazione degli obiettivi dell’ente e la previsione della presenza di un moderatore, per non rischiare di generare solo confusione informativa attraverso la condivisione di informazioni inesatte, non approfondite o nel peggiore dei casi false e fuorvianti.
Intelligenza Artificiale Generativa: sfide e opportunità per le organizzazioni pubbliche
Abbiamo iniziato il 2023 parlando di intelligenza artificiale, un tema che da anni viene studiato, testato, applicato, e che solo all’inizio di quest’anno ha movimentato in modo concreto i pareri dell’opinione pubblica. Con l’accesso libero a ChatGPT[30], tra i modelli più famosi, le perplessità sulle implicazioni etiche e soprattutto le implicazioni occupazionali, si sono fatte sempre più consistenti. Il modello sviluppato da OpenAI ha dimostrato, infatti, di riuscire a interpretare il linguaggio naturale umano fornendo soluzioni potenzialmente rivoluzionare come creazione di contenuti, simulazione di conversazioni umane, elaborazione di piani formativi. Il tutto grazie alla sua tecnologia GPT (= Generative Pre-Trained Transformer) che sfrutta l’addestramento per apprendere e generare risposte sull’input fornito dall’utente. Il famoso sistema prompt-risposta. Le capacità di ChatGPT sono quelle che hanno aperto il dibattito sull’AI e hanno generato una prima fase di preoccupazione che ha portato l’opinione pubblica a porsi la domanda: l’intelligenza artificiale ci toglierà il lavoro? La curiosità è che probabilmente la domanda da fare è un’altra, più profonda, non così facile da risolvere con un aggiornamento delle competenze tecniche: l’intelligenza artificiale ci “ruberà” il pensiero? Per arrivare a dare una prima risposta a questa domanda, è però più utile capire che cosa può fare l’intelligenza artificiale ad oggi e cosa potrà fare in futuro, in particolare nel campo della pubblica amministrazione.
Sei sono i punti chiave su cui la PA può e potrà sfruttare l’AI:
- Velocizzare l’elaborazione dei dati
- Automatizzare azioni ripetitive
- Ridurre i tempi di attesa e di risposta
- Fare una manutenzione predittiva
- Migliorare i processi di comunicazione interna ed esterna
- Personalizzare i servizi e generare maggior fidelizzazione
Velocizzare l’elaborazione dei dati
Che cosa vuol dire velocizzare l’elaborazione dei dati? Pensiamo ad una pubblica amministrazione che opera nel servizio diretto al cittadino (es. un ente locale o un’azienda sanitaria). Con l’AI l’acquisizione dei dati come quelli anagrafici, l’elaborazione e l’incrocio tra questi in un archivio digitale, potrebbero diventare azioni molto più rapide ed efficaci, permettendo ai funzionari di investire il tempo sull’aumento della qualità del servizio stesso. Per far si che questa funzione diventi efficace, le PA devono ragionare su una sistemazione e produzione efficace dei testi e dei documenti già presenti negli archivi dell’ente, poiché sono questi che costituiranno il database di conoscenza che l’intelligenza artificiale generativa andrà ad elaborare. Senza una chiara base di conoscenza, l’AI generativa non sarà in grado di svolgere efficacemente il proprio compito e di conseguenza effettuare un servizio pubblico efficiente.
Automatizzare azioni ripetitive e ridurre i tempi di attesa/risposta
Questa funzione, invece, è quella che può consentire alla pubblica amministrazione di velocizzare azioni ripetitive come la risposta a domande sempre uguali. Affidare questo compito ad un assistente virtuale disponibile 24h su 24h, integrato nel sito web del nostro comune o della nostra azienda sanitaria, è ciò che consentirebbe di alleggerire il carico di richieste presentate allo sportello fisico e di generare maggior efficienza da parte dell’ente. La stessa funzione potrebbe essere sfruttata da un Ministero o dal Parlamento per agevolare la consultazione degli atti. Chiaramente questo non vuol dire far perdere il lavoro a chi ad oggi è dietro lo sportello fisico o negli uffici, ma al contrario investire il tempo dei funzionari, ad esempio, per integrare e aggiornare il database di dati dell’assistente virtuale. Un compito che richiede il lavoro di selezione e semplificazione di chi lavora all’interno degli enti.
Fare una manutenzione predittiva
L’intelligenza artificiale, inoltre, può aiutarci nella manutenzione predittiva, ovvero quella manutenzione che ci consente di prevenire gli errori di sistema e aumentare le prestazioni dei nostri dispositivi.
Migliorare i processi di comunicazione interna/esterna
Ottimizzazione dei piani di lavoro e analisi del sentiment di chi lavora all’interno delle PA sono, invece, le funzioni da implementare attraverso l’intelligenza artificiale. Funzioni che porterebbero ad un efficientamento della comunicazione interna, fondamentale per migliorare anche la comunicazione esterna.
Personalizzazione del servizio e fidelizzazione
Infine, l’AI può aiutare la PA a personalizzare in modo significativo il servizio che offre. Non solo un servizio basato sulla risposta, ma anche sull’usabilità e l’accessibilità dei siti web e la creazione di contenuti di valore per il pubblico di riferimento. Un obiettivo che presuppone un ascolto dell’esigenze del target e la generazione di servizi/contenuti sempre meno vetrina. Per arrivare a costruire una nuova fiducia tra PA e cittadini, tra PA e altri stakeholder. Queste azioni sono possibili a partire da un’interazione solida tra chi lavora all’interno degli enti e l’innovazione. Nel caso dell’AI generativa sia nella fase di embedding che di fine tuning, al fine di personalizzare quanto più possibile gli strumenti e i servizi.
ChatGPT come primo modello pubblico di AI generativa
Un esempio è proprio ChatGPT, il modello di OpenAI, che riesce a fornire una risposta quanto più specifica se personalizziamo al meglio il nostro prompt (indicazione). Per utilizzare ChatGPT, il primo dilemma che ci si pone davanti, infatti, è capire come interrogare il modello. Può essere un valido compagno di banco, se sappiamo che cosa chiedergli, ma soprattutto come chiederglielo. Non saper interrogare ChatGPT equivale, infatti, a chiedere al compagno di banco informazioni di matematica quando abbiamo davanti un compito di storia; o chiedergli di risolvere tutto il compito senza fornirgli informazioni precise sui quesiti che abbiamo di fronte.
Quando parliamo con ChatGPT e più in generale con un’AI generativa dobbiamo ricordare che:
- Non può leggere la nostra mente > dobbiamo usare prompt specifici
- Se i risultati sono troppo lunghi > dobbiamo chiedere risposte più brevi
- Se i risultati sono troppo semplici > possiamo chiederle di fornire risposte da esperto
- Se non ci piace il formato > possiamo chiedere un formato specifico (es. suddivisione in paragrafi, un capitolo, una tabella)
- Se non vanno bene le fonti > possiamo fornirle un contesto (base di conoscenza)
Nello specifico, alcuni prompt testati nelle versioni ChatGPT 3.5 e ChatGPT4, attraverso l’integrazione di plugin, riescono ad aiutare chi lavora, ad esempio, nel settore della comunicazione a svolgere compiti come:
- Creazione di contenuti
- Semplificazione di testi e rielaborazione di documenti
- Aiuto nelle fasi di brainstorming
- Aiuto nella formazione personale
- Elaborazione di testi a partire da dati
- Analisi feedback e sentiment a partire da dati
- Estrazione dati a partire da testi
Con queste azioni, la PA e più in generale le comunità sociali possono iniziare a interagire e utilizzare l’intelligenza artificiale per agevolare la propria quotidianità. A partire, dai processi comunicativi e di interazione sociali, l’educazione scolastica, le pratiche amministrative. L’adozione dell’AI nelle aule, ad esempio, offrirebbe una serie di vantaggi, tra cui la personalizzazione dell’apprendimento, dove algoritmi avanzati potrebbero analizzare le capacità, le preferenze e i progressi di ciascuna persona, proponendo percorsi didattici su misura. A tal fine, è fondamentale sviluppare le competenze digitali del capitale umano, studiare un’integrazione inclusiva dell’AI e analizzare le implicazioni etiche e normative quanto prima.
Dall’European Communication Monitor 2023[31], sono emersi i principali andamenti che hanno caratterizzato la comunicazione in europea dal 2007 al 2022. Tra questi:
- Costruzione e mantenimento della fiducia
- Collegamento tra strategia aziendale e comunicazione
- Sviluppo sostenibile e Responsabilità sociale
- Gestione della velocità e del volume del flusso di informazioni
- Utilizzo di big data e/o algoritmi per la comunicazione
Si può notare come all’interno di questi trend ci sia in trasparenza l’obiettivo di rafforzare il rapporto fiduciario all’interno delle comunità sociali e di semplificare l’infodemia che ha caratterizzato la società dall’avvento dei social media in avanti.
A questi trend, l’European Communication Monitor 2023 individua degli insight chiave per il prossimo decennio:
- Sfruttare il potenziale di tecnologie avanzate e utilizzo dei dati
- Sviluppare competenze rare e nuovi ruoli per i professionisti
- Raggiungere il pubblico in un mondo iperconnesso
- Guidare e motivare team unici ed empatici
- Costruire relazioni in tempi di disinformazione e sfiducia
Guardando questi trend, si può notare, invece, la necessità di potenziare aspetti e competenze che in questi primi venti anni degli Anni Duemila hanno strutturato la società digitale. Nonchè, la necessità di risolvere le principali criticità che si sono determinate. Tra queste: disinformazione, sfiducia, cyberbullismo, FOMO, cyberisicurezza.
Le sfide e le opportunità che attendono le organizzazioni pubbliche e la società sono ben delineate.
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[1] BOCCIA ARTIERI G. (1998), Lo sguardo virtuale. Itinerari socio-comunicativi nella deriva tecnologica, Milano, Franco Angeli
[2] THOMPSON J. B. (1995), The Media and Modernity. A social Theory of the media, Cambridge, Polity Press, (tr. it. Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Bologna, Il Mulino, 1998)
[3] MCLUHAN M. (1964), Understanding Media, London, Sphere Box, (tr. it. Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967)
[4] GIORDANO V. (2013), Immagini e figure della metropoli, Milano-Udine, Mimesis Architettura
[5] SIMMEL G. (1903), Die Großstädte und das Geistesleben, (tr. it. Le metropoli e la vita dello spirito Roma, Armando Editore, ed.1995-2013 digitale)
[6] TÖNNIES F. (1887), Gemeinschaft und Gesellschaft, Leipzig, Reislad (tr. it. Comunità e società, Milano, Comunità, 1963) (citato in Mattioli F. La comunicazione sociologica, Roma, Aracne editrice, 2012)
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[8] BAUMAN Z. (2000), Liquid Modernity, Cambridge, Polity Press, Oxford, Blackwell Publishers Lt, (tr. it. Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2011)
[9] Il TED è disponibile qui: https://www.ted.com/talks/sherry_turkle_alone_together/transcript?language=it#t-263018
[10] GOFFMAN E. (1959), The presentation of self in everyday life, Anchor Books, (tr. it. La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, 1969)
[11] MEYROWITZ J. (1985), No sense of place. The impact of Electronic Media on Social Behavior, New York, Oxford University Press, (tr. it. Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Bologna, Baskerville, 1995)
[12] Le sfide social più pericolose: https://www.tag24.it/339367-challenge-pericolose/
[13] ECO U. (1964), Apocalittici e Integrati, Milano, Bompiani
[14] POPPER K. (1994), Television: a Bad Teacher, (tr. it Cattiva maestra televisione, Donizelli Editore, 1996)
[15] MAZZUCCHELLI C. (2014), La solitudine dei social network, Delos Digital, digitale
[16] BENJAMIN W. (1982), Das Passagen-Werk (citato in Giordano V. Immagini e figure della metropoli, Milano-Udine, Mimesis Architettura, 2013)
[17] CODELUPPI V. (2012), Ipermondo: Dieci chiavi per capire il presente, Roma-Bari, Laterza
[18] Intervista disponibile qui: https://oggiscienza.it/2014/07/11/bauman-stiamo-nel-mondo-online-per-sentirci-meno-soli/
[19] FLORIDI L. (2022), Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide, Raffaello Cortina Editore
[20] ARENA G. (2004), La funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, Maggioli Editore
[21] FACCIOLI F. (2000), Comunicazione pubblica e cultura del servizio. Modelli, attori, percorsi, Carocci
[22] LOVARI A., DUCCI G. (2022), Comunicazione pubblica. Istituzioni, pratiche, piattaforme, Mondadori Università
[23] DURKHEIM E. (1983), La divisione del lavoro sociale, Il Saggiatore, ed. 2016
[24] DI COSTANZO F. (2017), PA Social. Viaggio nell’Italia della nuova comunicazione tra lavoro, servizi e innovazione, FrancoAngeli
[25] Il Rapporto è disponibile qui: https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Rapporto%20Ital%20Communications-Censis_def.pdf
[26] CENTORRINO M. (2020), Infodemia e comdemia: la comunicazione istituzionale e la sfida del Covid-19, in HUMANITIES – Anno IX, Numero 18, dicembre 2020
[27] LEGNANTE G., SPLENDORE S. (2021), Crisi-Covid e comunicazione politica. Un acceleratore di tendenze già in atto?, Il Mulino, Rivisteweb, Comunicazione politica, Fascicolo 3
[28] BOCCIA ARTIERI, G., MARINELLI, A. (2018), Introduzione: piattaforme, algoritmi, formati. Come sta evolvendo l’informazione online, in «Problemi dell’informazione», 3, pp. 349-368. Citato in MASSA A., IERACITANO F., COMUNELLO F., MARINELLI A., LOVARI A. (2022), La comunicazione pubblica alla prova del Covid-19. Innovazioni e resistenze delle culture organizzative italiane, in «Problemi dell’informazione», n. 1, aprile, anno XLVII
[29] Principio presente nel Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione: https://www.agid.gov.it/en/node/100054
[30] Il modello è disponibile qui: https://chat.openai.com/
[31] Il Report è disponibile qui: https://www.communicationmonitor.eu/2023/09/07/ecm-european-communication-monitor-2023/
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L’Articolo è tratto dal volume collettaneo “Culture Digitali. Relazioni, Empatia. Paradigmi della nuova rivoluzione industriale. Ed. STAMEN ISBN 97912810452993.
Si ringrazia l’Editore STAMEN per la gentile concessione alla pubblicazione nella Rivista “Culture Digitali” ISSN 2785-308X.