BINOMIO VINCENTE: DIDATTICA LABORATORIALE E DIDATTICA ORIENTATIVA

Di Loredana Fiorillo (*)

Key words: Laboratori, Moda, Orientamento, Didattica laboratoriale e orientativa, Learning by doing

Abstract

Insegnare Laboratorio Moda agli adolescenti è un’esperienza stimolante e gratificante!

Molti insegnanti degli istituti tecnici e professionali raccontano che gli studenti mostrano un impegno molto limitato, se non un vero e proprio rifiuto, per le materie teoriche mentre si impegnano volentieri e con buoni risultati nelle materie pratiche. Molte delle caratteristiche del laboratorio di una disciplina “pratica” possono essere attivate anche per le materie “teoriche”. Le specificità didattiche dell’apprendimento in un “laboratorio” possono essere utilizzate tutte anche quando si manipolano oggetti concettuali.

Si assiste ad un radicale cambiamento quando gli studenti entrano in Laboratorio Moda, sembrano trasformarsi da abulici e assenti in aula, a pesci guizzanti nel momento in cui viene loro richiesto un impegno manuale e operativo.

 Il loro ingresso in Laboratorio Moda ha motivazioni diverse e varie: “…farò il fotomodello”, “…disegnerò collezioni”, “…aprirò un mio atelier”, sarà poi la figura del docente ad orientare gli studenti in base alle loro potenzialità, doti e aspira­zioni. Il momento iniziale provoca negli studenti uno “shock cognitivo”: in laboratorio si può fare tutto anche copiare perché la moda è produzione ma anche riproduzione, l’errore non è penalizzante in quanto se non si scuce almeno cinque volte il punto non sarà perfetto, si impara lavorando ed imparano a lavorare, non si può capire qualcosa senza lavorarci su.

Durante il percorso di studi gli allievi acquisiranno le competenze per la realizzazione di una sfilata: simulazione virtuale di essa con software di settore, progettazione grafica e dei cartamodelli, preparazione dei capi ed accessori ideati, shooting fotografico.

Gli allievi apprendono meglio se impegnati in attività che hanno uno scopo e che corrispondono ad attività che gli adulti svolgono nel mondo reale; intrecciano filati sin dal primo anno di corso imparando tecniche di macramè, arm knitting e piccole tessiture a telaio.

Nel Laboratorio Moda i metodi di apprendimento inseriti in situazioni autentiche non sono utili, sono essenziali; non sempre si impara per conoscere qualcosa, ma per fare qualcosa: è il learning by doing.

Per questi presupposti, e anche perché lo studente agisce in prima persona tramite l’esperienza attiva, l’apprendi­mento sarà più duraturo e sicuramente più efficace.

Non è possibile separare la didattica laboratoriale dalla didattica orientativa: la prima si focalizza sul qui e ora e permette di costruire la consapevolezza del sé attraverso l’esperienza concreta che un percorso didattico ben strutturato da un gruppo di professionisti seri e qualificati può rappresentare; la seconda punta lo sguardo verso un orizzonte raggiungibile passo dopo passo ponendosi degli obiettivi concreti.

 Il laboratorio viene inteso come una pratica del fare, lo studente diventa protagonista di un processo di costruzione di conoscenze che gli permettono di essere coinvolto in una situazione collettiva di scambio comunicativo tra pari. Lo studente rielabora conoscenze attraverso l’esperienza diretta, costruisce un apprendimento significativo, dovendo trovare soluzioni a situazioni problematiche, vive la vicenda scolastica attraverso l’esperienza di emozioni positive, diventa consapevole del proprio modo di imparare attraverso il confronto e la valutazione delle proprie idee.

Una buona didattica, se vuole essere davvero orientante, deve prevedere una precisa intenzionalità e una metodologia per promuovere in ogni studente le competenze orientative di base. Gli insegnanti sono chiamati al delicato compito di “accendere” le curiosità degli allievi, rendendoli consapevoli delle discipline e della loro applicabilità nel mondo del lavoro. È con la didattica orientativa che si va a solidificare quel sistema di risorse possedute dalle persone potenziando attitudini e abilità.

 La nostra tradizione didattica è quasi completamente fondata su modalità che percorrono la tradizionale via deduttiva: nozioni e concetti, vengono prima studiati e poi, eventualmente verificati nella pratica. Occorre adottare la strada dell’apprendere pratico e situato per intervenire adeguatamente nel miglioramento della qualità degli apprendimenti; necessitano azioni in grado di costruire esperienze favorevoli all’apprendimento del sapere congiunto con quello del “fare”, un “fare riflessivo” dove l’apprendimento è

un processo attivo e l’allievo apprende in quanto è reso attivo e consapevole della situazione didattica che sta vivendo recuperando e ricomponendo il principio pedagogico generale. Si tratta di liberare il modello attivistico spontaneista degli interessi naturali e riconoscere che l’attività decisiva è quella della struttura cognitiva dell’allievo messa in moto sia dalla manualità e dal movimento sia dal vedere e dall’ascoltare. Il “fare” che genera apprendimento non è mai separato dal sapere e le due intelligenze, quella della mano e quella della mente, si muovono integrandosi, interagendo e potenziandosi a vicenda[1].

La scelta metodologica, dunque, nella realizzazione del cambiamento richiede un’affermazione forte, non c’è auditorium senza laboratorium, non esiste pensare teoretico senza fare tecnico e senza agire pratico, non c’è astratto senza concreto, non esiste esercizio che non abbia la possibilità di essere vissuto. La circolarità di questo processo è, come dice Dewey, ineludibile: “L’intelligenza ha bisogno di certe condizioni per affermarsi e svilupparsi; ha bisogno di essere nutrita di eventi e di affrontare prove che la fortifichino; ha bisogno di auto-mantenersi nell’esercizio di sé[2].

Il collegamento tra il sapere, il saper fare e il saper essere (conoscenze, abilità e competenze) è ampiamente riconosciuto nella riforma del sistema educativo nazionale, rappresenta un principio irrinunciabile.

I laboratori e le pratiche laboratoriali, pertanto, sono un momento significativo di relazione interpersonale e di collaborazione costruttiva tra pari e tra pari e docenti dinanzi a problemi da risolvere insieme, a progetti condivisi da realizzare e a compiti comuni da svolgere; rammentano l’unità della persona, dell’educazione e della cultura e insegnano a scoprire in maniera cooperativa la complessità del reale, senza ricondurre a qualche schema più o meno disciplinare; un itinerario di lavoro che, non separando teoria, tecnica e pratica, esperienza e riflessione logica su di essa, è paradigma di azione riflessiva e di ricerca integrale; uno spazio di creatività che si automotiva e che aumenta l’autostima mentre accresce ampiezza e spessore delle competenze di ciascuno, facendole interagire e con quelle degli altri; possibile camera positiva di compensazione di squilibri e di disarmonie; garanzia di itinerari formativi significativi per l’allievo, capaci di arricchire il suo orizzonte, senza peraltro trascurare l’insegnamento delle conoscenze e delle abilità disciplinari.

Il laboratorio comunemente è inteso come spazio attrezzato, utilissimo nella scuola; questa accezione in realtà è limitativa e rischia di condurre ad una considerazione errata: non può essere svolta una didattica laboratoriale se la scuola non è fornita di laboratori. Il laboratorio è sicuramente un luogo fisico in spazi di apprendimento/relazione (atelier, biblioteche, mediateche, palestre, aule multimediali ecc.), ma anche fuori in luoghi specializzati (parchi, musei, spazi espositivi, ecc.), il territorio è uno spazio laboratoriale.

Il laboratorio coinvolge insegnanti e studenti e deve considerarsi soprattutto una scelta metodologica: la didattica laboratoriale si basa sullo scambio intersoggettivo tra studenti e docenti attraverso una modalità di lavoro cooperativo. L’insegnante è un ricercatore che progetta l’attività di ricerca in funzione del processo educativo e formativo dei suoi allievi. Il laboratorio ha come obiettivo l’acquisizione da parte degli studenti di conoscenze, metodologie, abilità, competenze didatticamente misurabili. L’insegnante funge da ricercatore e progetta l’attività di ricerca in funzione del processo educativo e formativo dei suoi allievi.

Il laboratorio è un luogo mentale, una forma mentis, una pratica del fare che valorizza la centralità dell’allievo, pone l’enfasi sul processo di apprendimento e mette in stretta relazione l’attività sperimentale degli allievi con le competenze dei docenti.

Nel laboratorio non si insegna e/o si impara solamente, soprattutto “si fa”, si sperimenta operativamente, ci si confronta concettualmente con la problematicità dei processi, con la complessità dei saperi. Le attività laboratoriali sono concrete, aperte all’interpretazione e orientate ai risultati.

Nel laboratorio si privilegia l’aspetto euristico, esso è “un’officina di metodo”, dove non è possibile offrire apprendimenti preconfezionati, ma si progettano e sperimentano progetti didattici a base interdisciplinare, dove le soluzioni ai problemi vengono costruite dagli studenti.

  • Il laboratorio è uno spazio di comunicazione: per dare cittadinanza ai linguaggi verbali e non verbali.
  • Il laboratorio è uno spazio di personalizzazione: per sviluppare autosufficienza, autostima, autonomia culturale ed emotiva, partecipazione.
  • Il laboratorio è uno spazio di socializzazione: per valorizzare attività di cooperazione, di impegno, di solidarietà.

Risulta evidente che una scuola finalizzata al perseguimento della competenza da parte degli alunni, abbia come riferimento principale una didattica incentrata sulla laboratorialità. La didattica laboratoriale è un percorso che rende possibile la valorizzazione dell’esperienza degli alunni, la contestualizzazione degli apprendimenti, attraverso lo studio delle discipline, la risoluzione dei problemi, la comunicazione[3].

 Le ragioni di una “didattica laboratoriale” sono molteplici e tutte riconducibili ad una didattica vincente: il lavoro in laboratorio e le attività ad esso connesse sono particolarmente importanti perché consentono di attivare processi didattici in cui gli allievi diventano protagonisti e superano l’atteggiamento di passività e di estraneità che caratterizza spesso il loro atteggiamento di fronte alle lezioni frontali. L’impianto generale dei nuovi ordinamenti richiede che l’attività laboratoriale venga integrata nelle discipline sulla base di progetti didattici multidisciplinari fondati “sulla comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale”. L’attività di laboratorio, condotta con un approccio operativo ai processi tecnologici, può coniugare l’attitudine degli studenti alla concretezza e all’azione con la necessità di far acquisire loro i quadri concettuali che sono indispensabile per l’interpretazione della realtà e la sua trasformazione.

La didattica di laboratorio facilita l’apprendimento dello studente in quanto lo coinvolge anche dal punto di vista fisico ed emotivo nella relazione diretta e gratificante con i compagni e con il docente. I docenti, utilizzando il laboratorio, hanno la possibilità di guidare l’azione didattica per “situazioni-problema” e strumenti per orientare e negoziare il progetto formativo individuale con gli studenti, che consente loro di acquisire consapevolezza dei propri punti di forza e debolezza. Il processo sistematico di acquisizione e di trasferimento di conoscenze/abilità/competenze che caratterizza l’apprendimento dello studente può esprimersi, in modo individuale o collegiale, in un’attività osservabile che si configuri come un risultato valutabile. Il laboratorio, quindi, rappresenta la modalità trasversale che può caratterizzare tutta la didattica disciplinare e interdisciplinare per promuovere nello studente una preparazione completa e capace di continuo rinnovamento. Nell’attività di laboratorio sono varie le attività che si possono esplicare sul piano didattico: oltre all’utilizzo delle diverse strumentazioni, delle potenzialità offerte dall’informatica e della telematica, si può far ricorso alle simulazioni, alla creazione di oggetti complessi che richiedono l’apporto sia di più studenti sia di diverse discipline. In questo caso, l’attività di laboratorio si intreccia con l’attività di progetto e diventa un’occasione particolarmente significativa per aiutare lo studente a misurarsi con la realtà.

Tirocini, stage ed esperienze condotte con la metodologia dell’“impresa formativa simulata” sono strumenti molto importanti per far acquisire allo studente competenze molto utili per l’orientamento e per l’occupabilità. Metodologie didattiche basate sul costante utilizzo delle tecnologie aiutano i docenti a realizzare interventi formativi centrati sull’esperienza, che consentono allo studente di apprendere soprattutto tramite la verifica della validità delle conoscenze acquisite in un ambiente interattivo di “apprendimento per scoperta” o di “apprendimento programmato”, che simuli contesti reali[4].

I criteri per una didattica orientativa pongono al centro la persona che apprende più che l’oggetto che si apprende, si parte da un problema significativo che non coincide con uno specifico contenuto, ma che in quel/i contenuto/i trova il contesto favorevole per essere interrogato (problem solving), si generano apprendimenti strategici e con forte valenza metacognitiva, soprattutto in chiave trasversale, si privilegia un approccio laboratoriale e si rivolge intenzionalmente a un prodotto o a un’azione significativa; la didattica orientativa si apre dell’interdisciplinarità.

CHE COSA VUOL DIRE “ORIENTAMENTO”? 

“Orientamento” deriva dal latino orior: “nascere, sorgere, incominciare”. Per orientarsi occorre “saper-esser” più che “saper-fare”. Individuare le proprie coordinate esistenziali, che devono essere reperite, allenate e coltivate mediante le Life Skills (autoconsapevolezza, pensiero creativo, pensiero critico, empatia, ecc..). L’obiettivo è quello di sviluppare o rinforzare delle competenze orientative nei soggetti con i quali si lavora, di supportarli nella costruzione della propria identità, di svilupparne l’autonomia. Non si tratta di accompagnare qualcuno a una scelta, ma si cerca di sviluppare le competenze che consentono di progettare il proprio futuro e renderlo praticabile. Quando lo realizziamo? Durante tutto il nostro percorso didattico. Ogni nostra progettazione didattica, se vista da questa prospettiva, porta con sé elementi con un’azione fortemente orientati

Le Linee guida per l’orientamento (DM 328/2022)[5] hanno come obiettivi:

  • ridurre la dispersione scolastica;
  • ridurre i divari territoriali riguardo l’istruzione;
  • aumentare il livello di istruzione e formazione nei giovani;
  • aumentare l’occupabilità;
  • migliorare il passaggio tra primo e secondo ciclo di istruzione e formazione;
  • incentivare l’ingresso a Università e ITS Academy.

Le linee guida prevedono attività di orientamento per aiutare ragazze e ragazzi ad acquisire consapevolezza di sé, dei propri obiettivi e attitudini. Con il supporto di tutor e orientatori offrono informazioni sui percorsi di studio e formazione professionale esistenti e sulle richieste e trasformazioni del mercato del lavoro.

 L’Unione Europea sostiene la necessità che tutti i sistemi formativi degli Stati membri perseguano, fra gli altri, i seguenti obiettivi:

  • ridurre la percentuale degli studenti che abbandonano precocemente la scuola a meno del 10%;
  • diminuire la distanza tra scuola e realtà socio-economiche, il disallineamento (mismatch) tra formazione e lavoro e soprattutto contrastare il fenomeno dei Neet (Not in Education, Employment or Training – Popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione);
  • rafforzare l’apprendimento e la formazione permanente lungo tutto l’arco della vita;
  • potenziare e investire sulla formazione tecnica e professionale, costituendola come filiera integrata, modulare, graduale e continua fino alla formazione terziaria.

 La “Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea sui percorsi per il successo scolastico”, che  sostituisce la Raccomandazione del Consiglio del 28 giugno 2011 sulle politiche di riduzione dell’abbandono scolastico, adottata il 28 novembre 2022, disegna nuove priorità di intervento per il perseguimento del successo scolastico per tutti gli studenti, a prescindere dalle caratteristiche personali e dall’ambito familiare, culturale e socio-economico, con misure strategiche e integrate che ricomprendono, tra gli altri, il coordinamento con i servizi territoriali, il dialogo continuo con gli studenti, i genitori, le famiglie, la messa a sistema di un insieme equilibrato e coordinato di misure di prevenzione, intervento e compensazione, il monitoraggio costante degli interventi. Nello specifico dell’orientamento, la Raccomandazione sottolinea la necessità di rafforzare l’orientamento scolastico, l’orientamento e la consulenza professionale e la formazione per sostenere l’acquisizione di abilità e competenze di gestione delle carriere nel lavoro.

La persona necessita di continuo orientamento e ri-orientamento rispetto alle scelte formative, alle attività lavorative, alla vita sociale. I talenti e le eccellenze di ogni studente, quali che siano, se non costantemente riconosciute ed esercitate, non si sviluppano, compromettendo in questo modo anche il ruolo del merito personale nel successo formativo e professionale. L’orientamento costituisce perciò una responsabilità per tutti gli ordini e gradi di scuola, per i docenti, per le famiglie e i diversi attori istituzionali e sociali con i quali lo studente interagisce.

 L’attività didattica in ottica orientativa è organizzata a partire dalle esperienze degli studenti, con il superamento della sola dimensione trasmissiva delle conoscenze e con la valorizzazione della didattica laboratoriale, di tempi e spazi flessibili, e delle opportunità offerte dall’esercizio dell’autonomia.

 L’orientamento inizia, sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, quale sostegno alla fiducia, all’autostima, all’impegno, alle motivazioni, al riconoscimento dei talenti e delle attitudini, favorendo anche il superamento delle difficoltà presenti nel processo di apprendimento.

 Lo studente va aiutato, dunque, a prendere le decisioni giuste e ad evitare gli insuccessi. Il servizio orientativo migliore è quello che scaturisce da tutti gli elementi diversamente combinati, provenienti dalle varie ‘fotografie’ raccolte durante il ciclo degli studi, con la collaborazione delle famiglie.

L’acquisizione della consapevolezza è il primo obiettivo che bisogna porsi. Il come fare attiene alle competenze organizzative, professionali e di governance di tutti gli operatori scolastici: dalla messa a punto dei Piani Triennali dell’Offerta Formativa alla cura delle diverse professionalità, all’attenzione alla leadership educativa del dirigente scolastico. Vanno garantite attività ed esperienze formative di varia natura e una valutazione autentica orientata alla crescita e alla progressiva padronanza degli apprendimenti acquisiti. La definizione dei piani dell’orientamento interni come indicati nelle Linee guida nazionali per l’orientamento permanente[6] del 2014 ne riassumono le linee di azione.

 Si ricorda l’importanza del “Consiglio orientativo” espresso dal Consiglio di classe per tutti gli alunni della terza classe di scuola secondaria di primo grado, proprio nell’ottica di supportare le scelte nella prosecuzione dell’obbligo d’istruzione. A tal fine, si rammenta che il “Consiglio orientativo”, va definito in forma analitica o sintetica. Questo richiamo al dispositivo riporta in superficie tutta la questione sottesa alle mosse strategiche prima descritte in quanto indispensabili per arrivare all’appuntamento della scelta dei percorsi con un livello di consapevolezza specifico su alcune caratteristiche chiave quali: gli interessi ricorrenti lo stile di apprendimento (attivo, riflessivo, teorico, pragmatico), la motivazione allo studio (persistente o meno), le capacità attentive, l’impegno e la costanza nell’affrontare compiti di lavoro. Va anche evidenziata quale propensione abbia lo studente ad intraprendere un nuovo percorso di studio (lungo, medio o breve). Sono da evitare, comunque, consigli orientativi formulati sulla base dei voti di profitto e costruiti solo sui percorsi formali di studio perché fuorviano e complicano le operazioni di scelta[7].

La progettazione dell’ambiente di apprendimento comprenderà uno spazio anche per l’autovalutazione: la riflessione sul percorso effettuato e sul proprio stile cognitivo è importante per tutti ed è anche un forte rimando ai/alle docenti perché si possa riflettere sull’impostazione della didattica. Ogni nostro intervento didattico e ciascuna disciplina sono orientativi alla condizione che si agisca con intenzionalità, passando dall’implicito all’esplicito

Si può sapere con lo studio ma mai senza il corpo: le maggiori conoscenze ci arrivano dalle mani, dai sensi, dall’esperienza, dalle emozioni. Sapere e sapore nascono insieme, se il sapere non è anche sapore diventa privo di senso. Non solo a scuola ma anche nella vita è fondamentale riconoscere i significati e il senso delle cose, il sapere non è solo accumulo di conoscenze, è un modo di vivere, è risposta alle domande di senso.

Sulla base di tali convinzioni, è stato avviato un progetto di formazione coordinato dall’UST di Brescia che mirava ad evidenziare come le nostre programmazioni siano ricche di didattica orientativa che attende d’essere scoperta e, pertanto, esplicitata e documentata. Il gruppo di lavoro ha evidenziato e analizzato gli studi dell’UST di Brescia, svolti da Daria Giunti, sul successo scolastico negli anni 2018-2019 / 2021-2022. In particolare, si sono osservati gli abbandoni conseguenti all’insuccesso, spesso reiterato a causa di fallimentari tentativi di autocorrezione della scelta.

Un’analisi condotta ha messo in luce che il tasso di abbandono tra i «ritardatari» è di circa dieci volte superiore a quello di chi ha un percorso regolare. I ritardi si generano prevalentemente nel biennio, dove si registra anche un’incidenza maggiore dell’abbandono. In che modo maturano questi ritardi gli studenti e le studentesse? A fronte della constatazione di insuccesso o di aver fatto una scelta non soddisfacente, gli allievi/e mettono in atto un tentativo di autocorrezione, solitamente passando ad un altro indirizzo.

In tre anni questi trasferimenti hanno coinvolto circa 6.500 studenti di cui circa 4.900 del biennio, vale a dire che ogni anno, in media, il 4,2% della totalità dei frequentanti e il 6% dei frequentanti il biennio, ha cambiato scuola. Spesso il cambio di istituto ha comportato anche un ritardo.

In tre anni la scuola secondaria di II grado ha perso 5.947 studenti e studentesse (in media il 3,3% ogni anno) di questi 3.265 frequentavano il biennio: il 70% di loro era in ritardo (2.281) e per quasi il 50% di loro il ritardo era pari o superiore ai due anni. Questi dati sono un’evidenza sulla quale ripensare la didattica, che o è orientativa o non è. O è diretta all’espressione e alla maturazione delle singolarità di tutti e di ciascuno o non è. La posta in gioco è alta, ma se ogni disciplina fa qualcosa possiamo fare molto; ognuno è chiamato a fare la propria parte, per questo c’è bisogno di agire sulla didattica.

La didattica orientativa si propone di costruire conoscenze e competenze per comprendere e comprendersi. Tutte le proposte didattiche possono essere virate in funzione dell’orientamento a patto che lo si faccia emergere, lo si renda evidente, che sia proposto in modo intenzionale. La didattica orientativa include l’acquisizione di competenze trasversali, come la capacità di pensiero critico, la capacità di risolvere i problemi, la capacità di comunicare e di interagire con le altre persone, di assumersi responsabilità. Dagli studi sui/sulle giovani laureati/e compiuti da Confindustria si evince una difficoltà sulla capacità di lavorare in gruppo e sull’assunzione di responsabilità quindi un po’ di strada dovremmo farla in tanti se ancora il dato è messo in luce come una carenza. Vince chi collabora e chi sta assieme, e questo vale per tutti.

L’orientamento è esperienziale, è importante che i ragazzi e le ragazze colgano il salto che vogliamo fargli fare: il salto dall’acquisizione dei contenuti all’acquisizione della conoscenza del sé, non lo studio per lo studio, ma la comprensione del senso di quello che si fa. Ed è per questo che abbiamo scelto di lavorare con attività capaci di mostrare che in qualsiasi contesto, ogni disciplina può far emergere peculiarità e caratteristiche.

Fare didattica orientativa significa anche insegnare a fare ricerca dentro di sé, alla domanda di verifica di quanto appreso, come metodo di lavoro, si dovrebbe affiancare la domanda che sollecita l’espressione del proprio punto di vista. Non c’è una risposta giusta, ma questa è una domanda che apre alla ricerca del proprio sé, per stimolare l’apprendimento occorre cambiare le domande. Alla domanda di controllo si deve affiancare quella che sollecita l’esposizione del proprio punto di vista:

Che cosa dice a me (l’esperienza al museo, questo quadro, questo lavoro…)?

Come me la sono cavata nel lavoro di gruppo? Mi sono confrontato con qualcuno dei miei compagni/e? Che cosa è emerso di me in questa esperienza, in questo lavoro? Che cosa dice di me?

Che cosa ho gustato dell’esperienza? Che cosa mi ha messo in difficoltà, in che cosa mi sono sentito/a capace? Sono riuscito ad utilizzare bene il tempo a disposizione? Sono stato/a capace di assumermi una responsabilità? Ho portato a termine il lavoro?

Quindi, non solo obiettivi di apprendimento disciplinari, ma anche autovalutazione delle proprie competenze come metodo di apprendimento bisogna puntare sul coinvolgimento di tutte le risorse personali degli studenti/esse, perché i saperi senza le competenze trasversali non bastano per affrontare il futuro.


[1] M.T. Moscato, La mano e la mente, Inserto Scuola e Didattica, 15 marzo 1999, anno XLIV.

[2] E. Morin, La conoscenza della conoscenza, Feltrinelli, Milano,1989

[3] Estratto dal e-Seminar “Unità di Apprendimento (UdA)” a cura di Luciano Berti.

[4] Istituti Tecnici – Linee Guida per il passaggio al nuovo ordinamento (d.P.R. 15 marzo 2010, articolo 8, comma 3).

[5] DM n.328 del 22 dicembre 2022 e Linee guida per l’orientamento.

[6] Nota prot.n. 4232 del 19 febbraio 2014, Linee guida nazionali per l’orientamento permanente.

[7] Utili indicazioni sul consiglio orientativo sono contenute in: L. Donà, P. Neerman e E. Passante, Il Consiglio orientativo-dalla ricerca alle linee guida, Tecnodid, 2014.

(*) Docente di Laboratori di scienze e tecnologie tessili, dell’abbigliamento e della moda

Convitto Nazionale Torquato Tasso-Sede annessa Istituto Professionale “F. Trani” – Salerno

Indirizzo Industria e Artigianato per il Made in Italy (Moda)