A cura di Antonella Giordano, giornalista
Telepathy, un chip delle dimensioni di una moneta, è stato “finalmente” impiantato su un essere umano mediante una macchina robotica neurologica che ha trapanato il cranio umano “ospitante”.
La notizia, come altre ascrivibili per omologia alle performance dell’intelligenza artificiale, ha prodotto in chi ne l’ha appresa sentimenti di segno opposto e non esattamente di pari ponderalità.
A fronte del possibilismo immaginifico per l’ennesima evidenza delle ineguagliabili opportunità della robotica la medesima evidenza pervade le coscienze con tutto il suo carico di insidiose inquietudini, fertile alimento per quell’humus culturale sempre più diffuso che il filosofo Luciano Floridi ha magnificamente definito come “infosfera”.
E quando sono le coscienze a sentirsi vulnerate inevitabilmente le fobie trovano la possibilità di strutturarsi in quel sentire collettivo che integra il diritto e tutto quel coacervo di quesiti che impongono al legislatore l’obbligo di intervenire.
Perché? Mi si conceda un inciso espositivo. Sappiamo attraverso i media che l’intelligenza artificiale non è sovrapponibile a quella umana, che la mima e ne è solo una rappresentazione, in quanto non è cosciente, non comprende, non prova sentimenti. La macchina usa la capacità sintattica, ossia colloca una parola dietro l’altra, secondo una sequenzialità, cioè un algoritmo, stabilito dal programmatore, ma non possiede la consapevolezza di cosa stia facendo e per quale ragione; l’intelligenza umana invece è semantica, ovvero non ha bisogno di alcun algoritmo per fare consapevolmente: in altre parole, sa che cosa sta facendo, perché lo sta facendo e che significato ha la sua azione.
Sempre attraverso i media conosciamo i nomi dei padroni del mondo digitale, quelli che posseggono sia le tecnologie sia i nostri dati: figurano nei primi 10 posti nella classifica dei più ricchi al mondo, stilata da «Forbes»: Elon Musk, AD di Tesla e proprietario di Twitter, Jeff Bezos, patron di Amazon, Bill Gates, fondatore di Microsoft, Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook e oggi AD di Meta, Larry Page, fondatore di Google.
Ebbene, ciò premesso, ho voluto riportare la notizia de non per alimentare il sensazionalismo che sciama negli ambienti giornalistici quanto per condividere, rimarcandone gli intenti, quanto ebbi a dire nel mio precedente articolo in cui, in una proiezione predittiva delle implementazioni dell’intelligenza artificiale ho inteso focalizzare l’ineludibile, quanto indifferibile, necessità in area Ue di una sua regolamentazione normativa armonizzata (https://www.diculther.it/rivista/ia-dalle-premesse-di-un-passato-mitico-alle-attuali-evidenze-quali-prospettive/) .
Se dopo il via dato dal Consiglio dei rappresentanti permanenti degli Stati all’intesa raggiunta in sede di trilogo, il 9 dicembre 2023 e dopo l’ok del 2 febbraio 2024, vedrà la luce l’AI ACT, la prima legge al mondo a regolamentarne l’utilizzo. Come da cronoprogramma dopo il voto finale che spetterà all’Europarlamento il 24 aprile 2024 saranno dipanate così, nella visione dell’eurolegislatore, le nebulose che avevano alimentato le tante criticità. Seguendo l’approccio risk based, l’AI Act fa, infatti, un elenco di pratiche proibite in Europa quali le “tecniche di manipolazione cognitivo comportamentale, il riconoscimento delle emozioni nei luoghi di lavoro o a scuola, il social scoring e la polizia predittiva.
L’intervento di innesto di Telepathy chip, avvenuto il 31 gennaio scorso, era stato preannunciato dal cofondatore e finanziatore della società Neuralink che ha lo ha prodotto: l’inquientante, quanto imprevedibile, magnate statunitense Elon Musk.
Sbandierato sui media come ausilio per i malati affetti da patologie neurologiche a maggio 2023 la sperimentazione aveva ricevuto il via libera dalla Food and Drug Administration con i migliori auspici per una promettente “carriera” all’interno degli encefali umani.
Avvalendosi più di ben 3.072 elettrodi per array su 96 fili la tecnologia sviluppata dall’azienda di Musk riesce a inviare all’esterno dell’encefalo i segnali neurologici acquisiti al suo interno utilizzando l’intelligenza artificiale e, al contempo, determina il tipo di impulso da inviare a uno specifico settore del cervello.
In buona sostanza apprendimento, memorizzazione delle informazioni e collegamento tra i dati diventano così possibili anche per soggetti affetti da tetraplegia congenita o incidenti traumatici.
Per correttezza espositiva va fatto riferimemto Neuralink non è la prima azienda di interfacce cervello-macchina a ottenere l’approvazione della FDA per la sperimentazione sull’uomo. Synchron, la startup sostenuta dai fondi di Bill Gates e Jeff Bezos, aveva iniziato una sperimentazione clinica nel 2022 senza prevedere la trapanazione del cranio e, a differenza di Neuralink, meno invasiva in quanto fornisce stimoli nel cervello attraverso i vasi sanguigni e senza trapianto chirurgico.
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Assoldi gli oneri di corretezza
Appaiono, dunque, palesemente le ineludibili ricadute etiche che corroborano i dubbi di legittimo utilizzo della tecnologia Neuralink sviluppata da un’azienda privata, peraltro beneficiaria di finanziamenti astronomici che la ricerca pubblica non ha a disposizione. E non possono non essere comprese le polemiche che si susseguono a ritmo esponenzialmente affazzonato che andando oltre la “fattispecie” inferiscono anche sulle potenzialità positive presenti nelle intelligenze artificiali.
Inquietante è sicuramente tutta la diacronica che ha condotto all’applicazione di Telepathy: sperimentazioni dichiarate ma mai descritte in articoli su riviste scientifiche, risultati comunicati con annunci sui social, unica descrizione del chip fatta nel 2019 dallo stesso Musk in una sorta di libro bianco, il “Neuralink White Paper”.
Considerando i problemi derivanti dal fatto che il cervello “iniettato” diventa fortemente influenzabile da impulsi esterni “non autorizzati” che agiscono sui processi mentali elevati come il ragionamento, la deduzione e l’apprendimento da esperienze passate, ancora più inquietante è la diacronica prospettica analizzata nell’alveo del diritto penale e della protezione dei dati personali. Il chip inferendo sulla libertà di movimento, la libertà personale e i diritti in materia di dati personali è suscettibile di rilevanza di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico (art. 615 ter codice penale) nonché ex art. 167 codice Privacy (trattamento illecito di dati)
Senza scivolare in gratuiti parossismi è legittimo rilevare l’attentato da parte della tecnologia di Musk alla sfera del libero arbitrio della persona, con le inerziali ricadute di valutazione obbiettiva della presenza di dolo e colpa nelle azioni di una persona potrebbe diventare difficile da determinare.
E ancora. Considerando che il dispositivo impiantato nel cervello può raccogliere direttamente e illimitatamente dati dal cervello della persona senza che questa se ne accorga perde efficacia persino l’obbligatorietà del consenso previsto dalla normativa GDPR e la sua stessa validità ove lo stesso venisse espresso da paziente affetto da malattie che ne inibiscono la possibilità stessa.
Fatte salve le tecnologie fondate su principi etici tornano, dunque, le riflessioni formulate nel richiamato precedente articolo perché i legislatori del pianeta elaborino un quadro giuridico che finanziando la ricerca universitaria pubblica disciplini i benefici della robotica tutelando i diritti umani.
Antonella Giordano, giornalista e comunicatore pubblico, docente universitario presso Università di Siena, Università di Medicina Integrata, Economia e Ricerca (UniMeier) e Centro ricerca e studi universitari Curcio ), condirettore di IWP e Radio Regional, Senatore accademico della Norman Academy. Ha pubblicato