Un’analisi scientifica e ontologica della violenza di genere.

Intervista alla Professoressa Vincenza Pellegrino (1) formatrice esperta in tematiche di genere.

Domanda: Professoressa Pellegrino, la violenza di genere è un grave problema sociale che coinvolge diversi ambiti. Quali sono le principali conseguenze per le vittime, sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Risposta: La violenza di genere incide profondamente sia sul corpo che sulla psiche, creando una rete complessa di effetti interconnessi. A livello fisico, oltre ai danni immediati, si possono osservare conseguenze a lungo termine, che compromettono la salute generale e il benessere riproduttivo delle vittime. Spesso, sfugge che la violenza non è soltanto una ferita visibile, ma anche una trasformazione dell’esperienza corporea delle vittime, che si ritrovano a vivere una relazione distorta con il proprio corpo. Sul piano psicologico, l’impatto è altrettanto devastante, perché il trauma frattura la continuità dell’identità, alterando la percezione che la vittima ha del mondo e delle proprie relazioni;  ciò influenza negativamente la qualità della vita e la sua capacità di interagire socialmente. Molte donne vittime di violenza sviluppano, ad esempio, una diffidenza generalizzata verso gli altri, che pregiudica anche le loro future relazioni, soprattutto quelle intime. In ambito clinico, le patologie che si sviluppano a causa della violenza sono, comunemente, il disturbo da stress post-traumatico, l’ansia e la depressione, ma è importante ricordare che ogni vittima ha un percorso di elaborazione unico e che la comprensione approfondita del trauma è fondamentale, per favorirne il recupero.

Domanda: Il legame tra violenza e benessere riproduttivo sembra emergere con forza dai suoi studi. In che modo la violenza di genere altera questo aspetto così delicato della vita delle donne?

Risposta: La violenza di genere, specialmente quando subita in periodi di vulnerabilità, come la gravidanza, può alterare il corso naturale del processo riproduttivo. Vari studi dimostrano come lo stress e il trauma, legati alla violenza, possano interferire con la salute materna e lo sviluppo del feto, in quanto la madre, non solo subisce un impatto fisico diretto, ma l’esperienza di violenza può anche compromettere la sua capacità di vivere serenamente la maternità, influenzando il legame con il proprio bambino. Quello che è particolarmente rilevante, infatti, è che queste esperienze traumatiche possono riverberarsi nel tempo, influenzando, sia la salute fisica e psicologica della madre, sia quella del bambino, il quale, come sappiamo, risente particolarmente del contesto in cui si sviluppa.

Domanda: Come possiamo favorire un percorso che consenta alle vittime di recuperare l’equilibrio psicofisico?

Risposta: Filosofi come Merleau-Ponty, ci ricordano che il corpo non è semplicemente un involucro fisico, ma il veicolo attraverso cui l’essere umano esperisce il mondo. La violenza spezza questo rapporto, portando la vittima a vivere il proprio corpo come una realtà distante, quasi estranea. La strada verso la guarigione deve quindi passare per una rinnovata armonia tra corpo e mente, che consenta alla vittima di riappropriarsi gradualmente della propria corporeità. In termini pratici, questo implica un lavoro che non si limiti alla dimensione clinica, ma che integri percorsi terapeutici basati sull’esperienza corporea, come la mindfulness o la terapia somatica, capaci di ristabilire una relazione sana e consapevole con il proprio corpo.

Domanda: In che modo la violenza di genere si configura come una negazione dell’essere della vittima?

Risposta: La violenza di genere, in particolare quella perpetrata in ambito intimo, rappresenta una forma estrema di alterazione dell’essere. Per comprendere questa dinamica, possiamo rifarci a Simone de Beauvoir, che ha esplorato la condizione storica della donna come “Altro”, destinata a occupare una posizione subordinata. Ecco, la violenza perpetua questa alterità, privando la vittima della sua libertà archetipale. In altre parole, la donna non è più riconosciuta come un soggetto attivo e libero, ma viene ridotta a oggetto di dominazione. Questo meccanismo di spossessamento distrugge la continuità del sé e realizza una vera e propria frattura ontologica, spezzando il legame tra passato, presente e futuro della vittima. A livello esistenziale, poi, essa rimane intrappolata nel trauma, che diventa il fulcro attorno a cui si struttura la sua esperienza del mondo.

Domanda: Ciò che lei descrive è una sorta di congelamento dell’esperienza esistenziale. Quali strumenti teorici o pratici possono essere utili per superare questa frattura?

Risposta: La frattura ontologica, per essere sanata, richiede innanzitutto una forma di riconoscimento del trauma. L’Umanesimo, con la sua etica dell’”Altro”, ci offre una prospettiva preziosa: la guarigione passa attraverso la riapertura di un dialogo autentico, in cui la vittima venga nuovamente riconosciuta come soggetto con una propria dignità. Questo processo implica un lavoro di ricostruzione dell’identità, in cui le vittime non solo rielaborano il trauma, ma si riappropriano di una narrativa che dia senso alla loro esperienza. Terapie narrative, o pratiche basate sulla condivisione e il supporto comunitario, possono rappresentare spazi privilegiati per questa riconciliazione. Tuttavia, è fondamentale che tali percorsi siano sostenuti da una rete di relazioni umane, che valorizzino l’individuo nella sua totalità.

Domanda: Ha parlato di trauma, narrazione e riconoscimento. Quanto è importante per le vittime poter raccontare la propria storia?

Risposta: Il potere della narrazione è immenso. L’identità personale è in gran parte costruita attraverso il racconto che facciamo di noi stessi e quando una vittima è costretta a vivere il trauma in silenzio, senza poter raccontare la propria esperienza, si ritrova bloccata in una sorta di vuoto esistenziale. Raccontare il trauma, in un contesto sicuro e rispettoso, permette, invece, di riprendere in mano il filo della propria storia e di riconnettersi con il proprio senso del sé. Questo processo di narrazione non solo aiuta a dare un significato al passato, ma diventa anche il primo passo verso la costruzione di un futuro libero dal trauma.

Domanda: Guardando al futuro, quali sono, secondo Lei, le strategie fondamentali che dovremmo adottare per contrastare la violenza di genere e sostenere le vittime?

Risposta: Contrastare la violenza di genere richiede un approccio olistico e multidisciplinare. Da un lato, è fondamentale lavorare sulla prevenzione, attraverso l’educazione, promuovendo una cultura del rispetto reciproco e della parità di genere, fin dall’infanzia. Dall’altro, dobbiamo garantire che le vittime abbiano accesso a reti di supporto efficaci, che offrano non solo assistenza pratica e psicologica, ma anche spazi di ascolto e comprensione profonda. Infine, credo che sia essenziale adottare una prospettiva filosofica ed esistenziale, che riconosca nella violenza una profanazione dell’essere e si impegni a ricostruire la dignità e la libertà delle vittime. Solo attraverso un cambiamento strutturale e culturale possiamo davvero sperare di interrompere il ciclo della violenza.

Domanda: La ringrazio per la sua analisi multidimensionale; una prospettiva che ci aiuta a comprendere meglio la complessità della violenza di genere e le vie possibili per affrontarla.

Risposta: Grazie a lei per avermi offerto l’opportunità di condividere le mie riflessioni, in quanto è fondamentale che si continui a discutere di queste tematiche, poiché solo il dialogo può generare il cambiamento culturale indispensabile, per affrontare con successo questa grave piaga sociale.

(1)

Vincenza Pellegrino. Già docente di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e contrattista presso diversi Atenei italiani. Esperta di progettazione e realizzazione di percorsi e sperimentazioni didattiche, da sempre interessata alle problematiche dell’insegnamento e dell’apprendimento, ha sviluppato, nel tempo, una “passione” per le dinamiche dei processi cognitivi, che chiamano in causa l’educazione, come fattore determinante e formante di qualsiasi identità. È autrice di studi e pubblicazioni che pongono in rilievo il rapporto tra società, scuola e famiglia. La sua riflessione pone al centro l’allievo inteso come futuro cittadino e unico architetto del proprio destino e indaga le prospettive offerte dalla post-modernità, interrogandosi  sull’ adeguatezza dei modelli e dei metodi formativi che vengono proposti alle giovani generazioni