South Beach e la Convenzione di Faro
di Letizia Bindi, Presidente dell’Associazione Faro DiCultHer Molise
La natura bio-culturale del paesaggio è ormai una nozione consolidata. Dalla Convenzione Europea sul paesaggio del 2000 a quella per il patrimonio immateriale UNESCO del 2003 fino alla Convenzione di Faro 2005 sul valore dei patrimoni per le comunità e la loro piena titolarità culturale ci viene il monito e l’indicazione al rispetto ambientale e dei patrimoni di pratiche e saperi comunitari che lo hanno plasmato.
Come Associazione Diculther – Faro Molise ci sentiamo chiamati ad un’azione culturale e politica di advocacy e di vigilanza sulle storture, le mancanze e i rischi di un modello errato e ‘smisurato’ di sviluppo proposto dal progetto ‘South Beach’.
Lo facciamo, in linea con il mandato stesso della Convenzione di Faro, che nei suoi artt. 8, 9 e 10 fa esplicito riferimento tra le azioni e i campi del proprio intervento alla valutazione d’impatto culturale delle scelte di sviluppo, alla qualità delle modificazioni ambientali e al valore comunitario della integrità e sostenibilità del territorio.
Tra gli aspetti più critici di questo progetto: la evidente insostenibilità ambientale, un modello di sviluppo attardato e in controtendenza con le linee più recenti di tutela e valorizzazione delle vocazioni e le esigenze dei territori, una cementificazione indiscriminata e una idea di turismo predatorio, che preleva risorse – territorio, biodiversità, spazi di socialità e di vita storicamente sedimentati – senza valorizzare in alcun modo la circolarità e lo scambio tra visitatori e comunità riceventi.
Questo non ci sembra ‘turismo di lusso’, ma negazione dell’esperienza e dell’incontro con le reali bellezze dei territori e le qualità migliori delle comunità ospitanti. Come Associazione Diculther – Faro Molise siamo inoltre in disaccordo con il processo che non ha in alcun modo coinvolto la comunità/le comunità locali e regionale interessate, riproponendo una modalità di governance dei processi di sviluppo che nulla ci sembra avere a che fare con la rigenerazione territoriale e la titolarità della cittadinanza attiva che chiediamo di ascoltare e coinvolgere nella progettazione territoriale condivisa. Se il ricatto su cui sembra basarsi una proposta così impattante è quello preoccupante dello spopolamento e della mancanza di lavoro, va detto e sostenuto con forza che le comunità hanno oggi a disposizione un ventaglio ben più ampio di modi per creare turismo, cultura e produzioni agroalimentari capaci di attrarre turisti e creare occupazione.
Restare sui territori non è questione di quanto se ne può prendere e sfruttare, ma si basa sul restituire e nello scambiare: cura, esperienze, creatività, saperi e pratiche radicati nelle comunità che per essere visibili e fruibili devono essere conservati e tutelati, non divelti e cementificati.
Essere ‘giardinieri’ gentili dei territori e dei beni comuni e coltivare bellezza da condividere.